Facebook e il valore delle azioni

febbraio 21, 2012


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali


Facebook e il valore delle azioni Il fatto che il valore di Borsa di Facebook sia un multiplo di quello di Boeing, induce Massimo Mucchetti («Se il Web va in Borsa e penalizza il lavoro», Corriere del 19 febbraio) a chiedersi dove andrà l’Occidente.

Il lungo ponte che lancia a collegare due realtà così diverse tra loro, poggia essenzialmente su queste considerazioni: potrebbe trattarsi di una bolla speculativa; si dirottano danari dall’economia reale a quella immaginaria, così distorcendo il mercato finanziario; si consuma il divorzio tra produttività e occupazione; l’occupazione di medio-alta specializzazione va trasferendosi nei Paesi emergenti. L’individuazione di una bolla presuppone non ovvie capacità predittive sul futuro dell’economia: tanto per fare un esempio, conosco aziende che negli anni Ottanta avrebbero potuto comperare una quota significativa di Apple, e poi hanno
rimpianto di non averlo fatto. In ogni caso le quotazioni di un limitato numero di aziende di successo sono una cosa ben diversa dalla bolla dot.com. Quanto al secondo «pilastro», quando si quota un’azienda in Borsa, il danaro non va all’azienda ma agli azionisti che vendono. Nessuno sa che cosa ne facciano del ricavato (oltre che pagare le imposte): potrebbe darsi che, condividendo le considerazioni di Mucchetti, comperino azioni della Boeing, o che diversifichino il loro patrimonio, lasciandone parte in «economia immaginaria», investendo il resto in aziende dell’«economia reale». A differenza di queste ultime, le aziende del Web chiedono pochi soldi al mercato, cioè, per dirla con Mucchetti, lo distorcono poco. Che poi l’aumento di produttività comporti, a parità di quantità prodotta, una riduzione di occupazione, deriva dalla definizione stessa di produttività. In un mercato concorrenziale,
questo aumento riduce il costo dei prodotti, e con quel risparmio i consumatori possono acquistare altri prodotti. Sembra arduo sostenere che l’aumento di produttività diminuisca il benessere di un Paese. Analogamente, la riduzione di costi grazie alla delocalizzazione crea problemi in Usa, ma ne risolve in India e Cina. Che possono usare il ricavato per fondare aziende, costruire ospedali, diffondere scuole: ma anche comperare aerei dalla Boeing, o investire in attività dell’economia «immaginaria» tipo Facebook. Il problema è che quegli aerei siano sempre i migliori, e di Facebook ce ne siano sempre di più.

Risposta di Massimo Mucchetti
Per una Olivetti che non capì la Apple e perse un affare (ma non dei soldi), ci sono milioni di risparmiatori ingannati dalle dotcom. Pagare l’azione Facebook 100 volte gli utili è
preveggente? Contento lui… Che cosa sia la produttività in una singola impresa è noto a tutti, perfino a me. Peccato che mi riferissi al complesso dell’economia americana dove, per la prima volta da 80 anni, all’aumento della produttività non si accompagna più da una decade analogo aumento dell’occupazione. Mi pare serva di più misurarsi sulle novità anziché ribadire gli schemi del passato.

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Se il Web va in Borsa
di Massimo Mucchetti – Il Sole 24 Ore, 19 febbraio 2012

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