Conti da risanare – Tra spese e tagli
Interi settori della Pubblica amministrazione possono essere ceduti e uscire dal bilancio dello Stato – I vantaggi della riduzione delle tasse ai cittadini
Gli economisti a dire di tagliare le spese, i Governi ad aumentarle: ad ogni Finanziaria, la stessa polemica. E’ vero che ci sono illustri precedenti di “prediche inutili”, ma il fatto è a dir poco frustrante.
Non è che gli economisti ignorino le ragioni politiche di questi cedimenti al partito della spesa: ma dato che quanto accade con questo Governo di centrosinistra è accaduto col precedente di centro destra (e di quelli di centro è meglio tacere), si dovrebbe concludere che quella di aumentare le spese è la costante universale dell’economia politica di questo Paese. Le spese primarie in rapporto al PIL, sono passate dal 41,1% del 1996 al 44% del 2006, e il loro valore assoluto dai 412 miliardi di euro del 1996 ai 678 del 2006. E per quanto è successo nel 2007 e già si prevede per il 2008 rimando, tra gli altri, all’editoriale di Guido Tabellini “La grande delusione dei tagli mancati” sul Sole 24 Ore del 2 Ottobre.
Evidentemente si usano armi spuntate. Non servono i vincoli rigidi, blocco del turn over o metodo Gordon Brown. E non serve concedere ai Ministeri flessibilità e autonomia di scelta. Non serve il populismo alla Grillo, che denuncia gli abusi di potere per cupidigia o vanità, mentre il problema è l’uso “regolare” del potere per scopi inutili. E non serve, per motivi uguali e contrari, l’appello a ritrovare il senso morale di un servizio civile. Servono poco gli incentivi individuali: perché i sindacati tirano ad appiattirli in aumenti uguali per tutti; e perché la PA, costitutivamente uniforme e omogenea, non potrà mai essere gestita con gli strumenti e i valori di un’impresa privata. Sostenendo il contrario, il centrodestra pensava di accreditarsi alla guida del Paese: ma faceva autogol.
Bisogna trovare un paradigma nuovo. Se un fornitore di servizi non vuole o non può o non è capace di ridurre i propri costi è il caso di trovare un fornitore che abbia costi inferiori. Si sa, per ragioni teoriche e da conferme empiriche, che il privato è più efficiente del pubblico nelle sue scelte economiche: minori costi per raccogliere le informazioni e per gestire le sue attività, in cui investe maggiori risorse personali. Il taglio delle spese può venire solo sfruttando questa differenza di efficienza, mettere nelle mani dei cittadini la possibilità di scegliere, non solo tra i beni da acquistare, ma tra i servizi da acquisire, compresi i modi per proteggersi dai rischi: e ridurre le tasse per dar loro i soldi per pagarli. Oggi a nessuno verrebbe più in mente che l’elettricità o le autostrade o i telefoni li deve fornire lo Stato. Si tratta di fare la stessa cosa nella P.A.: dare ai privati la possibilità di fornire e ai cittadini la possibilità di scegliere.
Scegliere servizi di formazione, in luogo di un egualitarismo, in realtà regressivo, che produce un livellamento verso il basso dove si sprecano risorse e intelligenze. Scegliere servizi sanitari e di assistenza: i miglioramenti delle capacità diagnostiche e terapeutiche combinati con l’aumento della durata di vita, produrranno costi insostenibili; sicché l’egualitarismo di principio porterà a disuguaglianze molto maggiori di quelle che si avrebbero adottando fin d’ora un sistema misto di safety net e scelte personali.
Per disboscare si devono tagliare piante, non segare rami secchi o potare il fogliame. Interi settori della P.A. possono essere restituiti all’iniziativa privata: bisogna farli uscire dal bilancio dello Stato, insieme ai beni impiegati e al personale addetto. In alcuni casi la cosa è relativamente semplice. Prendiamo il tema della sicurezza: si dà la colpa all’indulto, non al fatto che, dopo aver svuotato le carceri, non se ne sono fatte di nuove (Roberto Perotti, Sole24 Ore del 27 Settembre). Abbiamo quasi un agente di custodia per detenuto, un multiplo degli standard internazionali. La privatizzazione delle carceri in Inghilterra e in USA ha portato risparmi fino al 25% nei costi di costruzione, del 15% nella gestione, e del 50% nella dinamica di aumento dei costi.
Quanto alle Università, per quelle migliori, già oggi il valore del titolo di studio è reputazionale e non legale, e il passaggio al finanziamento prevalentemente basato su rette scolastiche (e borse di studio) non sarebbe traumatico. Per i licei, le resistenze sono prevalentemente ideologiche. Nella sanità, dare ai cittadini la possibilità di scegliere tra più alternative e un maggiore controllo sui relativi costi è la sola strada per evitare aumenti di spesa che farebbero saltare i conti pubblici. Pensare che non facendo nulla si salvaguardi il diritto di tutti a essere curati, significa fare di quel diritto una parola vuota.
Certo il progetto è complesso da attuare e da spiegare. Considerarlo non il rimedio a uno stato di necessità, ma l’apertura verso una condizione di libertà: questo è il cambio di paradigma che lo rende possibile.
ottobre 5, 2007