Le reazioni con cui è stata accolta la recente segnalazione di Amato sono, per certi versi, ancora più significative della questione ‘privatizzazione Enel’ che ne è l’oggetto. Esse da un lato confermano la grande autorevolezza dell’Autorità, sono un attestato dell’incisività che le ha saputo imprimere il suo attuale presidente. Dall’altro rivelano quanto forti siano le resistenze culturali a lasciare libero gioco alle forze del mercato e della concorrenza, o quanto radicate le nostalgie: così Rasi (An), accusando Amato di fare un intervento politico, sembra rimpiangere gli interventi di politica industriale di cui ricordiamo alcuni remoti fasti ma ancora lamentiamo i postumi di numerosi e recenti nefasti.
Così l’ on.le Rubino, che la foga polemica induce a un sorprendente infortunio: egli si chiede «come mai i problemi che Amato vede ora, con un Enel privato unitario, non li vedeva prima con un Enel unitario e pubblico». Ma il presidente della commissione Attività produttive della Camera dovrebbe sapere che la legge 287/90 all’art.8 prevede che i poteri dell’Autorità non si applicano alle imprese pubbliche per tutto quanto strettamente connesso all’espletamento degli specifici compiti loro affidati. L’Antitrust sarebbe cioè potuta intervenire solo se nell’operato dell’Enel si fosse ravvisato l’abuso di posizione dominante: quindi Rubino implicitamente aggiunge di suo una nuova (e immotivata) accusa alle molte e severe che sono state mosse all’Enel.
Quella dell’Enel – per i ricordi che suscita di una decisione fondamentale della nostra storia politica ed economica, il centrosinistra e la nazionalizzazione; per la dimensione economica dell’azienda; per il fatto che, a differenza di Stet, è ancora intieramente di proprietà dello Stato; per essere quello elettrico uno dei pochi settori in cui il monopolio ha ancora un parziale carattere naturale – è davvero la più critica delle privatizzazioni. Il governo ha scelto la strada di porla ai primi posti dell’agenda, ma allora dovrebbe sostenere che questo ne è il motivo, non quello dell’urgenza economica. Quest’ultima è un falso problema: se un’Enel ‘trina’ fosse più efficiente, il valore attualizzato dei risparmi supererebbe rapidamente e di gran lunga i benefici finanziari di una privatizzazione anticipata di un paio d’anni. Alla nostra credibilità internazionale possiamo provvedere con l’Eni, con le tante banche, con le Autostrade, con Finmeccanica di cui mai si parla, fin con il monopolio tabacchi di cui immediatamente si tace; con Stet, purché anche lì non si preferisca realizzare qualche soldo in più vendendo quote minoritarie di un monopolio ancora più esteso dell’attuale.
Le privatizzazioni sono un cambiamento di sistema: se Ansaldo non è privatizzata, le pressioni a comprare italiano, senza troppo guardare al prezzo, potranno continuare a esercitarsi. Se le banche non saranno privatizzate, se non sorgeranno investitori istituzionali, mancherà la funzione di supervisione della gestione, e le public company saranno sgabello a un management inamovibile. Se Enel resterà un colosso indiviso, non sarà scalabile, se le attività di distribuzione dell’energia elettrica non faranno capo a diverse società, mancherà la competizione per i diritti di proprietà, unica forma di concorrenza possibile laddove quella nelle forniture è limitata dal carattere naturale del monopolio. Se il regime prevalente continuerà a essere quello delle concessioni, anziché delle autorizzazioni, e se quella elettrica, come continua a sostenere C16, sarà unica, le privatizzazioni non segneranno il ritrarsi dello Stato dal governo delle attività economiche: allora si continuerà a biasimare oggi l’Antitrust, domani le Authority, di fare le loro segnalazioni al pubblico, come è loro dovere, anziché all’autorità politica, da cui le si vuole indipendenti.
Il cambiamento di sistema è anche un cambiamento culturale: ha ragione Guerci a lamentare l’assenza di studi approfonditi sulla questione elettrica: ma il non averli promossi, essersi armato «di sole opinioni», autorevoli sì ma note da tempo, è responsabilità precipua del governo. Approfondimenti tanto più necessari quando la monocultura è essa stessa figlia del monopolio, per anni unica fonte di dati e di esperienze, che ha automaticamente (ma a volte anche attivamente) influenzato i centri di ricerche e del sapere.
Così ci si ritrova a discutere dell’esempio inglese, istituendo paragoni tra situazioni affatto diverse, non foss’ altro che per le basi di partenza. Al qual proposito si vorrebbe solo osservare che proprio il fatto che in presenza di tariffe regolate col meccanismo del price cap gli utili delle società elettriche siano stati più alti della media, dimostra quali margini si possono ricavare in regime di concorrenza, e come sia arduo per un’Authority superare l’asimmetria informativa rispetto alle aziende. Se lo è laddove può metterle in concorrenza tra loro, se ne immagini l’impotenza di fronte a un’azienda monopolista. Così ci si ferma acriticamente di fronte a uno dei pochi residui tabù della sinistra, il dogma della tariffa unica. Questa comunque non sarebbe assolutamente incompatibile con un’Enel divisa: l’Enel avrà pure una contabilità per aree di costo, basterà rendere espliciti quelli che oggi sono meccanismi di compensazione interna.
Ci sono, lo si riconosce, buone ragioni per mantenere E-nel unitario: l’azienda è ragionevolmente efficiente, i costi per la contrattualizzazione dei rapporti potrebbero essere superiori ai benefici che ci si può attendere dalla concorrenza. Ma allora si ha l’obbligo di dire per quali ragioni un Enel privato e unitario sarebbe più efficiente di un Enel unitario e pubblico, perché un Enel privato e unitario saprebbe resistere alle pressioni che hanno indotto il management di Enel unitario e pubblico alle «scelte esogene» di cui pudicamente parla il professor Zanetti sul Sole del 23 agosto. Allora i vertici dell’ente dovrebbero indicare le ragioni per cui servirebbero meglio gli interessi dei soci di una public company, senza neppure il deterrente di un’eventuale scalata, piuttosto che il governo. Allora i funzionari del ministero dell’Industria (nomi e date alla mano) dovrebbero dirci perché non hanno preteso dall’ente la «sistematica e impegnativa revisione della base fornitori» che invoca Guerci: aspettavano l’Authority? Finché queste prove non saranno state fornite, anche qui con nomi e date, se, sempre secondo Guerci, «la concorrenza in materia elettrica sta diventando una specie di araba fenice in tutto il mondo», allora la tesi unitaria posta a una conclusione paradossale ma obbligata: la privatizzazione dell’Enel è illegittima, come quella che dà un bene redditizio comune a chi può acquistarlo, sottraendolo a chi non può, senza potergli dare in cambio certezza di minori costi della bolletta. In tal caso risparmiamoci almeno i costi dell’Authority.
Rimarrebbe da parlare dello specifico progetto C16, di cui per ora sappiamo solo che la concessione sarà unica, che i produttori venderanno tutti all’Enel, che la distribuzione non sarà divisa; e degli argomenti con cui supporta la sua scelta: dipendenza energetica, collaterali dei debiti, patrimonio tecnologico, interconnessione europea. Argomenti noti, come note sono le risposte. Per una loro più distesa discussione, non basta il margine della pagina. Speriamo di non dover attendere, come per il famoso teorema, 300 anni.
agosto 25, 1995