Femminicidio e suicidio: opinioni contrastanti

dicembre 28, 2023


Pubblicato In: Varie

La correlazione che istituisco tra i due fatti, femminicidioo e suicidio, dato che chi uccide conosce la pena in carcere che lo aspetta, probabilmente fino alla morte, è stata negata da Daniela Amenta: “gli autori di femminicidio” afferma “escono dal carcere in media dopo 10 anni. I dati sono agghiaccianti. Con la riforma Cartabia gli assassini delle donne possono avere la pena ridotta. Poi ci sono i casi di domiciliari per malattia o problemi psichiatrici, fino a eclatanti errori giudiziari.”
Le sue affermazioni sono radicalmente negate da Luigi Manconi, sottosegretario con Prodi, senatore dal 1994 al 2001, “le pene sostitutive” scrive “non riguardano né gli omicidi volontari, né quelli preterintenzionali, che sono puniti nel minimo con 10, 21, 24 anni (nel caso di omicidio della compagna) e fino all’ergastolo nei casi aggravati (per esempio in casi in cui vi sia anche violenza sessuale). Nella pratica, i condannati a pena temporanea non accedono alla detenzione domiciliare o all’affidamento in prova prima di essere arrivati a uno-due anni dal fine pena. Il che significa che, nei casi dei femminicidi, condannati a pena tra i 21 anni e l’ergastolo, è improbabile (mai visto un caso contrario) che possano accedere ai permessi prima di almeno quindici anni di carcere e a un’alternativa alla detenzione prima di averne scontati venti.”

Le riporto integralmente entrambe.


Daniela Amenta

Perché gli autori di femminicidio escono dal carcere in media dopo 10 anni. I dati agghiaccianti
Con la riforma Cartabia gli assassini delle donne possono avere la pena ridotta. Poi ci sono i casi di domiciliari per malattia o problemi psichiatrici, fino a eclatanti errori giudiziari. Le madri delle vittime: “Le uniche condannate all’ergastolo siamo noi”

Una precisazione, intanto. Dal punto di vista penale un femminicidio è trattato, nel nostro Paese, come un qualunque omicidio. La questione di genere non sposta dunque la decisione dei giudici, a meno di specifiche aggravanti come lo stupro, il fatto che la vittima fosse incinta o precedenti denunce per stalking. E forse su questo si potrebbe riflettere, visto il numero crescente di delitti contro le donne.

Pene più lievi
Poi, ovviamente, la pena può essere ridotta per rito abbreviato, buona condotta, malattia dell’imputato e, dal 2019, anche grazie a corsi dedicati agli uomini maltrattanti la cui frequentazione (non l’esito) riduce gli anni di detenzione. Come nel caso di Davide Fontana che nel gennaio 2022 massacrò la fidanzata Carol Maltesi e nascose i pezzi del corpo della ragazza in un freezer. Ora, neanche un anno dopo il delitto, è stato ammesso al «programma di giustizia riparativa» introdotto con la riforma Cartabia.

Assassini ma malati
Diverso il caso di Dimitri Fricano, 36 anni, condannato a 30 anni di reclusione per l’omicidio della compagna Erika Preti, uccisa con 57 pugnalate in Sardegna nell’estate del 2017. Scarcerato perché “grande obeso”. Malato anche Gian Luca Cappuzzo, condannato a 26 anni di carcere in via definitiva ma spedito ora ai domiciliari dal giudice di Sorveglianza. L’uomo l’8 febbraio 2006, quando era uno medico specializzando, anestetizzò la moglie Elena Fioroni con l’etere, l’avvelenò con un cocktail di farmaci e ne simulò il suicidio tagliandole le vene dei polsi, dopo aver narcotizzato i figli che all’epoca avevano tre e quattro anni. A loro avrebbe dovuto versare 250mila euro, ma non ha mai onorato la sentenza.

Se la malattia mentale accorcia la pena
Disturbi psichiatrici per Emiliano Frocione, padre di due figli, che il 9 settembre del 2014 uccise con 17 coltellate la moglie – Alessandra Agostinelli di 34 anni – per motivi di gelosia. Il 43enne di Alatri finirà di scontare la sua pena detentiva ai domiciliari.
Dopo 16 anni e mezzo lascerà il carcere a luglio anche Luca Delfino e in quanto “socialmente pericoloso” verrà accolto in una residenza per le misure di sorveglianza a Genova Pra’ di Villa Caterina. Il cosiddetto “killer delle fidanzate” è stato dichiarato colpevole di aver ucciso il 10 agosto 2007 a Sanremo la sua ex fidanzata Antonella Multari. Su di lui pende anche l’accusa, mai provata, dell’omicidio ne 2006 di un’altra donna con cui aveva una relazione, Luciana Biggi.

I permessi premio
Dopo sei anni di reclusione era invece in permesso premio Lucio Marzo che ad agosto, a Cagliari, è stato fermato ubriaco a bordo di un’auto che non poteva guidare, e ha cercato perfino di fuggire dopo l’alt della Polizia Stradale. Marzo stava scontando la pena di 18 anni e 8 mesi nel carcere minorile di Quartucciu (Cagliari) per aver ucciso la giovanissima fidanzata Noemi Durini, sepolta viva sotto un cumulo di pietre a Castrignano del Capo, in provincia di Lecce, il 3 settembre 2017.
Permesso premio, dopo 12 anni dietro le sbarre, anche per Salvatore Parolisi, condannato a 20 anni di reclusione per l’omicidio della moglie Melania Rea. L’ex caporalmaggiore nel suo primo giorno di libertà, in un’intervista alla Rai, ha ribadito di essere non un assassino ma solo un traditore seriale perché “Melania era troppo mammona”.

Recidivo ma scarcerato per buona condotta
Stefano Fattorelli, 50enne di Caprino Veronese, nell’ottobre 2022 ha accoltellato alla schiena la convivente. Nel 1999 aveva ucciso la moglie, Wilma Marchi, con le stesse modalità. Condannato a 12 anni era stato scarcerato per buona condotta.
Il 26 marzo 2023 è stato invece liberato, dopo 13 anni (ne avrebbe dovuto scontare 18) Abdelaziz El Houate, cittadino marocchino, che nel 2010 a Villanova di Camposampiero, uccise con più di cento coltellate la moglie, allora ventiduenne, Zineb Atif, mentre il figlioletto di appena due anni era in cucina a giocare.

Luigi Manconi

Si tratta di critiche del tutto infondate in quanto le misure (di civiltà) previste dalla Cartabia non si applicano se non marginalmente a fattispecie di questa gravità. Non si applicano, infatti, le pene sostitutive che si riferiscono unicamente a pene fino a 4 anni. Le misure alternative si possono applicare- sempre che il condannato ne sia meritevole- solo a seguito dell’espiazione, con buona condotta, di una quota molto significativa della pena. È possibile, certo, tentare un percorso di giustizia riparativa ma non è detto che la vittima si presti a raggiungere un accordo e, laddove ciò avvenisse, sarebbe probabilmente la più grande vittoria per tutti: le vittime che vedrebbero riconosciute le loro ragioni, il condannato perché avrebbe ammesso ogni responsabilità e dato dimostrazione di un serio ravvedimento e di condotte riparative, la società perché beneficierebbe sicuramente di più di quel percorso realmente rieducativo. Sui numeri non vedo belle statistiche del Ministero dati su alternative per tipo di reato.

Quindi, le pene sostitutive non riguardano né gli omicidi volontari, né quelli preterintenzionali, che sono puniti nel minimo con 10, 21, 24 anni (nel caso di omicidio della compagna) e fino all’ergastolo nei casi aggravati (per esempio in casi in cui vi sia anche violenza sessuale).

Nei casi di cui parliamo i termini per l’accesso ai benefici e alle alternative alla detenzione restano:

- Almeno metà della pena per i permessi (almeno dieci anni per gli ergastolani)

- Almeno due terzi della pena per la semilibertà (venti per gli ergastolani)

- Non più di quattro anni al fine pena per l’affidamento al servizio sociale

- Non più di due anni al fine pena per la detenzione domiciliare.

Nella pratica, i condannati a pena temporanea non accedono alla detenzione domiciliare o all’affidamento in prova prima di essere arrivati a uno-due anni dal fine pena. Il che significa che, nei casi dei femminicidi, condannati a pena tra i 21 anni e l’ergastolo, è improbabile (mai visto un caso contrario) che possano accedere ai permessi prima di almeno quindici anni di carcere e a un’alternativa alla detenzione prima di averne scontati venti.

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