Il presidente di Open Fiber, Franco Bassanini, Corriere della Sera del 9 agosto, torna sul suo tema preferito: rete telefonica unica e pubblica. Il 13 twitta un ringraziamento a Beppe Grillo che questa preferenza aveva da tempo espresso ed ora riconferma. Ci si chiede: unica perché pubblica o pubblica perché unica? La vogliono pubblica e per questo sarà unica, o unica perché così sarà anche pubblica?
I governi hanno sempre oscillato tra le due posizioni. Con Stet pubblica, quando qualcuno incominciò anche da noi a posare cavi coassiali per la televisione, la legge 103/75 estese alla posa di cavi il suo monopolio delle telecomunicazioni. Per questo a differenza degli altri paesi l’Italia non ebbe la rete coassiale e quindi partimmo, e restammo a lungo in ritardo nella connessione con fibra. Quando si trattò di privatizzare Stet, si discusse se tutta o in parte, ma nel senso di vendere il 100 per cento o meno. Era chiaro a tutti quello che oggi molti sembrano dimenticare, che la rete non è fatta solo di cavi, ma di computer e di programmi software: sono loro che dividono le nostre comunicazioni in pacchetti, li indirizzano e li ricompongono all’arrivo. Se si leva la fibra, l’azienda si riduce a vendere e fatturare connessione. Per Bassanini la privatizzazione è stata sbagliata perché la rete è rimasta in Tim? Oppure è stata giusta allora, perché si è potuto creargli un concorrente, ma, adesso che questo c’è ed è pubblico, è sbagliata, e bisogna levargliela per rifarla unica, e quindi pubblica?
Bisogna distinguere tra concorrenza infrastrutturale e invenzione politica, camuffata da sinergia con la sostituzione dei contatori elettronici Enel. E’ stato Renzi nel 2015 a volersi erigere a risolutore di un problema, quello del ritardo nelle infrastrutture ottiche del paese, mentre il recupero delle posizioni in classifica era già iniziato nel 2012, con la decisione di Tim e di Fastweb di promuovere lo sviluppo del Fttc (fibra ai cabinati, primo passo per portarla in casa) che nella nostra rete in rame, che è tra le migliori, persino senza potenziamento con la tecnica vectoring può spesso fornire più di 100 Mbps. E la crescita è continuata per alcuni anni: e non certo per l’avvento di Open Fiber, perché i collegamenti Ftth crescono lentamente e, ancor più, è irrisorio il numero degli abbonamenti, ossia dell’utenza pagante. Sono i numeri a dare torto a Bassanini: a oggi solo 1,2 milioni di utenti Ftth che uniti agli 1,3 milioni in tecnologia Fwa (Fixed wireless access) l’altra tecnologia preferita da Open Fiber per contrastare Tim, realizzano un po’ più del 7 per cento delle case servite a banda larga in Italia. Una miseria.
D’altra parte Open Fiber, vinte le gare pubbliche per oltre 7.000 comuni con l’impegno di realizzare in tre anni la copertura fino alla casa (Ftth) nelle aree cosiddette bianche , adesso chiede una proroga di ben tre anni, pretendendo di estendere così ad almeno sei anni una condizione di monopolio di fatto. Secondo il documento Mise del 31 luglio 2020, il progetto “definitivo” (cioè indipendente dai permessi municipali che lo rendono “esecutivo”) risulta realizzato solo nel 61 per cento dei casi. Il numero di impianti collaudati è pari a solo 315 su 9.227 progetti previsti ossia il 3,4 per cento del totale. Bassanini scrive che “la rete unica consentirebbe una forte accelerazione”: di Open Fiber, se acquisisce la rete Tim, senza dubbio.
Se non ci fossero tutte le ragioni contro gli interventi dello stato in economia; se non ci fossero quelle specifiche contro una ri-pubblicizzazione che ridurrebbe Tim a una rete di vendita, e con cui ci guadagneremmo sui mercati la fama di espropriatori seriali. Se tutto questo non bastasse, c’è da chiedersi: c’è da fidarsi di uno stato che cambia idea a seconda delle convenienze del governo? Bassanini sostiene che non funzionano i rimedi delle autorità per limitare le pratiche anticoncorrenziali di chi ha reti integrate: e che lo dimostrerebbero le multe che gli hanno fatto pagare. Masochisti oltre che integrati?
Contrariamente a quanto scrive il presidente di Open Fiber, il codice europeo delle comunicazioni prevede due modelli, il coinvestimento in fibra, abbracciato da tutti i grandi paesi, e il wholesale only, inserito per forte pressione di Open Fiber, ma che vede in Europa solo poche attuazioni localizzate. Tim quest’inverno aveva avanzato una proposta di coinvestimento in fibra aperta a tutti gli operatori, ma Open Fiber non ha risposto. E poi, questo comporta separare chi costruisce l’infrastruttura da chi la usa per vendere servizi: una contrapposizione che complica, rallenta e restringe le decisioni di investimento, soprattutto dove non c’è ancora la domanda che lo ripaghi.
Certo che i concorrenti di Tim sono a favore della rete unica. Hanno solo da guadagnare: se gli si leva la rete, hanno un concorrente indebolito, se non peggio; se la rete resta in Tim, diminuirà il prezzo della partecipazione che questa ha già detto di essere pronta a cedergli; e se la rete diventa tutta pubblica, sarà mal comune mezzo gaudio.
La cosa più semplice sarebbe fare come si fa tra imprese che, come scrive Milton Friedman, devono “engage in open and free competition, without deception or fraud”. Lo stato adesso vuole riunire quello che con Open Fiber ha diviso? Faccia un’offerta, ma senza prepotenza: non ha nessun diritto di comandare.
La risposta del Direttore
Premetto che sono a favore della rete unica e che tifo affinché il modello di rete unica che presto ci sarà assomigli il più possibile al modello di successo che l’Italia ha sperimentato in questi anni con le ferrovie. Detto questo capisco bene il senso del suo ragionamento ma offro un punto di riflessione ulteriore che non si può ignorare: la concorrenza tra Open Fiber e Tim, al di là di tutte le critiche del caso che si possono fare, ha fatto bene o no al mondo delle telecomunicazioni? E se non ci fosse stata questa concorrenza, che per una volta lo stato ha favorito e non ostacolato, l’Italia sarebbe arrivata all’appuntamento con la rete unica più o meno pronta di come lo è oggi? La risposta potrebbe essere sorprendente. O no? Un abbraccio.
Commento di Alberto Mingardi.
C’è una considerazione che trovo molto persuasiva, nella sua risposta a Franco Debenedetti sull’assetto delle tlc in Italia. Tim e OpenFiber hanno funzionato bene o male? La cosa più sorprendente del dibattito sulla rete unica, che tanto appassiona le nostre classi dirigenti, è che nessuno pone questo interrogativo nel contesto degli ultimi mesi. La domanda di servizi ha visto una crescita impressionante, a causa del lockdown. Nonostante anni di polemiche sul rame, invocazioni al ritorno del monopolio (ripubblicizzato), chiacchiere sul modello Terna, la rete ha retto. Forse è una delle poche cose che hanno davvero retto, in questo nostro Paese. E allora con quale logica la politica nella sua agenda mette prima cambiare ciò che funziona, che cercare soluzioni alle tante cose che non funzionano? E non solo la mette prima di tutto il resto, ma trasforma le sorti di aziende quotate, che impiegano migliaia di persone, in una faccenda di bandierine e di “tifo” per questo o quello? Anch’io, come lei, da bambino giocavo coi trenini e subisco il fascino della metafora ferroviaria. Ma non ci sono carrozze e vagoni nella competizione fra operatori telefonici. Gli standard tecnologici rilevanti – lo scartamento dei tempi nostri – sono definiti nel campo dell’elettronica di consumo, lontano dall’Italia. E per fortuna.
Risposta di Franco Bassanini
Non mi sorprendono le pesanti critiche di Franco Debenedetti al mio intervento sul Corriere sulla rete unica Tlc: la mia posizione (dichiaratamente di parte, visto che sono e mi firmo come presidente di Open Fiber) è che l’unica alternativa rispettosa delle regole della concorrenza e degli interessi del paese è tra la competizione infrastrutturale (normale in Europa e finalmente avviata anche in Italia grazie a Open Fiber) oppure una rete unica neutrale e wholesale-only; tertium non datur. La posizione di Deb. è invece da sempre a favore di una terza soluzione, il ritorno al monopolio di Tim (in singolare contraddizione con le sue dichiarate convinzioni liberiste).
Mi sorprendono invece gli errori in fatto e le fake news che costellano la sua lettera. Faccio qualche esempio.
1. Le reti tv cavo in Italia mancano non perché ne fu riservata la costruzione a Sip, come scrive Deb., ma perché un accordo consociativo Dc-Pci-Psi vietò per molti anni alle reti cavo di distribuire più canali tv; così in Italia nessuno ebbe convenienza a investire nel cavo, e fu salvaguardato insieme il duopolio Rai-Fininvest delle tv nazionali e il monopolio Telecom della rete Tlc. Negli altri paesi europei le reti cavo (che garantiscono oggi connettività fino a 10 Gbps!) offrono invece una alternativa alla rete dell’ex monopolista, che è stato costretto a investire per non perdere troppo terreno.
2. Deb. traccia un quadro fantasioso sulla qualità della rete Fttc di Tim (fibra fino all’armadio, poi rame), facendone conseguire che gli investimenti in reti interamente in fibra (Ftth) per cui è nata Open Fiber siano pressoché inutili. Se è vero che in certi casi le reti Fttc possono raggiungere 100 e anche 200 Mbps (ma solo in download), è altrettanto vero che questo dipende dalla posizione dell’armadio stradale rispetto al luogo servito e dal numero di utenti collegati a quell’armadio. Un armadio stradale collocato oltre 500 metri dal luogo servito non può garantire neppure 30 Mbps in download e 15 Mbps in upload, come ammette anche Tim. In più le reti integralmente in fibra garantiscono prestazioni molto superiori in termini di latenza, affidabilità, minor consumo di energia. In assenza di reti cavo alternative e di fronte alla (legittima) scelta di Tim di ritardare al massimo la sostituzione del rame con la fibra, si capisce dunque la scelta dei governi Renzi e Gentiloni di promuovere la nascita di una società dedita alla realizzazione di reti in fibra, scelta peraltro capace di innescare anche in Italia quella competizione infrastrutturale che in tutta Europa aveva costretto l’ex monopolista a accelerare i suoi investimenti. In tre anni e mezzo, dalla sua nascita, la nuova entità ha connesso in fibra quasi 9 milioni di abitazioni, su un totale di 30: poco, tanto? Per una new entry, comunque un buon risultato. Se oggi si parla di rete unica per connettere in fibra, in pochi anni, il 100 per cento del paese, è perché Open Fiber esiste.
3. Il recupero italiano nelle classifiche europee non comincia dal 2012, come Deb. scrive, ma dal 2017, grazie a Open Fiber: facile verificare.
4. Deb. cita il codice europeo, che privilegia due modelli, il coinvestimento e il modello wholesale-only, e scrive che quest’ultimo sarebbe stato inserito solo “per le pressioni di Open Fiber”. La verità è che il codice ha preso atto che in molti paesi europei già operavano infrastrutture wholesale-only, principalmente a livello locale o regionale, ma non solo; e che tale modello fornisce le migliori garanzie sotto il profilo della concorrenza fra gli operatori, come già avevano sottolineato nel 2014 le Autorità italiane della Concorrenza e delle Comunicazioni.
5. Il modello di coinvestimento privilegiato dal codice europeo non corrisponde a nessuno degli accordi preesistenti fra operatori, come quello fra Tim e Fastweb (Flash Fiber), contrariamente a quanto scrive Deb. Tali accordi non nascevano per essere aperti a tutti i potenziali coinvestitori, ma erano limitati alle sole parti contraenti. Il nuovo codice invece prevede l’apertura dell’offerta di coinvestimento a tutti gli operatori interessati, non prevede una rete unica, ma più reti che finanziano e realizzano insieme nuove tratte comuni in Ftth o Fwa, e soprattutto devono garantire parità di trattamento a tutti gli operatori cosa che l’accordo proposto da Tim non faceva, come invece fa la infrastruttura neutrale a 20 Gpon di Open Fiber
6. Per quanto riguarda le aree bianche, Deb. accusa Open Fiber di aver richiesto una proroga di tre anni per il completamento della rete che sta costruendo per conto dello Stato. Ma non ricorda gli impegni che Tim aveva assunto nel 2015 di portare la fibra entro tre anni almeno fino agli armadi (cabinet) in molte aree grigie, impegno che ora dichiara di potere mantenere solo entro il 2021, cioè per l’appunto con un ritardo di tre anni. Deb. omette poi di ricordare che l’inizio dei lavori di Open Fiber è stato ritardato di quasi due anni a causa dei ricorsi presentati da Tim spesso solo a scopi ostruzionistici (ricorsi che Tim ha sinora tutti perduti), e che i ritardi nella copertura delle aree rurali in Italia sono da imputarsi principalmente ai ritardi nel rilascio delle autorizzazioni amministrative (quasi 100.000) e alle complicazioni delle procedure a evidenza pubblica imposte al concessionari, come ha evidenziato il Rapporto Desi 2020 della Commissione europea.
7. Con riferimento al numero di utenti Ftth in Italia, Deb. finge di ignorare che la migrazione delle famiglie e delle imprese sulla nuova rete in fibra di Open Fiber (molto più perfomante di quella ibrida fibra-rame di Tim) è stato ostacolato da pratiche anticoncorrenziali di market preemption messe in atto da Tim , pratiche di recente pesantemente sanzionate dall’Autorità della Concorrenza. In conclusione: si può discutere di quale sia la soluzione migliore per l’accelerazione dell’infrastruttura digitale del paese fra l’attuale concorrenza Tim/Open Fiber o la creazione di una rete unica. In altra sede ho più volto esposto i pro e i contro delle due soluzioni. Quel che non si può proporre, perché non rispetterebbe le regole a garanzia della concorrenza e non servirebbe ad accelerare la migrazione dal rame alla fibra, è un impossibile ritorno al monopolio di Tim.
Mia risposta a Franco Bassanini
Contrariamente a quanto sostiene Franco Bassanini, quello che lo stato ha venduto nel 1997 (e consentito venisse rivenduto nel 1999 e nel 2001) non è un monopolio: secondo le regole europee è un “operatore a significativo potere di mercato” e, come tale, regolato (e, ove necessario, sanzionato). Tant’è che gli han fatto concorrenza Fastweb, Wind, Vodafone, Metroweb. Creata per fargli concorrenza, Open Fiber ha invece per tre (ora sei) anni il monopolio negli oltre 7.000 comuni delle aree bianche che si è aggiudicata in gara. Monopolio di stato, di fatto, e su tutta la rete, sarebbe se ora Open Fiber, in nome delle rete unica e pubblica, entrasse nella società della rete di Tim e pretendesse che le venisse sottratta la maggioranza di controllo. L’emendamento di Luigi Einaudi (indubbiamente un liberale) all’art. 41 volto a mettere in Costituzione il divieto di leggi che formino monopoli non fu approvato. Non per questo c’è una legge che lo consenta.
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