L’Economist quasi sempre, liberal qualche volta, gli altri quasi mai. Questa la mia personale consuetudine di lettura dei settimanali. E dunque quanto segue è influenzato da questa premessa: che del resto i direttori dei settimanali conoscono bene, visto che si tratta di uno strumento editoriale che più di tutti gli altri ha pagato un duro prezzo all’affermarsi della televisione, privo com’è rimasto della capacità sia di produrre notizie – vista la contrazione frenetica dei tempi avvenuta negli ultimi anni – che di aspirare approfondimenti esclusivi, prima che sia schermo a farlo.
Anche per questo, non mi spetta e non mi sento di dare a Giulio Anselmi consigli sul target del settimanale che è chiamato a dirigere. Mi limito invece a una considerazione che sento più «mia», come parlamentare che siede alla maggioranza di centrosinistra e contemporaneamente tiene con forza alle proprie idee.
Sono passati da tempo gli anni gloriosi in cui aspettavo, con trepidazione l’uscita in edicola dell’Espresso per apprendere gli ultimi sviluppi del caso Montesi. L’immagine che ho dell’Espresso di questi anni è invece di un settimanale, come dire, quasi combattentistico. Il continuo richiamo a Mani pulite. Un antiberlusconismo acceso. Fino al punto di alimentare una vera e propria campagna contro l’attuale presidente del Consiglio, accusato di connivenza col nemico affibbiandogli il nickname «Dalemoni», mostruoso centauro mezzo D’Alema e mezzo Berlusconi.
Di che cosa è stata espressione, questa campagna? Che valori e che scelte «forti» sottintende? Mi è capitato di ripensarci domenica corsa, a Torino, alla celebrazione del centenario Fiat. Sia il discorso dell’avvocato Agnelli che quello di Massimo D’Alema hanno ripercorso i decenni in cui le forze che ciascuno dei due rappresenta sono state in Fiat storicamente antagoniste. Ma nessun pathos è riecheggiato nei due interventi. A significare che il passato può essere ricordato, ma non rivissuto. «È morto» l’emigrante che con la valigia di cartone approdava dal Sud a Mirafioni, ed «è morto» allo stesso modo Berlinguer che ai cancelli garantiva nell’ 80 il sostegno del Pci agli scioperatanti se avessero occupato lo stabilimento. La mancanza di pathos nelle parole di Agnelli e di D’Alema al centenario Fiat non significava altro che quel passato è per sempre dietro alle nostre spalle. Ed è, questa, una lezione che l’informazione per prima non dovrebbe dimenticare mai.
Tornando all’Espresso la cui guida oggi assume Giulio Anselmi, analogamente viene da chiedersi se il problema sia davvero ancora quella della contrapposizione frontale con Berlusconi, o della persistente persistente esaltazione di una pagina italiana, Mani pulite, che è una partita chiusa, malamente ma chiusa. E possiamo continuare per sempre a parlare di spot pubblicitari e conflitto d’interesse? Oppure vogliamo cominciare a parlare delle cose vere che sono di fronte a noi? Di quello che l’Italia, e il centrosinistra che oggi la guida, devono fare per non perdere il passo con le nazioni avanzate e i mercati? Del fatto, per esempio, che sempre più la «concertazione» diventa per la sinistra un feticcio che finisce per far rima con rottamazione»?
Questa sincera domanda giro a Giulio Anselmi, augurandogli buon lavoro. Non vorrei mai, pensavo a Turino conclusa la cerimonia, che dopo ‘tanto insistere contro Dalemoni ci attenda ora una campagna contro «Dalemelli», mezzo D’Alema e mezzo Agnelli. Magari sotto l’infamante accusa di essere un torvo affamatore di pensionati.
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luglio 15, 1999