E intanto l’Italia si divide sui referendum

gennaio 20, 2000


Pubblicato In: Giornali, Panorama


Se passassero i referendum “sociali”- sostengono i sindacati – da un lato non resterebbe più nulla del sistema del welfare su cui si sono costruite le grandi democrazie europee, dall’altro le organizzazioni dei lavoratori subirebbero un colpo mortale…

Per uno dei referendum, quello sui contratti a termine, certamente sì: le aziende potrebbero assumere tutti con contratti a un anno (ma perché allora non a un mese o a un giorno?) rinnovandoli alla scadenza. Una flessibilità eccessiva, perfino dannosa per le aziende; una totale assenza di tutele, ingiusta per i lavoratori. Se la Corte lo dichiarasse inammissibile farebbe un favore agli stessi referendari.

Anche per gli altri referendum, alcuni effetti sarebbero indesiderabili. Alcuni per ragioni di equità. Quello sui licenziamenti elimina la possibilità che il giudice ordini il reintegro del lavoratore licenziato, ma l’ammontare dell’indennità é esiguo in rapporto al danno subìto; l’Italia, oggi al vertice della graduatoria di rigidità fra i paesi dell’Occidente industrializzato, passerebbe all’estremo opposto.
Un altro referendum elimina i vincoli all’esercizio dell’attività di collocamento, ma non impone che il servizio sia totalmente gratuito per il lavoratore, lasciando così spazio alla possibilità di odiosi sfruttamenti.
L’abolizione del monopolio statale sulle assicurazioni contro gli infortuni, dove già c’è una pronuncia favorevole dell’Antitrust, aumenta invece trasparenza ed efficienza: ma dovrebbe essere accompagnata dalla creazione di un fondo mutualistico per coprire le situazioni che restassero scoperte.
Altri referendum avrebbero effetti negativi sul piano dell’efficienza, contrari alle intenzioni che ispirano i proponenti. Quello sul lavoro a domicilio finirebbe per impedire la retribuzione a cottimo pieno – un tanto al pezzo – oggi diffuso nella maglieria e nella confezione. In quello sul part-time viene inspiegabilmente sfavorita la forma cosiddetta “orizzontale” (qualche ora al giorno) rispetto a quella “verticale” (qualche ora alla settimana).
Effetti minori e soprattutto rimediabili: per cui l’accusa di essere socialmente eversivi appare fuori luogo. Non è eversivo voler rimuovere il “tabù’” del licenziamento ( la definizione è di un sociologo di sinistra come Aris Accornero) o gli ostacoli che frenano l’attività di collocamento e le nuove forme di lavoro flessibile. Non è eversivo combattere la concezione per cui solo lo stato é in grado di dare garanzie e assicurazioni.
I referendum fanno saltare gli ostacoli che la legge ordinaria non era riuscita a rimuovere (il mio disegno di legge sui licenziamenti secondo le linee indicate da un altro giurista di sinistra, Pietro Ichino, è di 3 anni fa): lasciano il campo sottosopra, ma non sconvolto e tanto meno devastato, si dovrà lavorare per risistemarlo, renderlo più fertile. Ma sarà un campo nuovo.
E quindi anche l’altra accusa, di essere un colpo mortale ai sindacati, non regge all’analisi. I referendum anzi potrebbero rappresentare una straordinaria occasione per il sindacato: smettere di essere forza di conservazione e ritornare ad essere quello che fu, un grande elemento di modernizzazione sociale ed economica. Potrebbero rappresentare anche una straordinaria occasione politica: quella di ricostituire l’alleanza tra sindacato e forze riformiste. Della sinistra, ma non solo della sinistra.

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