Economia reale tutta in un bond

giugno 26, 2011



Strano destino quello del libro di Justin Fox: con quel titolo “ Il mito della razionalità del mercato” e ancor più quel sottotitolo “ Una storia di rischi, guadagni ed errori a Wall Street” avrà pensato di prendere l’onda lunga della grande crisi, accodandosi agli scettici dei mercati e ai critici di chi vi opera. Ma così ha fatto torto a se stesso: perché mentre su quel tema nel frattempo sono usciti lavori di ben diverso spessore e autorevolezza, il libro è invece interessante nel narrare, con i collaudati metodi della pubblicistica americana, la grande avventura intellettuale della teoria dei mercati finanziari e del loro funzionamento. Oggi l’attenzione dagli “errori di Wall Street” si è spostata su altri temi, il finanziamento dei debiti pubblici, la sostenibilità del welfare, la stabilità delle banche, la remunerazione dei manager; oppure, come recentemente da noi, sul mercato per il controllo. Letto in relazione a questi temi, il libro ha, involontariamente, un’attualità maggiore di quella che volontariamente si proponeva di raggiungere.

La teoria del mercato efficiente è legata al nome di Eugene Fama, che la espose in un paper del 1970. Che fosse impossibile, per un operatore, “battere il mercato” era già stato teoricamente dimostrato ed empiricamente verificato nel decennio precedente. Fama va oltre: i prezzi delle azioni riflettono completamente tutte le informazioni disponibili, e sono quindi un segnale accurato per le decisioni delle imprese su come allocare le risorse. Dunque il mercato è efficiente.
Il percorso che porta a questo risultato inizia, in epoca moderna, con Adam Smith, e con la teoria della “mano invisibile”: l’attività economica é quella in cui individui razionali massimizzano il loro interesse. All’inizio del ‘900, Louis Bachelier analizzando gli andamenti dei prezzi della Borsa di Parigi, osserva che poiché a ogni venditore corrisponde un compratore, “l’attesa matematica dello speculatore è zero”, l’investitore medio non può “battere il mercato” poiché il mercato è l’investitore medio. La sua osservazione, che i prezzi si muovono intorno a un valore centrale secondo le leggi della probabilità é l’embrione dei prezzi come “passeggiata casuale a Wall Street” . Una famosa metafora a cui Paul Samuelson darà dignità accademica: la casualità è la caratteristica di un mercato che funziona perfettamente, dove ogni scostamento viene eliminato dall’intervento degli speculatori; anche a Wall Street non ci sono pasti gratis. La ricerca operativa e la programmazione lineare, sviluppate per esigenze belliche, vengono applicate ai mercati finanziari: ne deriva la teoria della selezione di portafoglio, a lungo faro degli investitori. E’ perché il mercato è razionale che vale l’equivalenza di Modigliani Miller, tra finanziare un’impresa con capitale proprio o con prestiti: lì si fonda il principio della “shareholder value” che influenzerà le strategie delle aziende di mezzo mondo. Il tempo è cambiato: la memoria Grande Depressione si è allontanata; gli interventi keynesiani si dimostrano inefficaci, la conoscenza necessaria per l’attività economica, insegna Hayek, non esiste mai in forma concentrata ma solo come pezzi incompleti e a volte anche contraddittori posseduti dai singoli individui. E’ il nuovo paradigma, l’Università di Chicago è il suo tempio, Milton Friedman il suo vate.

I primi attacchi per popperianamente “falsificare” la tesi di Fama sono dei primi anni’80, quando si osservano comportamenti degli investitori difficili da conciliare con la teoria dei mercati razionali. Nel 1997 Andrei Shleifer pubblica “I limiti dell’arbitraggio”: guadagnare riportando nella norma prezzi casualmente “sbagliati”, funziona tanto meno quanto più forti sono gli squilibri. Infatti, per evitare che i loro clienti ritirano i fondi, i manager professionali devono seguire un comportamento più prudente di quello che sarebbe necessario. L’economia comportamentale, che mostra come gli operatori siano ben lontani dal seguire i modelli dell’individuo perfettamente razionale, acquista dignità e la consacrazione del Nobel.

Il meglio del libro é il modo con cui racconta il clima di tensione spasmodica, di eccitato fervore in cui si sviluppa la teoria che cerca di modellare i comportamenti dei mercati finanziari e di chi vi opera: é la controparte scientifica della supremazia industriale e finanziaria degli Stati Uniti che in quegli anni si afferma. Una teoria che da un lato attinge ai grandi risultati scientifici del ‘900 – le probabilità di Poincarè, il moto browniano di Einstein, l’indeterminatezza della fisica quantistica, la teoria dei giochi di Von Neumann, i frattali di Mandelbrot, e il teorema dell’impossibilità di Arrow, le neuroscienze – , e che dall’altro influenza la forma che prendono le istituzioni centrali nell’economia e nella società, – la tecnocrazia delle public company, il finanziamento del welfare, i fondi di investimento, i mercati dei derivati, il finanziamento delle grandi università americane. C’entra perfino l’antisemitismo: quello prevalente ad Harvard stimolò il formarsi della scuola di Chicago.

Giunti alla fine del libro vien da chiedersi se la contrapposizione tra economia reale ed economia finanziaria, non debba intendersi al contrario di come perlopiù la si pone, e che la piramide con cui si suole rappresentarla non debba essere rovesciata: che cioè ad essere “reale” sia l’economia finanziaria e che l’economia degli opifici e dei produttori sia da essa derivata. “Reale” non solo perché è solo lì che si determina il valore “reale” delle attività che producono quei beni, e quindi dei beni stessi, e neppure perché i mercati finanziari servono a convogliarvi il risparmio. “Reale” come direzione del rapporto di causalità, vale a dire che il mercato finanziario é non il risultato ultimo, ma l’origine prima dell’attività che siamo soliti chiamare “reale”, e quindi la sua vera ragion d’essere. “Sono le scommesse dei giocatori a far correre i cavalli” diceva Marc Twain. A volte a spiegare un concetto può servire il paradosso di un letterato o la brillante divulgazione di un giornalista.

The Myth of the Rational Market
A History of Risk, Reward, and Delusion on Wall Street

di Justin Fox
Harriman House
Hampshire, 2010

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