Errori a sinistra

luglio 5, 2002


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

sole24ore_logo Ogni giorno può essere quello buono per una sinistra di Governo. Poteva esserlo mercoledì, nel dibattito parlamentare sul caso Scajola. Può altrettanto esserlo oggi, quando il Governo varerà il DPEF.

Incominciamo dal caso Scajola. Se il centrosinistra avesse seguito il consiglio di D’Alema, che aveva proposto che parlasse un solo esponente dell’Ulivo alla Camera e uno al Senato, il dibattito sulle dimissioni del ministro dell’interno avrebbe un diverso svolgimento. Con vantaggio per l’opposizione ma, a ben vedere, anche per la maggioranza. Ma, si sa, alla diretta televisiva non si resiste: è così è finito che a parlare da parte dell’opposizione sono stati sei alla Camera e sette al Senato.

Il centro sinistra poteva giocare una carta forte e doveva evitare una trappola.
L’argomento forte erano i fatti: un ministro che prima dice di non saper nulla delle scorte; poi dice che le scorte non servono perché le scorte non difendono neanche se stesse; e infine se ne esce col l’irripetibile giudizio su Biagi. Era, per il centro sinistra, l’occasione per indicare la responsabilità di un Presidente del Consiglio che per giorni ha esitato, pensando di poter lasciare al Viminale un Ministro dimezzato piuttosto che por mano alla sua dovuta e immediata sostituzione.
La trappola per il centro sinistra era quella di confondere, sul banco della difesa, Cofferati e lotta al terrorismo. Trappola, perché Cofferati e la Cgil non hanno nulla da cui difendersi se non sul piano della battaglia politica. Trappola, perché chiunque continui questa confusione tanto nelle accuse quanto nella difesa, contribuisce solo ad avvelenare i pozzi. E, poi Scajola non è Cossiga, non si è dimesso per non avere impedito l’assassinio di Biagi. Proprio in queste trappole, purtroppo, sono caduti molti degli interventi sia alla Camera che in Senato. E l’immagine di una sinistra di Governo ne ha sofferto, recuperando punti con l’apertura dalemiana a una comune visione istituzionale dell’impegno antiterrorismo.

Una comune visione istituzionale é quella che sarebbe utile anche, e forse soprattutto, in economia. Nessuno può pensare, ovviamente, che maggioranza e opposizione votino insieme la prossima finanziaria, ci mancherebbe. Il fatto é un altro. L’andamento dell’economia mondiale da un parte, e quella italiana ed europea nel suo contesto, richiederebbero per un Paese col nostro debito pubblico, uno sforzo che guardi al paese prima che alla propria parte politica.
Nessuno dei quattro pilastri su cui poggiava il disegno di Giulio Tremonti per liberare le energie della nostra economia, al momento pare funzioni. Né la Tremonti bis né l’emersione, come ammette lo stesso Governo; i capitali fatti rientrare hanno segnato un grande successo di fiducia ma non vanno a finanziare gli investimenti; e la flessibilità sul luogo di lavoro è diventata un simbolo pagato a caro prezzo.
Con queste premesse il DPEF che verrà varato oggi si trova a fare i conti con saldi pubblici da garantire in sede europea che, nel giro di poche settimane, oggettivamente hanno visto attenuarsi la loro possibilità di conseguimento. E ciò malgrado la formula “close to zero” approvata al consiglio di Siviglia. Le misure annunciate di contenimento di un punto percentuale per anno della spesa corrente, inutile illudersi, rappresentano il bis di impegni sin qui mai mantenuti da nessuno.

Il Governo insiste nella piena attuabiltà del primo scaglione di sgravi IRPF e IRPG, ma le lunghe ombre di una spesa fuori controllo continuano, a un anno dal suo insediamento, a ipotecare la sua credibilità. Ciò malgrado, proprio la stretta finale del dialogo con i sindacati, l’impegno a modifiche significative del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, come per il Mezzogiorno, sono tutti capitoli dai quali difficilmente ci si può attendere altro che maggiori impegni di spesa.
In questa prospettiva non é solo il Governo chiamato a far bene i suoi conti. Un’opposizione di Governo dovrebbe comporre una nuova tavola delle compatibilità economiche, alla luce di ciò che é congiuntura e proiezione di bilancio ci consegnano. Più che questo invece, l’opposizione sembra interessata a discutere la bocciatura da parte di Ecofin delle iniziative di cartolarizzazione del lotto e della vendita degli immobili. Fatto in sé poco rilevante: quello che importa davvero è che siano incassi per lo Stato, assai meno se debbano essere contabilizzati o nel 2002 o nel 2003. Semmai sarebbe proprio l’occasione di considerare i limiti, di cui si sta accorgendo la comunità scientifica, di un’impostazione basata su parametri, come quelli del patto di stabilità, che “funzionano da incentivi per focalizzarsi sul banale e trascurare il cruciale” (Jean Pisani-Ferry sul Financial Times del 28.6).

La bocciatura di Bruxelles non avrà grandi conseguenze sulla politica economica del Governo. Ma è comunque ben singolare che il centrosinistra, pensando che abbia conseguenze restrittive, mostri di rallegrarsene: e questo proprio mentre si cercano risorse per gli ammortizzatori sociali. Meglio che ci siano soldi per dare aiuto ai lavoratori o che non ci siano per dare ragione a Cofferati?

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