da Peccati Capitali
I conti dello Stato nel 2006 sono andati molto meglio del previsto. Ad Aprile, Giulio Tremonti prevedeva un fabbisogno a fine anno di 66 miliardi; Tommaso Padoa Schioppa l’aveva fatto lievitare a 70, a conclusione della due diligence sui conti ereditati dal suo predecessore: ed erano già erano noti inusitati aumenti del gettito tributario. A luglio, lo ridusse a 59; a settembre a 47,5: chiuderemo l’anno a 35,2, un punto di PIL in meno.
In politica, più che i fatti contano le interpretazioni.
I fatti sono che il miglioramento si deve a provvedimenti di Tremonti, sia nel ridurre le spese – i ministeri possono spendere ogni mese solo 1/12 del budget annuale, ma ciò che non spendono viene incamerato dal Tesoro – sia nell’aumentare le entrate – norme antielusive sul consolidato di gruppo, tassazione delle rendite finanziarie. Soprattutto, la ripresa economica aveva trovato imprese che dopo aver delocalizzato produzioni in aree a basso costo del lavoro, avevano ricominciato a investire: l’han chiamato “boom silenzioso”. L’aumento del gettito è stato maggiore nel primo che nel secondo semestre: ma il Governo Prodi si attribuisce tutto il merito del “bonus”, e lo spiega con la paura: dei contribuenti per un Governo che non farà condoni, e per un ministro, Vincenzo Visco, non per la competenza che tutti gli riconoscono, ma per la severità che molti gli attribuiscono. Al paradosso di un Ministro uscente che prevede un futuro nero, segue quello di un Ministro subentrante che non vuole assolutamente che lo si veda rosa. Le motivazioni di Tremonti restano indecifrabili, chiarissime invece quelle di TPS: nessuno deve mettere in dubbio che la vittoria dell’Unione ha salvato un Paese che Berlusconi aveva corrotto e devastato. E’ questo duplice disastro, morale ed economico, quello il DPEF vuole evocare, con l’assurdo paragone con la situazione del 1992: ma serve a creare un cima di emergenza, a giustificare una Finanziaria di proporzioni monstre, più entrate per consentire più interventi del Governo. A costo di fare perdere al Paese, con questa visione catastrofista, una parte della crescita del 2007.
Se non si fanno riforme non è solo per i ricatti della sinistra antagonista: molti di quelli che dicono di volere riforme liberali, in realtà vogliono riforme morali. Non si fidano delle virtù autonome del mercato, credono che le forze vitali del Paese debbano essere guidate e richiamate al loro dover essere, sferzate (Tommaso Padoa Schioppa sul Corriere di domenica) come Ulisse i suoi compagni: “fatti non foste a viver come bruti”.
gennaio 11, 2007