E della flessibilità cosa facciamo

giugno 17, 2005


Pubblicato In: Giornali, Panorama


E’ sbagliato mantenere vincoli al cambiamento di lavoro

“Chi si ricorda ancora dell’articolo 18?” mi diceva poco tempo fa un mio amico. Pensare che sull’abolizione del divieto di licenziamenti individuali il governo ha rischiato di spaccare il Paese, ha provocato scioperi e raduni oceanici: oggi non ne parla più nessuno”. Resta aperta la domanda: l’errore è stato averne parlato allora o è il non parlarne più adesso?

Il Governo, dopo tanti battaglieri propositi, ha ripiegato su una riformicchia che ha lasciato le cose sostanzialmente come stavano: l’errore è aver sollevato allora un problema che appare oggi inesistente, o non parlare oggi di una soluzione che allora non è stata trovata?

Il tema mi è tornato alla mente in questi giorni in cui in cui i giornali sono pieni di notizie choc sul balzo delle importazioni dalla Cina: + 700 per cento nelle calzature, + 300 per cento nelle magliette, sul prossimo arrivo di un’utilitaria superaccessoriata da 4000 euro. Alle porte dell’Occidente ricco e sicuro premono centinaia di milioni di uomini e donne: molti di loro guadagnavano fino a ieri 2 dollari al giorno, vogliono accedere ai benefici dell’industrializzazione: che facciamo, li teniamo fuori coi dazi? Per sopravvivere dovremo modificare la nostra struttura produttiva, trovare altri oggetti da fabbricare, altri servizi da fornire, altre nicchie con cui reggere la competizione. Dovremo affrontare profonde ristrutturazioni: che facciamo, invece di aumentare la flessibilità, ci prepariamo mantenendo i vincoli ai cambiamenti di lavoro?
Il divieto di licenziamento è come il dazio, rinvia il problema, costa molto e dura poco. Ciò di cui c’è bisogno sono strutture che, come nelle socialdemocrazie scandinave, sostengano e accompagnino i lavoratori nel trovare nuovo lavoro, e politiche che favoriscano la crescita di nuove imprese. L’albero che cade, dice un proverbio cinese, fa molto rumore, nessun suono fa la foresta che cresce. L’albero che cade è la perdita di un posto di lavoro, ma ciò di cui ci si deve preoccupare è far crescere la foresta.

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