Il Senatore Debenedetti sull’Authority delle Tlc
I soldi per appalti, studi e consulenze. Quelli per pagare gli stipendi e finanche la bolletta elettrica o il telefono. Dal 2006, se la Finanziaria passerà senza correzioni, l’Autorità per le Comunicazioni ricaverà la sua benzina, i soldi cioè per andare avanti, da una sola fonte. A versarli saranno le aziende stesse – telefoniche e televisive – su cui l’Autorità vigila, per un esborso che supererà i 58 milioni (a voler citare solo le aziende maggiori).
Principale finanziatore della Autorità diventerà così la Telecom, con una spesa di oltre 25 milioni. Gli editori di giornali staccheranno un assegno da 10,5 milioni; l’inglese Vodafone di 8; Sky e Rai di circa 4,3 milioni. Così funzionerà dal 2006. Fino a tutto quest’anno, invece, i finanziamenti restano misti: certo, pagano queste stesse aziende, ma solo 25 milioni; mentre il resto delle entrate è garantito dallo Stato.
Nelle intenzioni della legge istitutiva dell’Autorità, il finanziamento misto – in gran parte affidato alle casse pubbliche – era una garanzia di autonomia. Adesso l’indipendenza è forse destinata ad affievolirsi? In altre parole, come potrà l’Autorità mordere la mano di Telecom, Rai o Mediaset, multandole ad esempio, se poi saranno queste stesse aziende a garantirne l’esistenza?
Il dubbio si ingigantisce se è vero che questa Autorità e le altre sono già di per sé deboli e distratte. Di questa debolezza cronica è convinto Romano Prodi, secondo il quale l’Italia «vive all’ombra dei monopòli naturali» quando avrebbe bisogno di «rilanciare l’energia della concorrenza». Le Autorità, e qui la bocciatura si è fatta esplicita in un intervento del 12 novembre, «lasciano uno spazio» ai colossi economici «che in altri Paesi ci si sogna».
Pippo Ranci ha sperimentato forse per primo il finanziamento a carico delle sole aziende vigilate, quando era a capo dell’Autorità per l’energia e il gas. E adesso sdrammatizza molto: «Questo sistema di finanziamento non ti condiziona perché è polverizzato. Il contributo ricade su decine, a volte su centinaia di aziende. I condizionamenti veri possono derivare dal finanziamento pubblico: se il ministro dell’Economia vuol farti penare, può chiudere il rubinetto dei soldi o anche solo minacciare di farlo».
Franco Debenedetti, senatore dei Ds, giudica «assai poco elegante» che sempre più Autorità indipendenti dipendano, per vivere, dei soldi delle aziende vigilate. Ma i problemi più grandi, a suo parere, sono altri. «Il principale sta nella incapacità di rendere esecutivi gli atti di queste Autorità. Non c’è decisione dell´Antitrust che non sia cassata dai giudici amministrativi del Tar. Nel caso della Consob, che prova a vigilare sulle società quotate, i suoi poteri sono surrogati dai magistrati ordinari, come le cronache di questa estate insegnano».
Dunque la magistratura amministrativa e ordinaria sembrano prendere il sopravvento ora per stoppare, ora per surrogare. Altre volte il sopravvento è della politica. Spiega Debenedetti: «L’Autorità delle Comunicazioni presenta un difetto di origine. Le sono state affidate sia le telecomunicazioni e sia la tv. In questo modo, si è permesso che il conflitto d´interessi inquinasse entrambe le materie».
Carlo Scarpa, docente di Economia industriale a Brescia, redattore del sito lavoce.info, sottoscrive: «L’Autorità per le Comunicazioni è un organismo politico, cui non si richiede tanto l’indipendenza quanto la gestione politica dei problemi. Il motivo è presto detto: visto che è chiamata a occuparsi anche di televisione…». Il nodo, insomma, resta questo: è nella politica e nella sua volontà di riconoscere legittimità a queste Autorità. «Quella per l’Energia, che così bene ha fatto nell’era Ranci, ora viaggia con un collegio più che dimezzato: ha due soli membri in carica», chiude Debenedetti, «su cinque. Mi chiedo il perché?».
novembre 23, 2005