I divieti del Garante dopo il caso Sircana? Inutili e dannosi

marzo 29, 2007


Pubblicato In: Giornali, Vanity Fair

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da Peccati Capitali

Provavamo un senso di superiorità nel leggere delle disavventure di Clinton per improprio uso di sigari nella Oval Room: da noi – pensavamo – politica e vita privata sono due mondi separati. La controriforma che ci ha negato l’etica del capitalismo, ci ha consentito questa laicità della politica: teniamocela.
A maggior ragione, ora che le vicende a cui è associato il nome di Silvio Sircana ci fanno vedere a quali disastri si va incontro quando si rompe questo delicato equilibrio.

Quando irrompe l’imbarbarimento, ricomporlo è difficile. Se si prova a sostituire una tacita intesa con regole esplicite, esplodono contraddizioni: diritto alla privacy contro diritto all’informazione, libertà contro ricatto, obbligatorietà dell’azione penale contro esibizionismo.
Ora che il vaso di Woodcock è stato rotto, far rientrare i miasmi è impossibile. I divieti sono controproducenti. Proibire è razionare, e il prezzo di mercato dei beni razionati aumenta. Se si proibiscono le pubblicazioni, si attribuisce un valore alla notizia non pubblicata. Come per la droga, si alimenta un mercato nero: mica è necessario pubblicare per ricattare. Oppure un mercato grigio, la zona di discrezionalità nell’interpretazione della norma. Se si proibisce di conservare le registrazioni, si dà potere a chi decide quali sono irrilevanti.
Come uscirne? Una “Trans Night”, con illustri presenze, laiche e controriformiste, degenera in goliardata. Meglio non darsi neppur la pena di negare la “notizia”, ma svalutarne il contenuto. Come han fatto Romano Prodi e Silvio Berlusconi (lui, per non smentirsi, con qualche conflitto di interessi): ciò che riguarda Sircana, non ha importanza che sia vero o falso, perché è il fatto a essere senza importanza.
Che si tratti del portavoce del Governo, ha poi l’inintenzionale (ma non meno interessante) conseguenza di arginare le tentazioni proibizioniste di quanti, ministri o sindaci, pensano a proibire con leggi e divieti di sosta, e finiscono per istituzionalizzare i ricatti con telecamere e multe.

Ciò detto, restano le contraddizioni di fondo. È l’irrimediabile conseguenza del processo liberatorio della modernità, scrive Edoardo Camurri sul Foglio di sabato, “se la politica si estetizza nello spettacolo, il sesso nella pubblicità, se il sapere si risolve in una dialettica della libidine ( la psicanalisi) e tutto diventa politico: la vita quotidiana, il linguaggio, i media, il desiderio” E cita Jean Baudrillard:

“Non c’è società che non viva contro il proprio sistema di valori: bisogna che ne abbia uno, ma è altrettanto necessario che essa si determini conto di esso. Ora noi viviamo su due principi almeno: quello della liberazione sessuale e quello della comunicazione e dell’informazione”.

Lo scriveva quasi 20 anni fa.

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