Fiscal Cliff – Debenedetti: un “fallimento” per Obama (e le Borse?)

gennaio 3, 2013


Pubblicato In: Varie


Intervista di Paolo Nessi

Il famigerato Fiscal Cliff, ovvero il baratro fiscale, una catastrofe recessiva, che avrebbe prodotto un aggravio contributivo per il 98% della popolazione americana, è stato evitato; senza l’accordo tra la Casa Bianca e il Congresso, sarebbero scaduti gli sgravi previsti dall’Amministrazione Bush, e quelli introdotti da Obama.
Contestualmente, sarebbe entrato automaticamente in vigore, dal primo gennaio, un piano di tagli alla spesa per un totale di 607 miliardi di dollari solo nel 2013. L’intesa raggiunta dal vicepresidente Joe Biden e dal leader della minoranza repubblicana al Senato Mitch McConnel prevede, a questo punto, l’aumento delle tasse per i redditi superiore ai 450mila dollari l’anno e rinvia di due mesi il piano dei tagli alla spesa. Franco Debenedetti, editorialista de IlSole24Ore, ci espone le sue valutazioni.

Come giudica, anzitutto, l’accordo in sé?
Il Frankfurter Allgemeine Zeitung di oggi ha in prima pagina, sotto il titolo “Quo vadis, Amerika?“ una vignetta di Willy, il Coyote dei cartoni animati, che sullo sprint prosegue per alcuni passi oltre il precipizio prima di rendersi conto che neppure lui può battere la gravità, e piombare in basso. Alludendo, mi pare, al fatto che se il primo gennaio non fosse stato festivo, i tagli automatici sarebbero già scattati. E il coyote sarebbe caduto.

Dall’accordo possiamo dedurne lo stato dell’economia americana?
La portata immediata del fatto è politica. L’impatto sull’economia, in qualunque caso, viene dopo.

Ci spieghi
L’Amministrazione Usa e il Congresso non sono stati capaci, in tutti questi mesi, di raggiungere un accordo. Il Presidente non ha ritenuto di convocare i rappresentanti del Congresso nella Stanza Ovale e di convincerli uno per uno, come aveva fatto Clinton. Il Financial Times fa un altro paragone, Obama non ha trovato dentro di sé il suo Lyndon Johnson. Adesso Obama va in giro trionfante a dire che per la prima volta i Repubblicani hanno votato un aumento di tasse, ma il lavoro l’ha fatto fare al suo vice, John Biden.

Quindi?
I numeri due dei presidenti americani di solito vengono eletti per accontentare minoranze interne, e Biden finora era noto più per le sue gaffe. Piuttosto, perché Obama non si è speso in prima persona? Nessuna risposta è lusinghiera per il presidente e rassicurante per gli osservatori. Non va bene neanche ai Repubblicani, perché il fallimento del precedente negoziatore John Boehner li indebolisce. Anche il fatto che Joe Biden e Mitch McConnell stessero a negoziare mentre 99 senatori e oltre 400 deputati stavano ad aspettare, ha lasciato strascichi negativi, al Congresso e nel Paese

Questo, cosa comporta?
Se si ricorre a strumenti eccezionali, come la delega a due soli rappresentanti, se questi trovano l’accordo solo a termini scaduti, significa che c’è stato qualcosa che non ha funzionato in modo normale proprio nel cuore dei processi democratici di formazione delle decisioni. Questo riguarda il Congresso, ma riguarda anche la leadership di Obama. Questa paralisi politica può frenare la ripresa. C’è il debito, che ha superato il PIL. E questo tocca la sicurezza dfel Paese. Del primo mandato di Obama si ricordano incertezze e ritirate, dall’Iraq all’Afghanistan, alla Libia, adesso in Siria. Cosa ne sarà, si chiede sempre il Frankfurter Allgemeine, della politica americana in Medioriente, della Primavera Araba? C’era bisogno di uno scossone, e invece c’è una frattura nel Paese. La prima potenza del mondo si è presa una pausa dalla politica mondiale.

Tra due mesi, cosa accadrà?
I problemi irrisolti si riproporranno, solo più difficili. E’ più facile tassare che tagliare. Perché tagliare significa toccare interessi organizzati, è politicamente costoso. Già sentito dire, no? L’America di Obama come l’Italia di Monti?

Ci saranno ripercussioni in Europa e in Italia?
Credo che sia rilevante più politicamente nel medio termine che economicamente nel breve. Azzardato interpretare gli andamenti dei mercati, ma l’euforia con cui hanno reagito fa pensare a un sospiro di sollievo: sono convinti che nell’immediato futuro, non ci saranno guai. Almeno non quelli che temevano.

Non crede, quindi, che l’accordo raggiunto sia positivo?
Certo che il contrario sarebbe stato catastrofico. Ma dal punto di vista politico, è un’altra manifestazione di debolezza. Cosa ne possono aver pensato i cinesi? Che l’America continuerà a comperare i loro prodotti. Ma sicuramente anche che l’America si rivela politicamente più debole. La cosa probabilmente non ha conseguenze immediate, non è neppure detto che sia un trend inarrestabile: ma il segnale non è certo di forza.

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