Il gioco del bipolarismo
“Se non riesci a vincere a un gioco, cambia gioco”: da politico esperto, quale è diventato, Berlusconi non esita a mettere in pratica uno dei più noti precetti degli strateghi aziendali. Lo può fare perché il suo è un partito leaderistico e personale è il consenso di cui gode, fanno notare da sinistra: ma forse pensano ai maceranti dubbi, alla lunga gestazione e alle irrisolte tensioni che ancora accompagnano l’avvio del Partito Democratico.
Può darsi che quella di Berlusconi sia una mossa tattica, volta a spaventare gli alleati nella speranza di recuperarli, giocata per provocarli e scoprire fin dove giunge la loro insubordinazione. Ma credo sia più utile prendere per buone le sue parole, assumere, magari come ipotesi di lavoro, che davvero egli abbia deciso di cambiare, quando si è reso conto che con un attacco diretto non riusciva a vincere: e cioè che, pur di mettere Prodi fuori gioco, Berlusconi sia disposto ad accettare il confronto sul terreno e con le regole proposte da Veltroni. Il quale, da pare sua, ha segnato il punto: quando domenica sera, alla trasmissione di Crozza, ha affermato che “Berlusconi riconosce che è finita una stagione politica”, la stagione a cui si riferisce è quella delle coalizioni faticosamente assemblate e strenuamente mantenute: dunque la stagione di Prodi. Veltroni non fa che ribadire quanto già c’era nel discorso del Lingotto a Torino, dove, non ancora segretario, aveva lanciato la formula del partito “a vocazione maggioritaria”, e della competizione tra programmi e non tra coalizioni. Anche per Berlusconi, nonostante il favore dei sondaggi, e la maggiore libertà di cui gode chi sta all’opposizione, il vincolo di coalizione è diventato una camicia di forza in cui finisce per essere inconcludente cercare di contenere interessi politici divaricanti.
Da qui a pensare che Berlusconi condivida lo schema Veltroni ce ne corre. Non fosse altro perché questo schema è un work in progress, i cui elementi, da Torino in giugno fino a Frascati dieci giorni fa, si vanno via via affinando, ma sono lungi dall’essere precisati: e tanto meno accettati. Fine del bipolarismo? Di sicuro la svolta di Berlusconi contribuisce a indebolire una certa versione del bipolarismo, quella che ha i suoi appassionati nel centrosinistra, quella muscolare, girotondina, secondo cui tra “noi” e “loro” c’è una diversità etica che richiede di tenere separate perfino le relazioni sociali, e l’”inciucio” è un peccato dello spirito. Della coalizione del Governo Prodi quel bipolarismo è il collante non solo ideologico, ma politico, fondato cioè sugli interessi, parlamentari ed elettorali, dei partiti minori che ne fanno parte. Berlusconi può cambiare il gioco, Prodi non può, pena la caduta del suo Governo. La volontà di Prodi di durare diventa funzionale a mantenere praticabile lo spazio in cui definire le regole di una competizione diversa: non più tra due coalizioni, ma tra due partiti grandi, in lotta per conquistare la maggioranza relativa e non il fatidico 50% più un voto.
La bottiglia è stata aperta: si tratta di vedere se si riuscirà ad evitare che ne fuoriesca lo spirito. Se si riuscirà a salvare il nucleo essenziale del bipolarismo, vale a dire assicurare agli elettori il potere di scegliere partito e programma e scongiurare il ritorno a maggioranze fatte e disfatte in Parlamento. Progettare i meccanismi elettorali e istituzionali che di ciò offrano garanzie adeguate è operazione complessa, hanno importanza dettagli astrusi, tra i favorevoli al cambiamento vi sono anche quelli che il bipolarismo vorrebbero seppellirlo del tutto. E Berlusconi è mosso da motivazioni più tattiche che strategiche. Ma io credo che siano considerazioni di convenienza a giustificare un certo ottimismo: sono convinto che gli italiani a grande maggioranza questo potere di scegliere è ciò che vogliono salvare di quanto hanno vissuto in questi ultimi 15 anni. Per Veltroni poi, abbandonare il maggioritario aprirebbe falle nel cuore stesso del suo schieramento, aggiungendo difficoltà al già complesso rapporto con Prodi. E quanto a Berlusconi, qualunque sia il giudizio che si dà del suo operato, è stato lui a radicare nel Paese il sistema bipolare. Berlusconi è un gestore attento: può azzerare partecipazioni non più utili ad una nuova strategia, difficile che svaluti a cuor leggero il patrimonio che è suo.
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novembre 22, 2007