Nei terribili fatti di questo inizio d’anno e nelle prospettive terribili che aprono di fronte a noi l’immediata, spontanea, reazione dei “je suis Charlie” è la sola nota positiva.
Perché non concederci almeno l’ottimismo di pensare che dietro le migliaia di matite ci sia la maggioranza di un Paese in cui “liberté” ha risonanze senza distinzioni fra i “da” e i “di”, che al medioevo dell’assolutismo teocratico oppone istintivamente le armi della ragione con cui, secoli fa, lo sconfisse?
Sono, quelle matite e quelle scritte, il grido di chi ha una certezza positiva, e la dichiara, semplicemente, senza distinguo e senza tatticismi. Che differenza con il denial in cui si rifugiano gli esponenti delle comunità musulmane che alle telecamere, computi, difendono un islam come religione pacifica, perfino tollerante credo abbia detto qualcuno! O con chi, come Rohani, prende le distanze dagli attentatori, ma non dalle idee che essi professano, non dalla identità tra politica e religione che essi propugnano, bensì solo perché alimentano l’islamofobia. Tony Barber ha tacciato il settimanale satirico di “editorial foolishness! (suscitando dissensi tra i lettori del Financial Times), ma l’imam, che, mentre ancora i terroristi sono in circolazione, non riesce a trattenere qualche riserva sull’oggetto delle vignette (“certo che il Profeta è sempre il Profeta…”) dimostra solo le contraddizioni da cui non può districarsi una società che non riesce a separare la religione dalla politica.
Due sono stati gli episodi, uno alla sede del settimanale, l’altro a un negozio kosher: diversi – a detta di uno dei terroristi – solo gli obbiettivi tattici, disegnatori in una, poliziotti nell’altra. Ma molto diverse sono state la vastità delle emozioni e le dimensioni delle manifestazioni. C’è stato chi ha iniziato a scriversi sul polso “Je suis Juif” ma poi si sono accorti che erano tutti ebrei per davvero, e hanno desistito. Eppure che differenza c’è tra la libertà di chi non vuole si chiuda lo spazio della satira, ancorché foolish, e quella di chi non vuole si perda una tradizione alimentare, ancorché bizzarra? Le emozioni delle folle hanno le loro dinamiche, e il cordoglio non si misura dalla lunghezza dei cortei funebri. Ma oltre che commettere un’ingiustizia per chi è stato massacrato, faremmo noi un grave errore a non riconoscere l’identità dell’obbiettivo strategico e della matrice ideologica.
Il movente dell’attacco terrorista è lo stesso, il rifiuto di accettare e riconoscere le ragioni dell’Occidente: quelle che, in medio oriente, rappresenta lo Stato di Israele. Certo Israele non è la Francia, Netheniau non è Hollande, né la Palestina è la Siria: ma identica è la matrice ideologica. Certo i razzi su Sderoth non sono i kalashnikof del negozio kosher: ma se è per quello, neanche lo sono il “pacifico” nucleare iraniano e i giubbotti esplosivi dei “martiri”. Ma l’odio per Israele riesce perfino a unire siiti e sunniti.
Le ragioni della politica possono sconsigliare collaborazioni sul piano operativo: ma allo stesso modo e per le stesse, ancorché opposte ragioni, non si vede perché debbano prendere iniziative nelle sedi internazionali – qual il riconoscimento dello Stato palestinese o la messa sotto accusa di quello israeliano – che vengono lette (a torto?) come segno di debolezza, e (a ragione!) come incomprensione della matrice dei problemi con cui dovremo convivere per i prossimi tempi.
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gennaio 11, 2015