Intervista di Alessandro Plateroti
Vito Gamberale (foto) si sente prossimo non alla terza età, ma alla terza gioventù. Prossimo ai 70 anni, l’ex manager di Telecom Italia, di Autostrade e del fondo infrastrutturale F2i ha deciso di cambiare vita, ripartendo proprio da dove l’esperienza professionale era cominciata: da Telecom Italia. Non come top manager, come alcuni hanno sospettato per mesi prima di avere la conferma, pochi giorni fa, dell’inserimento del suo nome nella lista di minoranza della famiglia Fossati per il consiglio di Telecom Italia in qualità di presidente.
Un ruolo in cui andrà a sostituire Aldo Minucci, il manager assicurativo espresso da Telco che ha avuto il coraggio e la pazienza di assumere l’incarico dopo lo sbandamento creato dalle dimissioni di Franco Bernabè: «Per il momento – dice Gamberale – punto al ruolo di consigliere: il resto si vedrà».
Allora ingegnere, vuole davvero chiudere le carriera ripartendo da dove tutto è cominciato?
Ebbene sì. Ho deciso di candidarmi nella lista di Fossati non solo perchè alle spalle c’è finalmente un vero e serio piano industriale per un’azienda che rappresenta tanto per me e molto per il Paese, ma anche perchè dopo tanti anni nel settore privato voglio chiudere il percorso personale con il ruolo, diciamo così, del “civil servant”.
Mi scusi, ma Telecom è un’azienda privata, non pubblica. Che intende con “civil servant”.
Intendo dire che lo spirito che mi muove non è l’ambizione personale, ma la volontà di mettere a disposizione della compagnia e soprattutto del Paese un bagaglio di esperienza maturato in oltre 40 anni di lavoro sulle telecomunicazioni, le infrastrutture e la finanza. La considero come un’esperienza da “civil servant”.
Perchè la scelta di sostenere Fossati?
È la prima volta, per lo meno in Italia, che i candidati come consiglieri di una lista per un CdA presentano un piano strategico per l’azienda target. In genere i candidati per i CdA, nelle medesime liste, sono disparati come competenze, storie, conoscenze dei temi oggetto dell’attività aziendale. Findim ha voluto mettere a disposizione del mercato un potenziale contributo per una consapevole gestione. Telecom ha bisogno di un piano strategico. Noi proponiamo un Piano Strategico. Senza alcuna presunzione, offriamo una base su cui confrontarci col management, con gli altri consiglieri. Siamo stati noi candidati ad aver indotto Findim, e quella parte del mercato che la segue, a non presentare una lista di contrapposizione, di maggioranza. L’azionariato di Telecom è uscito spaccato dall’assemblea del 20 dicembre scorso. Non può esistere un’azienda così importante, per giunta in una situazione critica e non facile, con un azionariato diviso, contrapposto.
Che cosa intende fare per ricucire lo strappo?
Occorre dimenticare le precedenti contrapposizioni, le illusioni o le allusioni date/fatte per cambi statutari, le incomprensioni. Occorre girare pagina, per scrivere quella che può interessare l’azienda. Un’azienda ancora internazionale, ma per il 70% del proprio fatturato maturato in Italia. Un’azienda troppo strategica per il Paese, per non interpretarne il ruolo conciliando attese degli azionisti e sviluppo del Paese.
Quindi, meno estero e più Italia: pensa che il nuovo board sosterrà questa strategia? E come la prenderà Telefonica, il partner spagnolo a cui i soci italiani di Telco intendono vendere Telecom?
Mi auguro che il nuovo Consiglio possa lavorare coeso, mettendo insieme competenze, impegno, al supporto dei manager interni, vera struttura portante dell’azienda. Telecom deve lavorare per valorizzare se stessa, per arginare il declino nel Paese, per aiutare il Paese a sentirsi più evoluto. Se poi, in tutto questo, possono conciliarsi anche interessi di Telefonica, ben venga il tutto. Un’azienda non può ignorare un socio al 15%, tanto meno un gruppo che rappresenta oltre il 22%; ma non può ignorare nemmeno il restante 78% circa. Son certo che anche chi rappresenta il 15% (o il 22%) ha questa visione.
In altre parole, lei non cerca di scalzare Telefonica da Telecom e di sostituirla con altri soci?
No, anche se credo che ci sia spazio per nuovi investitori come i fondi previdenziali. Su Telefonica, ritengo che possa rappresentare un grande partner industriale per Telecom. L’importante è avere garanzie su comportamenti e strategie, cioè sul fatto che Telecom Italia deve investire sull’Italia e sulla modernizzazione della rete nazionale di trasporto in modo da garantire a tutti gli italiani l’accesso a internet ad una vera alta velocità.
C’è però chi le rimprovera di essersi mosso nell’ombra, senza avvisare Cdp – che ha cercato a lungo un accordo con Bernabè – nè della collaborazione con Fossati nè del negoziato avviato con Telecom su Metroweb, società di F2i che controlla un network in fibra ottica…
Ho seguito con rispetto il generoso impegno della Cassa, nei due anni scorsi, di poter trovare un accordo con Telecom. Non sono mai entrato nel merito. Speriamo che maturino condizioni positive e che mutino gli impedimenti, gli irrigidimenti: Cdp potrebbe diventare un partner importante soprattutto per gli investimenti sulla rete. Per quanto attiene il presunto “mio” negoziato con Telecom Italia su Metroweb, non appartiene al mio stile di rispetto verso i soci, anche se di minoranza. Nel piano strategico non c’è alcun riferimento diretto a Metroweb. Detto questo, chiariamo un punto: è stato Fossati a contattarmi alla fine del dicembre scorso e la riservatezza mi ha imposto il silenzio. Findim ha dato un esempio di stile, di rigore, di metodo: il piano strategico – commissionato e pagato, sempre e solo da Findim – è stato fatto da Analysys Mason, autorevole e competente società di consulenza. Speriamo si possa dire «si tornò al passato e fu progresso».
E lo scorporo della rete? Cdp puntava a creare un nuovo operatore indipendente con l’apporto di Metroweb, e inizialmente sembrava che lei la pensasse così. Ora non è più necessario? Questa è una grossa novità…
La rete non deve essere scorporata, ma valorizzata come società operativa in cui è anche possibile far entrare nuovi soci. Comunque sia, non c’è dubbio che la rete di Telecom deve evolversi. Che per farlo occorre conciliare debito, il cui indice è tornato a livelli critici nonostante la diminuzione in valore assoluto, con priorità di utilizzo, con risorse adeguate. Detto questo, l’idea della separazione della rete mi è parsa sempre surreale. La rete telefonica di un grande incumbent è fatta di parti fisiche, di parti logiche, di intelligenza distribuita. Non è di facile perimetrazione geometrica. Quindi è qualcosa di non facilmente scindibile dal servizio di base. Non può essere ridotta ad un frazionamento catastale. Il piano strategico Findim porta idee al riguardo. Potrà essere un tema su cui il prossimo board potrebbe lavorare.
La vedo difficile. Le rimproverano addirittura di aver creato le basi di un macroscopico conflitto di interessi?
È la ricerca dei soliti peli nell’uovo… In un Paese che vive sommerso nei conflitti d’interesse, qualcuno ha ipotizzato un mio presunto conflitto d’interesse in quanto amministratore delegato della Sgr che gestisce il Fondo F2i, socio in Metroweb. Prima di tutto Metroweb non è in concorrenza con Telecom Italia: vende fibra spenta su Milano, a tutti gli operatori presenti sul capoluogo. Telecom Italia è tra i suoi clienti, contribuendo solo al 5% del fatturato. Comunque, ai dubbi sollevati, rispondo in termini di diritto. Io non sono mai stato consigliere di Metroweb, non sono mai entrato nel relativo consiglio di amministrazione. Né la Sgr svolge (né potrebbe svolgere) un ruolo di indirizzo e coordinamento per Metroweb. Quindi il richiamo all’articolo 2390 è fuori luogo. E poi, durante un mandato, qualsiasi consigliere può venirsi a trovare in posizione di conflitto. In tal caso già il Codice Civile indica i percorsi; e le parti, comunque, saprebbero trovare senz’altro tutte le protezioni necessarie.
Se va in Telecom, lascerà la guida di F2i?
Ho messo tutta la mia esperienza e la mia passione per realizzare F2i, un progetto che avevo messo a punto fin dai tempi di Autostrade e che poi stavo lanciando con l’amico Claudio Sposito di Clessidra. Oggi F2i è un benchmark europeo, il più grande fondo infrastrutturale al mondo che investe in un solo paese. Ora F2i si accinge a lanciare un nuovo fondo, su cui c’è grande interesse persino dal Medio Oriente. Ma avrà una durata di 15 anni: cccorre quindi pensare anche ad un progetto di successione in F2i, come insegna la best practice estera. Ho già cominciato ad anticipare, ad alcuni importanti investitori, soci anche della Sgr, una mia idea, maturata e condivisa anche con moglie e figli. Tra poco compirò 70 anni. Forse è il caso di chiamare il mio time-out dalla diretta operatività. A un certo punto della vita, è opportuno non continuare a portare i pantaloni corti, con i capelli bianchi. Si rischierebbe la pateticità. È giunto il momento di mettere a disposizione la mia esperienza non come operatività gestionale diretta, ma con, e per, ruoli diversi.
marzo 26, 2014