Enel scalabile dall’estero è nell’interesse del Paese

luglio 15, 2006


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Intervento

Basta che si profili l’ipotesi di un’OPA ostile estera su Enel, e subito scatta il piano di “soccorso”. Quello al momento più in voga passa attraverso la fusione ENI-Enel, lo scambio delle rispettive attività nel gas e nella generazione elettrica, per consentire al Governo di vendere la partecipazione che ancora detiene in Enel, mantenendone indirettamente il controllo e, di passaggio, quello in Snam Rete Gas. (Christian Martino e Giuseppe Oddo, Il rischio di OPA apre la strada a ENI-Enel, Il Sole 24 Ore del 4 Luglio).

Lasciamo da parte i fin troppo scoperti interessi aziendali, e parliamo solo dei riflessi pavloviani: è proprio una verità che non ha bisogno di prove, una certezza che non conosce dubbi, che un’Enel in mano straniera sia un pericolo da scongiurare?
Una grande azienda è un modello di organizzazione di risorse, ha effetti economici e culturali di trascinamento dell’economia, ha i mezzi per finanziare ricerche, può difendere il proprio spazio di crescita endogena, e, con una aggressiva politica di acquisizioni, può contenderlo ai suoi concorrenti: può essere un grande motore di sviluppo del mercato. A una condizione: che rispetti le regole del mercato. Un Paese ha interesse a favorire il formarsi di grandi aziende, a “soccorrerle” nei momenti di difficoltà. Con un limite: che favori e soccorsi non alterino le regole della concorrenza, bloccando artificialmente la contendibilità. Altrimenti si entra in un loop di contraddizioni, e si finisce di segare il ramo su cui si è seduti. Sergio Marchionne, all’Unione Industriale di Torino, ha parlato della “distruzione creatrice” come di un meccanismo di selezione e crescita fondamentale per il buon funzionamento del sistema capitalistico: ma quel meccanismo deve poter operare sia sulle strutture produttive sia sulle strutture proprietarie.

Grande, ma quanto grande? La privatizzazione del governo D’Alema ha lasciato un’ Enel che nel 2005 copre ancora oltre il 45% dei consumi, ma che, soprattutto, è dominante nella disponibilità degli impianti. Per questa ragione, e per il mix di centrali di cui dispone, l’Enel è sovente in grado di “fare” il prezzo alla borsa elettrica, di fatto svuotando questo strumento della sua efficacia. L’attuale dimensione dell’Enel e della posizione dominante che ne deriva, riduce la concorrenza tra operatori sul prezzo: non è un valore da difendere. Proprio il “rischio di OPA” dovrebbe spingere il Governo a porre rimedio a questa anomalia finché è in grado di farlo grazie alla partecipazione che detiene in Enel, a farlo di per sé, indipendentemente dalla nazionalità di chi potrebbe lanciare l’OPA.

Corretta che fosse questa anomalia, che cosa potrebbe accadere di tanto pernicioso se il controllo dell’Enel cadesse in mani straniere? Nonostante sian passati ormai 7 anni dalla prima liberalizzazione, il mercato elettrico è ancora zeppo di ostacoli e privilegi: dagli incerti confini degli obblighi di servizio universale dell’Enel, alle condizioni di fornitura per il clienti liberi, agli scandalosi costi del CIP/6. Se si temono insufficienti investimenti, inadeguata riserva di capacità produttiva, il rimedio si chiama eliminazione degli ostacoli all’espandersi di nuovi entranti. Se il Governo vuole riservarsi il diritto di intervenire in tema di politiche di approvvigionamenti o di mix di fonti energetiche, si doti fin d’ora degli strumenti che ritiene. La risposta alla “ipotesi teorica” di cui parlano Martino e Oddo, non sta nel mobilitare “soccorsi” alla situazione esistente, ma nel promuovere azioni pro-concorrenziali ed eventualmente nel definire spazi e poteri di direttive di Governo. E’ l’aspettativa di “soccorsi” che rende l’Enel poco efficiente, dunque scalabile, con un titolo che, nonostante i dividendi succulenti, non ha recuperato il prezzo di collocamento: che l’Enel possa essere acquistata da stranieri è una porta non solo da non sbarrare, ma anzi da mantenere bene aperta.

La vicenda Autostrade-Abertis, pur con tutte le diversità, non ha proprio insegnato niente? E’ stato necessario un cambiamento di struttura proprietaria, perché la concessione apparisse non garantire adeguatamente l’interesse del Paese, perché venisse in mente di chiedere garanzie reali in caso di lavori ritardati; soprattutto, per accorgersi che il soggetto posto a controllare il rispetto della concessione era lui per primo ad avere bisogno di controllo, e che anzi era talmente inaffidabile e inadempiente da dover essere mandato a casa.
Che le politiche protezionistiche danneggino in primo luogo chi le pratica, lo si sa da tempo. iò che è accaduto ieri con Autostrade, ciò che potrebbe accadere con Enel domani ci dice una cosa in più: che rinunciare all’idea stessa di “soccorso è ciò che meglio consente di perseguire gli interessi del Paese.

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