Gli accordi di libero scambio, come potrebbe essere quello transatlantico se andasse in porto, consentono operazioni che recano vantaggi ai consumatori. Giorgio Barba Navaretti («I confini delle imprese», Il Sole24Ore del 4 settembre) coglie al volo la singolare coincidenza tra la scomparsa di Ronald Coase e le due mega operazioni, l’acquisto dei telefonini Nokia da parte di Microsoft e il riacquisto da parte di Verizon della quota detenuta da Vodafone in Verizon stessa, per spiegarne la ratio alla luce della teoria dei costi di transazione, uno dei contributi maggiori per cui Coase è stato insignito del Nobel. Vale però anche l’inverso: se l’abolizione delle barriere tra aree economiche porta vantaggi, a mantenerle si rischia di «restare con un palmo di naso». È quello che, se non perdiamo le cattive abitudini, potrebbe capitare a noi.
Nel tentativo di recuperare competitività, il ceo di Nokia, Stephen Elop, aveva già tagliato 60mila posti di lavoro, adesso altri 32mila dipendenti passeranno a Microsoft, dove Elop prenderà il posto del dimissionario Steve Ballmer. Nokia è il maggior successo industriale finlandese di sempre, conta per il 4% del Pil e per il 25% delle entrate fiscali del Paese. I telefonini erano stati la prima metamorfosi della vecchia azienda di gomme e legnami, adesso dovrà farne una seconda, quella nelle apparecchiature di telecomunicazioni, dopo avere riacquistato la quota nella joint-venture con Siemens. «Sisu» è un concetto che per i finlandesi significa coraggio e perseveranza, e intendono dimostrarlo anche in questa occasione.
«L’Europa perde un altro pezzo» è stato invece titolo con cui un grande quotidiano ha dato la notizia. Leggendolo mi sono tornati in mente titoli in cui a perdere era l’Italia, in particolare quelli in cui il «pezzo» erano i calcolatori Elea: perché la Fiat partecipasse al salvataggio di Olivetti, Vittorio Valletta, si dice, aveva posto come condizione di venderli. Decisione invece fortunata, anche se probabilmente non per lungimiranza: infatti tutti i fabbricanti europei di mainframe, Philips, Siemens, Icl, dovettero presto smettere, Bull dopo avere inutilmente consumato generosità statali. In Usa, i tentativi dei giudici di passare alla storia facendo lo spezzatino di Ibm, alla stessa stregua di ciò che Theodore Roosevelt aveva fatto con la Standard Oil, arricchirono una generazione di avvocati, ma alla fine si infransero contro la realtà dei mercati.
A determinare la struttura dei vari settori industriali agiscono non solo i costi di transazione, ma anche le forze della concorrenza. C’è la regola empirica enunciata nel 1976 da Bruce Henderson, il fondatore del Boston Consulting Group: in un mercato stabile e concorrenziale non ci sono mai più di tre operatori, il più grande dei quali non ha più di quattro volte la quota di mercato del più piccolo. Dopo l’acquisto di Nokia, negli smartphone restano Apple con Ios, Samsung con Android, Nokia con Windows; i Blackberry appartengono alla storia. «Concorrenziale» non è un mercato se si cerca di sostenere con barriere legali un campione nazionale. «Stabile» può esserlo anche a lungo, ma se ne paga il prezzo. La telefonia in Italia è un esempio da manuale.
Nel 1990 Omnitel presenta la domanda di concessione per il digitale Gsm, il decreto presidenziale con cui essa viene assegnata è del febbraio 1995, 5 anni dopo, cosicché Tim ha tutto il tempo per partire per prima a occupare il campo e indurre i suoi clienti del vecchio Tacs analogico a passare al Gsm digitale. D’accordo le difficoltà finanziarie di Olivetti, che obbligarono a vendere metà a Mannesmann, ma c’è da stupirsi se alla fine sarà Vodafone a comperare Omnitel e non viceversa? La Telecom dell’Opa di Roberto Colaninno nutre ambizioni di trascendere i limiti nazionali, la Telecom invece è acquistata da Pirelli proprio in quanto campione nazionale. E quando i vantaggi non sono quelli attesi, e per necessità si deve guardar fuori, in nome del campione nazionale At&t e Carlos Slim vengono respinti, e Telefonica accettata, ma chiedendo a mezzo sistema finanziario di dare il sangue per bilanciarla.
Adesso il deal Vodafone-Verizon ha smosso le acque: At&t, leader Usa, potrebbe mirare a diventare leader mondiale acquistando Vodafone, tra Telefonica e American Movil di Carlos Slim è in corso una contesa sull’olandese Kpn con conseguenze sul mercato tedesco e (forse) brasiliano, anche Telecom potrebbe ritornare interessante. Ma la sola strategia consentita a Franco Bernabè è di cedere mezza rete fissa per avere dall’autorità di regolazione un allentamento dei vincoli in modo che Telecom abbia di nuovo i privilegi del campione nazionale. Si continua a porre la pregiudiziale di qualcuno che garantisca l’italianità della rete fissa, «infrastruttura di valore strategico anche per la sicurezza nazionale»: e apprendiamo che servizi di altri Paesi ci navigano dentro come a casa propria. Non stupiamoci se finisce che «restare con un palmo di naso» è un’espressione educata. Perché poi apriamo i giornali e Apple sta già parlando con China Mobile: and the beat goes on.
settembre 6, 2013