Intervista di Ludovico Poletto
Il dolore dell’amico: “Era capace di partecipare al dolore di tutti, si sentiva in colpa per la ricchezza e voleva dividerla con chi gli era vicino”
«Nel giro di un anno ho vissuto due dolori. Prima la morte di mia moglie, Barbara, e adesso quella del mio amico Gianni Vattimo. Li ho visti entrambi sul letto di morte: avevano posizioni identiche. Ed è una sofferenza ed una commozione fortissima quella che adesso mi assale».
Ha la voce provata e stanca al telefono Franco Debenedetti. Ha la voce di chi deve affrontare un’altra prova: la perdita di un amico. Ma parlare di Gianni Vattimo, come amico di una vita, è un viaggio che spalanca le porte sull’uomo, prima ancora che sul filosofo.
«Il ricordo più vivido che ho di lui? Che era una persona con un grande cuore aperto. Con gli amici e con gli amori della sua vita».
Dicono che Gianni Vattimo ha sempre amato tanto, è vero?
«Lui ha avuto diversi grandi amori. Tra questi c’è Giampiero Cavaglià, un germanista e magiansta, oltre che un traduttore e uno studioso. Purtroppo l’Aids se l’è portato via molto presto».
Ma non fu l’unico, non è vero?
«Dopo Giampiero ha avuto un secondo grande amore quello con Sergio Mamino, che era una persona molto diversa, ma sinceramente affezionato a Gianni. Pure lui era uno studioso, ma di storia dell’arte. E anche lui è mancato tragicamente, ucciso da un tumore al cervello. Pensi: chiese a Gianni di andare insieme in California, per un ultimo viaggio. E mancato accanto a lui in aereo. Oggi, con una nostra amica psicologa, parlavamo di questo. Ricordavamo come Gianni, oltre a questi amori, fosse sempre circondato da persone sincere, che gli volevano bene per quello che era».
Qual è il primo ricordo che ha di lui?
«Io avevo fondato una sezione di Rotary. Dovevo fare un intervento e mi rivolsi a Gianni per chiedere un’idea. Mi suggerì questo tema “Cultura di massa falsa libertà?”. Oltre al filosofo, allo studioso, lui era un uomo sincero, di cuore, amico fino in fondo, capace di prendere parte anche ai dolori degli altri».
Lei ne ha la prova?
«Certo. Quando morì, in un incidente in montagna mio figlio dodicenne, lo portammo a Torino da Cortina. Una mia amica che mi accompagnava nel triste viaggio di ritorno ha ancora impresso in mente il singhiozzo Vattimo mentre stavano spostando quella piccola bara all’aeroporto».
In questa scia di amori si inserisce anche la storia con Simone Caminada?
«Questa è una storia differente. Caminada ha certamente molti altri pregi, ma non è uno studioso come sono state altre persone».
Che cos’è che univa tra di loro questi due uomini così differenti per preparazione cultura, percorsi di vita?
«Gianni Vattimo sembrava che si sentisse colpevole di aver conquistato una certa agiatezza, grazie all’insegnamento universitario, ai libri che aveva scritto, ai giornali alle sue tante attività di studioso e di parlamentare. Ed è sempre stato accompagnato da un sorta di ansia di dividere questa ricchezza con altre persone. Aveva, insomma, un certo senso di colpa, sentiva il bisogno spartire il suo patrimonio con qualcuno. Fu anche per questa ragione che ad un certo punto sposò la figlia di una sua amica. Ma poi le cose andarono diversamente. Le racconto ancora di quando venne eletto al parlamento Europeo».
Che cosa accade?
«Anche lì si manifestava questa sua sorta di ansia di condivisione. Ai suoi portaborse pagava stipendi maggiori di quelli versati da altri parlamentari. Ed ha continuato ad aiutarli economicamente anche dopo la fine del incarico all’Europarlamento ».
Questa sua generosità si manifestava così anche con Simone?
«Questa vicenda, i relativi strascichi giudiziari e le ingiuste sofferenze che Vattimo è stato costretto a sopportare, sono sufficientemente note e possiamo anche non parlarne».
Senta, Debenedetti, ma secondo lei tra Caminada e Vattino era amore?
«Guardi, il fatto che per tanti anni abbia avuto accanto Simone è stata una grande fortuna per Gianni. Prima lo ha aiutato e accompagnato. Poi lo ha assistito. Chi, se non lui, si preoccupava di trovargli un posto un po’ fresco per passare l’estate? E chi gli ha gestito la casa in tutto questo tempo? Chi gli guardava la posta e lo aiutava? Mettiamo pure ci fosse una parte di interesse, ma ricordiamoci che c’è stato per anni. Grazie a lui e sua madre, Gianni, in quest’ultimo periodo, non è mai stato solo un minuto».
Quando ha visto Vattimo per l’ultima volta?
«Due giorni prima che mancasse».
Cosa vi siete detti?
«Mi ha riconosciuto. Abbiamo avuto uno sguardo d’affetto. Mia figlia, quest’oggi, rileggendo il necrologio mi ha detto “papà metti la parola affetto”. Ecco, è questo che c’era tra noi».
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