Il ministro delle Poste Gambino ha consegnato il disegno di legge che dovrebbe liberalizzare le Tlc. Quale ne è la filosofia di fondo? «Ci si rende conto – si legge nella relazione – che si tratta di norme di particolare vincolo allo sviluppo integrato dei vari settori della comunicazione. Tuttavia sia il parlamento che questo governo ritengono che nell’attuale assetto del mercato della comunicazione sia necessario evitare il formarsi o il consolidarsi di posizioni dominanti». La frase rivela un errore concettuale: Gambino, col pretesto di evitare il rafforzarsi di posizioni dominanti, consente la convergenza tra telefono e Tv solo a soggetti condannati, per i limiti posti dalle legge, a non poter mai competere con il monopolista: che così viene protetto.
Tale impostazione impedisce di raggiungere l’obbiettivo stesso che la legge dice di proporsi. È invece possibile avere il meglio dei due mondi, i vantaggi della convergenza e il contenimento dei monopoli; anzi favorire l’uno è la migliore garanzia di raggiungere l’altro.
Testo di non agevole lettura, quello che ci propone Gambino, carente nelle definizioni e incerto nell’obbiettivo: nel titolo dice di voler liberalizzare le ‘infrastrutture e i servizi di telecomunicazione’, poi si riduce a discutere di ‘reti di Tlc via cavo’ e di un po’ di Tv locale. Angusto nella prospettiva temporale: mentre Inghilterra e paesi scandinavi hanno già liberalizzato la telefonia vocale, mentre la Germania ha definito – e la Francia sta definendo – procedure perché a gennaio 1998 i nuovi operatori siano in funzione, qui nulla deve muoversi prima della fatidica data. Mentre la Germania consente da subito al cavo il servizio telefonico a livello locale, qui si regala a Telecom il tempo dell’iter legislativo e successiva fase regolamentare per decidere quale parte del monopolio, che nel frattempo può estendere, vorrà lasciare ai concorrenti: l’enunciata volontà di «evitare il consolidarsi di posizioni dominanti» assume pertanto il tono di una beffa.
Il mondo della comunicazione secondo Gambino dovrebbe essere formato da:
- operatori nazionali: Telecom per i servizi di telecomunicazione, esteso al multimediale e ai servizi di rete; emittenti nazionali per il settore radiotelevisivo, esteso al satellitare;
- operatori in ambiti locali strettamente definiti e segmentati;
- proprietari di reti alternative;
- fornitori di servizi a livello nazionale, soggetti ad autorizzazione per ogni servizio.
È vero, solo agli operatori cavo locali è consentita la convergenza tra telefono (dal 1998) e Tv. Ma quale TV, visto che il multimediale comprende il VOD e, sembra, anche programmi a pagamento, seppur non preordinati in palinsesto? E poi, in quali condizioni competitive? Gli operatori cavo sono esposti alla concorrenza da parte di chi opera a livello nazionale; lo sono su entrambi i fronti, quello dei servizi, e quello radiotelevisivo-satellitare; nel multimediale, sono attaccati simultaneamente da entrambi i concorrenti, dato che la Tv via satellite può essere competitiva con la multimedialità via cavo; sono soggetti alla concorrenza infrasettoriale, non potendo contare su esclusive territoriali; sono impediti dal raggiungere dimensioni comparabili con quelle dei concorrenti nazionali, e limitati nelle economie di scala dei servizi offerti; non possono integrarsi con le reti alternative; sono limitati nell’integrazione verticale con fornitori di servizi a livello nazionale, mentre Stet può operare a livello nazionale con una propria società di servizi. Sono soggetti a contributi specifici e devono concorrere a pagare i costi di un servizio universale fornito da altri. Si chiedeva una regolamentazione asimmetrica, la si ritrova a favore del monopolista.
Si spera che alcune delle più malaugurate ipotesi succitate siano indotte dall’oscurità del testo. Ma non avremo una buona legge se non verrà abbandonata la ratio di cui si diceva all’inizio. Se l’obbiettivo è la liberalizzazione dei servizi, allora prioritario è creare le condizioni perché nascano e crescano imprese in grado di far concorrenza al monopolista.
La tecnologia, la confluenza della Tv e del telefono, apre un nuovo settore: esso va preservato, inibendo che sia occupato da chi nella Tv e nel telefono ha posizioni dominanti. Ci vogliono certo limitazioni per assicurare concorrenza all’interno del nuovo settore: ma anch’esse vanno subordinate all’obbiettivo vero, favorire la nascita di imprese che possano diventare concorrenti dei quei monopolisti che dai nuovi settori vengono temporaneamente esclusi. I primi candidati a svolgere questo ruolo sono le imprese che dispongono di infrastrutture e di competenze per operarvi: le reti alternative, le reti private (banche, industrie), le Tv che non godono di posizioni dominanti, gli operatori radiomobile presenti e futuri, i fornitori di contenuti, le aziende municipali privatizzate: a esse la legge dovrebbe spianare la strada. Solo dal loro affermarsi dipende che la parola liberalizzazione non significhi, di fatto, perpetuazione e rafforzamento del monopolio.
Con questa legge il ministero chiede anche l’assunzione di 470 dipendenti. Se fosse per far fronte alle richieste di chi vuole investire, la misura sarebbe ingiustificata: a queste condizioni chi mai investirà?
ottobre 10, 1995