Navona, l’illusione è finita
Negli ambienti borghesi in cui sono cresciuto, la peggio cosa era considerata vivere aldisopra dei propri mezzi. Quando al cinema si vedeva il Conte Max (quello di Mario Camerini, dei telefoni bianchi) si rideva di gusto, ma tra sé e sé rinnovando l’attenzione a non cadere in simili trappole.
Anche quelli che sono andati martedì in Piazza Navona, erano abituati da anni a vivere aldisopra dei propri mezzi. Il loro patrimonio era costituito quasi interamente dai dati più immediatamente appariscenti del personaggio Berlusconi, e cioè le sue televisioni e, in maniera fatta via via lievitare, le sue questioni giudiziarie. Erano dati che si prestavano ad un uso ambiguo, formatisi nel magma politico degli anni precedenti, ma avevano il luccichio degli argomenti immediatamente disponibili per la polemica prepolitica: gli interessi enormi e la loro oscura origine.
In molti cercarono di usare quel patrimonio: ci furono politici a tutto tondo, procuratori di Milano e un Presidente della Repubblica, che credettero di potere, in forza della propria autorità, trasformare quel minerale grezzo in tagliente diamante, e a portarlo all’incasso: sembrò pure che ci riuscissero, solo che la vittoria di Prodi si rivelò una vittoria di Pirro. E ci furono quelli che, abbacinati dal luccichio, se ne impadronirono, e pensarono di poterci campare sopra.
C’erano numerosi ponti a collegare i due piani. Ambienti soi-disant intellettuali aprirono incuriositi le loro porte a chi gli portava il suo minerale luccicante, a coloro che ci credevano per passione e a coloro che esibivano la passione di crederci; c’erano candidi entusiasti, insieme a guitti dall’umorismo greve ed equilibristi sul filo della calunnia. Frequentavano quei salotti anche giornalisti stranieri, lusingati e incuriositi, soprattutto quelli che per ascendenza avevano maggiore familiarità con Bagehot e con Rathenaue ne mandavano a casa racconti tra lo scandalizzato e il divertito. Quando gli ospiti lasciavano i loro salotti, i padroni di casa tiravano tardi ragionando con i grandi del passato, i Tocqueville e i Montesquieu, i Popper e i Bobbio. Qualcuno pensò che bastasse insegnar loro, come al signor Max di Camerini, un poco di inglese e il bridge col metodo Culberston. Era una scorciatoia, perché il problema non è i comportarsi bene, o distinguersi da chi si comporta male: il problema è di sostanza, rendersi conto che è il patrimonio a valere molto meno, che c’è differenza tra luccichio e diamante; che bisogna lavorare il rozzo dato del prepolitico, studiare le ere geologiche in cui si era formato, per farne una pietra spendibile sul terreno della politica.
Con piazza Navona di martedì tutto questo è finito. Alla conta, il seguito è stato modesto, gli argomenti imbarazzanti. Adesso Veltroni dice che la partita è chiusa: meglio tardi che mai. Nessun meglio di lui doveva sapere che la magistratura italiana è un problema, non doveva allontanarsi da casa per sapere che l’uso spregiudicato delle intercettazioni può cambiare non solo il panorama bancario, ma anche gli equilibri politici; proprio lui aveva i mezzi culturali per sapere che nei media il problema è la RAI assai più che Mediaset. Consoliamoci dicendo questo è uno di quei casi in cui il bicchiere va bevuto fino al fondo,. Ma adesso basta. Abbiamo già misurato qual era il reale peso di quella sinistra antagonista che abbiamo ricorso per anni; adesso abbiamo visto quanto grevi sono i “valori” che abbiamo avuto paura di perdere per anni : adesso non ci sono più scuse. Adesso il PD non può più sprecare un’altra legislatura, come quella 2001/2006, tra pseudo primarie e girotondi: adesso deve pensare a come posizionarsi nel quadro politico che emergerà in vista del 2011. Casini già da tempo ha preso il suo posto in riva al fiume, Bossi aspetta solo di incassare, Tremonti tenta la strada stretta del populismo compassionevole. Andando avanti verso quella data, gli interessi conservatori delle varie constituency della maggioranza divergeranno, sarà sempre più difficile tenerle insieme con promesse generiche, che il Governo per primo sembra convinto di non potere mantenere. Con una maggioranza che non si sottrae all’abbraccio dello statalismo, il campo lasciato libero all’opposizione è vasto.
Adesso è il PD che non deve vivere aldisotto delle sue possibilità: se non vuole che, bicchiere dopo bicchiere, finisca il servizio. Se questa maggioranza è vincolata agli interessi conservatori che ha lusingato, pensiamo a una proposta generale che parta dai diritti, diritti di sicurezza, diritti di proprietà, diritti di sviluppare le proprie capacità. I problemi della scuola, dell’università, della sanità, non si risolvono senza mettere in gioco iniziativa e capitali privati: su queste linee il PD dovrebbe elaborare la propria offerta politica. Se sarà questo Governo a risolvere questi problemi, ben venga; se non ci riuscirà, come è probabile, quella del PD resterebbe la sola offerta credibile su piazza.
luglio 12, 2008