Caro Direttore,
quando Antonio Foglia parla di requisiti patrimoniali delle banche, e se la prende con i regolatori incapaci di imporre livelli adeguati, non si può non essere d’accordo con lui… Ma quando, spostando il discorso sugli squilibri finanziari tra Stati europei, prende di mira «la sordità tedesca alla parole di Draghi» (Corriere della Sera del 26 luglio) allora non ci si sente di condividere la sua sicurezza. «La questione delle partite correnti è sempre stata trascurata, sia nei dibattiti accademici, sia nella gestione politica dell’area dell’euro» scrivevano Francesco Giavazzi e Luigi Spaventa in un paper del 2010 sulla crisi spagnola del 2008. Eppure si sa che disavanzi nei conti con l’estero servono a far convergere le economie solo se i debiti contratti finanziano investimenti produttivi tali da produrre surplus che in futuro li bilancino. Per Foglia non sono questi i problemi, bensì la Germania che ha una «errata comprensione» della crisi e che ignora «opportunisticamente» il problema; e a cui va quindi contestato che «non può poi ripudiare ì debiti che ha imprudentemente finanziato».
Per Foglia «la messa in comune di parte del debito pubblico è necessaria»; «chi aveva debito alto è giusto che riceva in contropartita la solidarietà degli altri Paesi»; «la transfer union è implicita nei trattati europei attuali». Il punto è: chi paga? Quelli che dovrebbero contribuire con i propri attivi, incuranti di quanti vorrebbero inchiodarli con la polisemia della parola Schuld (debito, obbligo, colpa, ndr), trovano la proposta per nulla «giusta», e hanno idee diverse su cosa sia «necessario». L’Unione Europea si basa sui trattati e i trattati, come sono esplicitamente scritti, non prevedono la transfer union; non solo, se non l’avessero esclusa, non sarebbero neppure stati firmati. Nessuno ha obiettato né nel settembre 2011 né dopo, quando la corte di Karlsruhe ha ricordato che anche l’acquisto di titoli sul mercato secondario, se fatto con l’intenzione di aggirare il divieto del finanziamento del debito sovrano, sarebbe vietato dal trattato. La questione sollevata da Foglia è non solo giuridicamente infondata, ma, quel che è peggio, è dubbio che sia economicamente risolutiva, ed è certo politicamente controproducente.
Del fatto che la transfer union non sia risolutiva, noi siamo la dimostrazione vivente. Quello erogato dalla Cassa/agenzia del Mezzogiorno è il trasferimento di risorse quantitativamente più grande che mai sia stato fatto, forse in assoluto, certo in proporzione al prodotto interno lordo (pil): con risultati quanto a riduzione delle differenze a dir poco deprimenti. Il nostro debito si è formato per uno scambio politico: era questo che gli altri Stati ci avrebbero dovuto condonare come premio per essere entrati nell’euro? È da vent’anni che abbiamo incominciato a perdere competitività, ma con la sola eccezione delle pensioni, non abbiamo posto mano a nessuna delle riforme necessarie: faremmo meglio se, grazie alla mutualizzazione (di parte) del nostro debito, si rilassasse il vincolo estero? Basta la lettura di questo giornale: tutti i giorni, nelle pagine interne, si accumulano gli elenchi di cose non fatte e di cose fatte male, una volta alla settimana, in prima, l’editoriale che li denuncia. E si ricomincia.
L’Europa è una straordinaria realtà: è un’eredità, senza bisogno di definizioni, è una comunità, senza bisogno di nation building. E invece l’Eurobarometro, il Pew, lo European Council on Foreign Relations, tutti registrano un impressionante calo della fiducia nelle istituzioni europee, per non parlare nell’euro. Raccontano di un euroscetticismo che dilaga come un virus, il Sud d’Europa lamentando la camicia di forza, il Nord accusando il fallimento nel controllare le politiche degli Stati indebitati. Anche sull’unione bancaria, autorevoli voci sostengono che quella trovata non è una soluzione. Che i problemi europei si risolvano con «più Europa» lo crede solo più il personale di Bruxelles: l’olandese Frans Tinunermans, socialista, ex ministro agli Affari europei, adesso propone «europeo se necessario, nazionale quando possibile». Nessuno può seriamente pensare alla fine dell’euro… Ma neppure che possa continuare questa distruzione di ricchezze, umane e materiali. Che si vada avanti a irrigidire, senza mai guardare in direzione di maggiore flessibilità.
In ogni caso, ritornando alla «sordità» denunciata da Foglia, mi guarderei dal fame una questione di diritti e doveri. Porla in termini morali oltretutto non conviene: sui diritti, perché è pericoloso illudersi di averne; sui doveri, perché si corre il rischio di essere invitati a un serio esame di coscienza.
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La sordità tedesca alle parole di Draghi
di Antonio Foglia – Il Corriere della Sera, 26 luglio 2013
luglio 29, 2013