Franco Debenedetti. Due lingue, due vite.
I miei anni svizzeri. 1943-1945
di Franco Debenedetti
2024, Marsilio Arte
Due lingue: l’altra è il tedesco. Lo imparai per poter frequentare la prima e la seconda ginnasio di Lucerna, la città in cui vissi i miei anni svizzeri, da dicembre 1943 a luglio 1945.
Averlo imparato ha cambiato la mia vita, alla Kantonsschule incominciò il pellegrinaggio laico, mai poi interrotto, in una cultura conosciuta ed amata attraverso la sua lingua: da Goethe a Schiller, da Thomas Mann a Thomas Bernhard, ma anche, per estensione, da Bach a Schönberg, da David Kaspar Friedrich ad Anselm Kiefer. Fu col tedesco, che il bambino che riempiva i suoi diari con perfetta calligrafia infantile, diventò un adolescente sulle orme di un Wilhelm Meister.
Anche l’altra metà del titolo deriva da quella esperienza: Thomas Mann, nel Doctor Faustus, la mette in bocca ad Adrian Leverkühn, in cui egli personifica l’inventore della musica dodecafonica,: “in quegli anni la vita scolastica coincide con la vita stessa, l’una vale l’altra”.
Eravamo scappati in Svizzera nel novembre 1943 per sfuggire alla cattura e ai campi di sterminio. Passata la frontiera, dopo alcuni giorni di tremenda ansietà nel timore di essere respinti, fummo accettati, e diventammo regolari rifugiati. Ritornammo in Italia nel luglio 1945, dopo che le testimonianze di quegli indicibili orrori erano diventate note e diffuse.
Nostra madre diede a mio fratello e a me degli album invitandoci a riportarvi il diario delle nostre giornate. Cosa che facemmo di buon grado, aggiungendovi anche le documentazioni degli avvenimenti. Insieme alle lettere che con qualche sotterfugio scambiavamo con i parenti restati in Italia, questi diari consentono la ricostruzione minuziosa dele nostre vite, e la documentazione della guerra che portò gli alleati a sconfiggere l’Asse.
Il buon risultato ottenuto della copia anastatica dei diari di mio fratello, “diari di un ragazzino rifugiato”, mi indussero a riprodurre anche le mie testimonianze di quegli avvenimenti , aggiungendovi riflessioni sugli effetti che essi ebbero sulla mia adolescenza e poi giovinezza, e in generale sulla nostra famiglia e sul nostro Paese.
Il libro consente anche di fare considerazioni sul sistema scolastico. La buona calligrafia delle prime parti dei miei diari è dovuta all’educazione degli anni dell’infanzia fino alla terza elementare; devo a uno straordinario maestro di quarta elementare la logica con cui appresi a concatenare le frasi. Il rapido apprendimento del tedesco porta a riflettere quanto si possa ottenere dai metodi che oggi chiameremmo di intelligenza artificiale. Tornati a Torino, i nostri genitori, dovendoci iscrivere a scuola e prevedendo un periodo di disorganizzazione nelle scuole pubbliche, preferirono mandarci al Collegio San Giuseppe: io ci restai 6 anni, fino alla maturità classica. E’ quindi a proposito che una mia cara amica, ebrea, mi chiede: ma tu, in quale misura ti senti ebreo? Noi sapevamo bene che il nome di Lilin, con cui chiamavamo il nonno paterno Israel, non era né un diminutivo né un vezzeggiativo. “Sono un ebreo con un’educazione cattolica”, rispondo, e gli faccio arrivare da Amazon “How to be a Jew Today”, di Noah Feldman.
Franco Debenedetti
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Nel 1943, con i tedeschi che occupavano l’Italia e le milizie fasciste della RSI che si andavano ricostituendo, la famiglia Debenedetti giudicò che fosse diventato troppo pericoloso per chi portava quel cognome restare in Italia. Presero dunque tutti «la via del rifugio» per la Svizzera e scrivere “il diario” diventò per Franco e suo fratello Carlo una spontanea abitudine. Fu sicuramente il fatto che la loro madre comperò i quaderni a spingerli ad aggiornare quotidianamente quelle pagine, ma non deve essere stato facile, soprattutto quando si aggiungeva ai compiti da fare e poi al tedesco da imparare. Oltre che a raccogliere i loro ricordi, conservarono la documentazione di quello che facevano: i biglietti dei treni, le cartine geografiche dei luoghi che visitavano, le lettere che riuscivamo a ricevere aggirando la censura e che avrebbe potuto svelare dove erano nascosti. Quella di conservare la documentazione diventò per Franco quasi un’ossessione e con l’avanzata degli alleati, con il volgere della guerra al suo termine, e poi con il disvelamento degli orrori dei campi di sterminio, prese a ritagliare e conservare gli articoli dei giornali e le fotografie che apparivano sui periodici. Con questa straordinaria pubblicazione Franco Debenedetti, attraverso “l’anastatica” di grande parte delle pagine scritte in perfetta calligrafia del suo diario e con l’aggiunta di attuali annotazioni trasforma un ricordo privato in una testimonianza intensa e profonda di quello che deve essere lo stato d’animo di molti dei perseguitati dai regimi. Un’esortazione a farsi che tutto ciò non si ripeta.
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dicembre 16, 2024
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