dalla rubrica Peccati Capitali
“Liberalizzazione dei taxi”, commedia in tre atti. Atto primo: il governo annuncia che liberalizzerà. Nessuno capisce in che cosa consista, dato che si ordina ai comuni di aumentare il numero delle licenze, ma i benpensanti plaudono: “Bravi, questo governo fa proprio sul serio, incomincia dalle piccole cose che interessano i cittadini.”
I taxisti fanno la serrata, i benpensanti sopportano, fieri di fare qualcosa di liberale, come quando votavano Malagodi. “In fondo, signora mia, con la metropolitana, stesso tempo e costa meno”. “Anch’io, avvocato, niente male, ‘sti tram, perfin puliti”. Atto secondo: rivolta dei taxi, blocchi, forconi, spintoni. “Qui non è più questione di taxi, ma di libertà: è in gioco il principio democratico”. Finché una sera, tornando dalla Scala sotto una pioggerellina fredda: “Certo che i taxisti le licenze le han pagate, è il loro investimento: se dànno licenze a tutti, è come una patrimoniale”. Atto terzo: soluzione. I governi normali decidevano d’autorità? Col governo tecnico deciderà l’Autorità: afferri la differenza? Quale Autorità? Dell’energia elettrica: cogli il messaggio? “Sai che incomincia a piacermi, ‘sto Monti? Magari strani, come dice Scalfari, ma seri. Sobri, poi, nei loro loden: ai taxisti gli han perfin dato un’autorità…”.
Nel frattempo, lo spread e il rating, la Merkel e Van Rompuy, Ligresti e Unicredito, tutto passa in secondo piano. “Uso i partiti allo stesso modo di come uso i taxi: salgo, pago la corsa, scendo” diceva Enrico Mattei, mandato a liquidare dell’Agip e finito, di taxi in taxi, a comandare l’ENI. Adesso sono i governi a usarli. La Camusso minaccia sfracelli sull’art. 18? Salgono sulla liberalizzazione, pagano la trattativa, scendono. Non è quando piove che servono i taxi?
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gennaio 24, 2012