DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore DEBENEDETTI
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 3 LUGLIO 1996
Privatizzazione delle banche controllate
da fondazioni/associazioni
INDICE
Relazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 3
Disegno di legge:
Titolo I – Definizioni e finalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 14
Titolo II – Dismissione delle partecipazioni degli enti
conferenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 16
Titolo III – Modalità delle dismissioni . . . . . . . . . . . . . . . . » 21
Titolo IV – Disposizioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 27
ONOREVOLI SENATORI. – Nel corso della passata legislatura già si propose un disegno di legge (Atto Senato n. 2080) con lo scopo di definire una procedura per la dismissione di banche possedute da fondazioni/associazioni bancarie. Esso ha contribuito a rendere ancora più avvertita questa esigenza, ma la situazione da allora non è sostanzialmente mutata. I molti consensi inducono a riproporlo, le critiche a integrarlo con norme che ne facilitino l’applicazione, gli uni e le altre a meglio chiarirne gli obiettivi.
In occasione dell’assemblea dell’Associazione bancaria italiana (ABI) del 26 giugno 1996, il presidente Tancredi Bianchi ha affermato che «il problema delle privatizzazioni bancarie si e fatto ancor più urgente; giova alla razionalizzazione e alla ristrutturazione del sistema, ormai indifferibili. L’associazione è consapevole che occorre tutelare patrimoni di fatto di proprietà collettiva, ma reputa che lo spirito della legge Amato-Carli sia stato quello di liberare l’amministrazione di tali patrimoni, in tutto o in parte, dal collocamento in attività bancarie; favorendo l’ingresso nelle banche di nuovi soggetti giuridici e di investitori istituzionali, rendendo ancor più realizzabili alle fondazioni fini altamente sociali, e, nel contempo possibile la ristrutturazione del sistema creditizio… La composizione dei fini sopra indicati può consigliare di seguire una via graduale, ma ben definita come percorso… L’obiettivo deve rimanere quello di progressivamente ridurre e al limite annullare il peso delle fondazioni nelle scelte strategiche delle banche, sottraendosi a un immaginato vincolo di dover conservare il più a lungo possibile, alle fondazioni medesime, il controllo delle aziende di credito».
Nel successivo intervento, Carlo Azeglio Ciampi, Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dopo
aver ricordato i meriti della legge Amato-Carli (legge 30 luglio 1990, n. 218) che sdoppiando gli «enti pubblici bancari in fondazioni e in società per azioni ha separato, anche se non ha del tutto disgiunto, due anime che si erano trovate a convivere in uno stesso istituto» ha affermato di essere stato cosciente «che quello era solo un primo passo, che doveva essere seguito da un secondo: quello della dismissione da parte delle fondazioni delle partecipazioni nelle aziende bancarie, sì da permettere ad ambedue gli istituti di diventare definitivamente autonomi, liberi ambedue di perseguire, secondo la propria natura, le proprie, ben diverse, finalità». Tuttavia, ha proseguito Ciampi, «la legge Amato-Carli, risolvendo un problema, ne disvelava altri: in primo luogo quello della proprietà. Certo, la privatizzazione della forma giuridica ha portato a compimento quella mutazione genetica che ha tradotto in imprese enti che pochi anni prima la giurisprudenza indicava come fornitori di servizi pubblici, con il rischio di volerli trasformare in strumenti esecutivi di attuazione di specifici programmi economici. Tuttavia la persistente prevalenza dell’assetto proprietario pubblico continua ad essere di ostacolo, anche se non è più di impedimento». Dopo aver ricordato che il numero delle casse di risparmio si è ridotto da 82 a 73 per operazioni di fusione, che solo sei casse di risparmio sono possedute interamente dalla fondazione originaria, che azionisti privati sono presenti in posizione minoritaria in due ex istituti di diritto pubblico e in 24 casse di risparmio trasformate, e che banche di proprietà privata hanno acquisito il controllo di altre due casse, Ciampi ha affermato che «la diversificazione della proprietà è tuttavia modesta. Occorre un rinnovato, vigoroso impulso alla diversificazione degli assetti proprietari delle società bancarie». Ha annun ciato di avere istituito presso il Ministero del tesoro un gruppo di lavoro le cui proposte «potranno divenire oggetto di atti amministrativi e di disegni di legge. Il risultato da ottenere è l’allentamento dei troppo stretti legami tra la fondazione e la banca… Ciò non implica di necessità l’estromissione della fondazione dalla banca, se essa intende restare azionista. Implica tuttavia, alla fine di un processo graduale, la perdita del controllo sull’azienda bancaria da parte della fondazione… Una cura non minore di quella rivolta alla banca dovrà essere dedicata all’evoluzione delle fondazioni… in un momento in cui emerge la necessità per gli equilibri economici e sociali del paese, di avvalersi di un forte terzo settore, che si dia carico di compiti oggi impropriamente svolti dallo Stato… Solo l’evoluzione delle fondazioni in siffatta direzione può confermare il loro diritto morale di disporre di patrimoni, anche ingenti, accumulati nel corso dei secoli, mercè la laboriosita, la parsimonia, il senso civico di comunità solidali e legate al loro territorio».
Recenti citazioni a confermare il vasto, autorevole consenso che:
le fondazioni detengono il controllo delle banche e ciò determina la persistenza di un prevalente controllo pubblico sulle stesse;
il processo di privatizzazione, iniziato con la legge Amato-Carli e coerentemente perseguito da successivi atti di governo, deve portare alla perdita del controllo delle banche da parte delle fondazioni;
la permanenza del controllo delle banche è ostativa allo svolgimento, da parte di queste, alla funzione sociale che costituisce la loro finalità e conferisce il diritto morale al possesso dei loro patrimoni;
il processo deve essere graduale ma ben definito come percorso, e dovrà essere favorito da atti amministrativi o da dispositivi di legge.
Si sono analizzate le ragioni per cui l’auspicato processo procede così a rilento e con tante resistenze. Non ci si nasconde che è in molti casi di ostacolo il desiderio, da parte delle fondazioni, di non perdere il
potere che indirettamente conferisce il controllo di attività bancarie. Ciò impedisce non solo la privatizzazione, ma anche il processo di concentrazione, uno dei passaggi necessari per aumentare la redditività e l’efficienza del sistema. Ma esistono anche altre obiettive difficoltà: la bassa redditività delle banche ne deprime il valore, rendendo a volte impossibile il collocamento; in ogni caso la loro vendita determinerebbe una minusvalenza rispetto ai valori di carico; la legislazione vigente non fornisce adeguati strumenti per attivare le forze di mercato necessarie per un simile processo di dismissioni; la grande rigidità dei contratti di lavoro nel settore rende difficile per le banche adeguare i propri organici, quantitativamente e qualitativamente, alle mutate situazioni di mercato al fine di aumentare la redditività in tempi brevi. Dal lato delle fondazioni, le rigidità impediscono di trarre tutti i benefici dalle concentrazioni, la trasformazione dei loro obiettivi richiede professionalità nuove che stentano ad affermarsi, mentre gli ingenti patrimoni immobilizzati in attività a basso reddito privano le fondazioni delle risorse da investire negli scopi che tutti concordano di voler perseguire. Esiste anche un’inerzia collettiva che si salda con la tradizionale, e in certa misura doverosa cautela, nel por mano a cambiamenti della struttura proprietaria del settore. Per questi motivi si ritiene che sia necessario fornire alle fondazioni uno strumento di legge che ne definisca con precisione gli obiettivi, che elimini le obiettive difficoltà, che fornisca strumenti per facilitare le dismissioni, che definisca un processo e ne fissi i limiti temporali; si ritiene che questo strumento sia utile agli amministratori delle fondazioni per superare inerzie e opposizioni, quelle che finora hanno impedito al processo di svolgersi in tempi che si vogliono ragionevoli ma che si sanno inderogabili.
Obiettivi
Il presente disegno di legge si propone di definire una procedura per la dismissione delle banche possedute dalle fondazioni/associazioni bancarie:
a) preservando il patrimonio delle fondazioni/associazioni e i loro legami storici e culturali con le realtà locali in cui hanno tradizionalmente operato;
b) creando le condizioni affinchè le fondazioni/associazioni possano sviluppare la propria attività nel settore non-profit;
c) favorendo lo sviluppo del mercato dei titoli mobiliari, attraverso la diffusione della proprietà azionaria, la creazione di nuovi investitori istituzionali e lo spessore delle contrattazioni;
d) assicurando particolari incentivi ai dipendenti, ex dipendenti e clienti delle banche, e quindi alla comunità a cui prevalentemente si rivolge l’opera delle fondazioni/associazioni;
e) favorendo la ristrutturazione e quindi la maggiore efficienza del settore;
f) nel rispetto di uguali diritti a tutti i cittadini;
g) in tempi certi;
h) senza la necessità di un intervento di imperio da parte degli organi di controllo o di governo, altro che per le funzioni di vigilanza.
Le banche e le privatizzazioni
La recente, e travagliata, esperienza italiana con le privatizzazioni delle imprese pubbliche ha messo in luce le carenze del nostro mercato dei capitali e l’assoluta necessità che gli investitori istituzionali, vale a dire fondi di investimento, fondi pensione, banche e assicurazioni, sviluppino in tempi rapidi la propria attività in modo tale da giocare un ruolo sempre maggiore nel nostro sistema finanziario. Gli investitori istituzionali sono necessari per reperire ed organizzare le risorse richieste per l’acquisizione delle aziende da privatizzare. Sono anche indispensabili perchè, al fine di ottenere l’aumento di efficienza che ci si ripromette dal generale processo di liberalizzazione dell’economia in corso in Italia come nel mondo, occorre che la concorrenza operi non solo nel mercato dei beni e dei servi
zi, ma anche nel mercato dei diritti di proprietà. In particolare, non basta che vengano favoriti assetti proprietari largamente ripartiti e diffusi: bisogna saper acquisire le informazioni e disporre delle competenze necessarie a svolgere il ruolo di supervisione dell’operato del management. Questo è il ruolo degli investitori istituzionali nei mercati evoluti. Anche dove si pensi che prevalgano ragioni per il mantenimento, seppur provvisorio, di monopoli naturali, la concorrenzialità potrà essere garantita solo se chi ritiene di essere più efficiente ha la possibilità di sostituirsi alla vecchia proprietà e di sostituire il management esistente. Perchè questo avvenga, è necessaria una Borsa efficiente, che presuppone l’esistenza di investitori istituzionali con notevoli capacità finanziarie.
È anche per la mancanza di investitori istituzionali, oltre che per resistenze di natura culturale ed ideologica, che il processo di privatizzazione si sta muovendo con tanta lentezza. Nella situazione italiana il ruolo delle banche risulta particolarmente rilevante, sia per la temporanea supplenza che ad esse incombe stante la tardiva partenza dei fondi pensione, sia per la loro azione nell’organizzare e garantire il collocamento dei titoli azionari presso il pubblico. La privatizzazione del sistema creditizio, dunque, avrebbe dovuto precedere la privatizzazione delle altre imprese pubbliche. Mentre l’IRI ha dapprima venduto alcune banche da esso possedute, le Casse di risparmio e gli altri istituti di credito detenuti da fondazioni/associazioni bancarie, già di diritto pubblico, risultano ancora largamente possedute dalle rispettive fondazioni/associazioni, nonostante le sollecitazioni per promuoverne una rapida dismissione.
Le fondazioni/associazioni nella legislazione bancaria
La storia delle attività creditizie gestite da fondazioni/associazioni è assai varia, quanto la storia d’Italia.
Per citare solo alcuni esempi significativi, le Casse di risparmio si svilupparono a par tire dalla seconda metà del secolo scorso allo scopo di incoraggiare e tutelare il piccolo risparmio delle classi più povere. In quel periodo lo status delle Casse non era di istituti creditizi, ma di istituzioni di pubblico interesse, pur essendo la loro attività economica produttiva di una remunerazione, sia pure contenuta, del risparmio raccolto. Da tale origine storica derivarono profonde incertezze circa la loro corretta qualificazione giuridica. Quando le Casse si trasformarono in banche a tutti gli effetti, questa ambiguità si accentuò con l’aumentare del credito raccolto e la richiesta di una maggiore competitività sul mercato del credito.
L’iter già di per sè accidentato dell’evoluzione storica delle Casse fu anche segnato da profondi interventi del legislatore e della giurisprudenza.
La legge 15 luglio 1888, n. 5546, «portante il riordinamento delle Casse di risparmio», dettò una disciplina unitaria che, pur tenendo conto delle due anime che in essa convivevano, portò le Casse fuori sia dalla disciplina esistente per le opere pie, sia da quella propria degli istituti creditizi. La legge del 1888 realizzava la separazione delle Casse dai propri fondatori e fissava le regole per garantirne la solidità patrimoniale e reprimere eventuali abusi nella loro amministrazione. Il legislatore del 1888, prendendo atto della realtà bancaria delle Casse, ne realizzò la definitiva attrazione nell’orbita statale.
Anche la legge bancaria del 1926 (regio decreto-legge 7 settembre 1926, n. 1511), pur facendo salve le disposizioni speciali, compresa l’attribuzione della vigilanza al Ministro dell’agricoltura (e non al Ministro delle finanze cui veniva affidato il controllo delle altre aziende di credito), prendeva atto della prevalente realtà bancaria e stabiliva che una larga parte delle norme bancarie trovassero applicazione anche per gli enti qui in oggetto. Questo processo di sovrapposizione prosegue con la legge bancaria del 1936-38 (regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, poi rinnovato col regio decreto-legge 17 luglio 1937, n. 1400, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 aprile 1938, n. 636) che, incasellando le Casse come una
delle categorie di aziende di credito, dichiara applicabili ad esse tutte le norme dettate per le altre aziende di credito e le sottopone al controllo delle autorità creditizie. Tuttavia la categoria delle Casse di risparmio continuò ad essere retta da una disciplina propria, che trova fondamento nelle norme di legge, nei provvedimenti dell’autorità di vigilanza e nelle norme statutarie.
Le particolarità dello «statuto speciale» delle Casse cominciarono ad essere ridimensionate a partire dagli anni ’50 (significativo il provvedimento che sottopone anche le Casse all’obbligo della riserva obbligatoria): ciò contribuisce a mettere in rilievo la loro natura di imprese bancarie e a collocare in posizione marginale le esigenze di pubblica assistenza e previdenza che ne avevano caratterizzato l’origine storica. Nella stessa direzione era orientato lo statuto tipo approvato dal Comitato interministeriale per il credito nel 1966.
Sempre a titolo esemplificativo, si può ricordare che la legge bancaria del 1936-38 individuava come istituti di credito di diritto pubblico il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca nazionale del lavoro, l’Istituto bancario San Paolo di Torino e il Monte dei Paschi di Siena, ai quali si aggiunse nel 1944 il Banco di Sardegna. Ciascuno di tali soggetti aveva alle proprie spalle un’origine ed una storia diversa e la loro parificazione nella legge bancaria rispose, secondo alcuni autori, ad una mera esigenza di classificazione di una categoria residuale piuttosto che all’individuazione di caratteristiche soggettive ed organizzative comuni a tali enti.
Con la legge 30 luglio 1990, n. 218 (cosiddetta «legge Amato», o «Amato-Carli»), ed il successivo decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, le banche pubbliche sono state oggetto di una prima ristrutturazione, realizzata tramite operazioni societarie che, favorite da incentivi di carattere fiscale, miravano alla trasformazione delle stesse in società per azioni ovvero al conferimento delle rispettive «aziende bancarie» in società per azioni di nuova costituzione. La procedura prevista dalla predetta legge si è però nei fatti limitata ad approntare un’unifor mazione delle strutture giuridiche delle banche in questione (concentrando cioè la struttura operativa delle diverse «aziende bancarie» in una società per azioni e lasciando alla fondazione/associazione esclusivamente il ruolo di proprietaria delle partecipazioni), ma non ha in effetti portato a significative modificazioni a livello settoriale. Infatti, la possibilità prevista dal decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, di ridurre la partecipazione delle fondazioni/associazioni nel capitale delle banche al di sotto della soglia di controllo venne subordinata all’autorizzazione del Ministro del tesoro, e quindi non fu di immediata praticabilità. Tale obiettivo fu ribadito e perseguito dalla direttiva del Ministro del tesoro del 18 novembre 1994, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 22 novembre 1994 (cosiddetta «direttiva Dini»), nella quale si enuncia la necessità di sviluppare l’attività delle fondazioni/associazioni nei settori di interesse generale e di utilità sociale, attraverso la diversificazione del rischio di investimento del patrimonio, la riduzione progressiva delle partecipazioni nelle banche-società conferitarie e la salvaguardia del valore economico del proprio patrimonio. Anche tale direttiva, pur rappresentando un importante punto di riferimento nel tentativo di risolvere le problematiche del settore in questione, si è scontrata con la limitata forza cogente dovuta alla sua natura di provvedimento ministeriale e non legislativo. In particolare la direttiva incoraggia la dismissione delle partecipazioni bancarie tramite incentivi fiscali; questo tipo di incentivo funziona soltanto per quegli agenti economici che hanno come obiettivo la ricerca del profitto massimo, obiettivo che non necessariamente rientra tra quelli della maggioranza delle fondazioni/associazioni bancarie. La direttiva inoltre può essere soddisfatta anche con la dismissione di una parte minima della partecipazione bancaria, se si opta per la parte della direttiva che richiede la diversificazione dei redditi della fondazione/associazione. Poichè i redditi prodotti dalla banca partecipata sono tipicamente modesti, molto al di sotto dei rendimenti ottenibili sul mercato, basta una
dismissione contenuta per ottenere le risorse da investire in attività che generino una proporzione elevata del reddito delle fondazioni/associazioni.
Status giuridico delle fondazioni/associazioni bancarie
Quella di definire natura e status giuridico delle fondazioni/associazioni è sempre stata una difficoltà. Acceso fu fin dall’inizio della loro regolamentazione il dibattito su ragioni e contenuto della natura pubblica delle Casse. Nonostante la citata legge bancaria del 1936-38 non contenesse nessuna norma che definisse le Casse come enti dotati di personalità giuridica pubblica, tuttavia la dottrina e la giurisprudenza erano unanimi nel ritenere che le Casse fossero enti pubblici economici, pur non essendo facile cogliere le ragioni di tale pubblicità. Questa andava probabilmente rintracciata nell’obiettivo delle Casse: raccogliere risparmio e tutelarlo a beneficio delle classi sociali meno ricche. Al fine di perseguire tale scopo, la disciplina speciale delle Casse destina a fini di beneficenza e di pubblica utilità un fondo di dotazione e gli incrementi dello stesso, con divieto di ogni distrazione anche dei proventi, con la sola eccezione di una parte degli utili. Tale fondo è dunque un fondo pubblico che non può essere sottratto all’ente che lo gestisce. Questa prospettiva aveva un’immediata conseguenza sul piano organizzativo: la gestione dell’ente doveva essere conservata in mano pubblica. Ciò generò una serie di problemi: impossibilità di aumentare il proprio patrimonio altro che con l’autofinanziamento; mancanza di una vera dialettica tra organi di gestione ed organi di controllo; intralci alla libertà operativa derivanti dalla tassatività delle forme di impiego. Le varie riforme introdotte per via amministrativa non potevano risolvere in radice l’ambiguità derivante dall’essere ad un tempo imprese e opere pie.
Questa ambiguità è stata sciolta con la già ricordata legge 30 luglio 1990 n. 218: questa, più che come uno scorporo dell’azienda bancaria dall’involucro dell’ente pubblico creditizio originario, può essere letta come depurazione dell’impresa bancaria, riorganizzata in forma di società per azioni, da «scorie» rappresentate dalle attività collaterali che servivano più che altro a promuovere l’immagine della Cassa o della Banca. È ora necessario che le fondazioni/associazioni superino la crisi di identità, riscoprendo una precisa vocazione sociale o culturale. Le fondazioni/associazioni, stabilmente collocate nel diritto privato, potranno allora costituire il pendant delle società per azioni: queste aventi per oggetto attività a fini di lucro, quelle regolate come organismi non-profit, tanto più utili nella realtà economica contemporanea dove si accentua l’orientamento verso un maggiore concorso dei privati nella gestione di servizi pubblici, culturali, formativi ed assistenziali.
Fedeli alla loro origine, le fondazioni/associazioni investiranno il loro patrimonio al solo scopo di produrre profitti per finanziare le attività istituzionali non-profit e di permettere interventi duraturi nel perseguimento dei loro scopi istituzionali. Investiranno prevalentemente il loro patrimonio in un portafoglio diversificato di attività finanziarie. Potranno detenere partecipazioni in banche ed imprese, purchè non di controllo. A maggior garanzia, la gestione delle risorse finanziarie delle fondazioni/associazioni avverrà attraverso il velo di un investitore professionale.
I vertici delle fondazioni/associazioni saranno responsabili di come hanno investito il patrimonio e utilizzato il reddito per il raggiungimento degli scopi istituzionali nei settori di elezione.
Oggi, la proprietà di banche da parte delle fondazioni/associazioni produce la vistosa anomalia di soggetti che controllano uno strumento così vitale come il credito, che detengono o possono detenere importanti partecipazioni azionarie, che dovrebbero esercitare il ruolo di supervisione del management delle aziende in cui hanno investito, e che sono di fatto esse stesse sottratte ai meccanismi di supervisione, quando non sono, secondo una prassi non dimenticata,
espressione della volontà e della spartizione compiuta dal potere politico.
Convertite le partecipazioni delle fondazioni/associazioni in valori mobiliari negoziabili sul mercato, separato il controllo dalla proprietà, riorientata l’attività sulla prudente diversificazione del proprio patrimonio e sull’impiego del reddito che ne deriva, cadrà la principale ragione del legame con il potere politico. Saranno in quel momento possibili ed opportune iniziative legislative, come la revisione del libro I, titolo II, capo II del codice civile, volte a definirne con precisione lo stato giuridico, radicandole chiaramente nel diritto privato.
Gli ostacoli alle dismissioni.
Per spiegare perchè le fondazioni stentano a dismettere le loro partecipazioni, e per suggerire invece un processo lento, graduale e non guidato dal mercato, si adducono queste principali ragioni:
a causa della bassa redditività delle banche, il prezzo di cessione sarebbe eccessivamente ridotto, probabilmente inferiore al valore di carico;
data l’entità complessiva delle banche da vendere, sul mercato si produrrebbe un intasamento che deprimerebbe ulteriormente i valori;
per le cause precedenti, esiste il rischio di una concentrazione monopolistica nel settore bancario.
Per quanto riguarda il prezzo, bisogna notare che in molti casi il valore di carico e’ stato artificialmente aumentato con le rivalutazioni consentite dalla legge Amato, e che esso non tiene conto di beni di scarsa o difficile smobilizzazione, come immobili o crediti di dubbia esigibilità. Esigenze di trasparenza hanno indotto a porre in capo alle fondazioni l’obbligo di redigere i bilanci secondo i criteri degli articoli 2423 e seguenti del codice civile e viene consentito di ridurre il valore della partecipazione fino al limite della rivalutazione ai sensi della predetta legge e, se necessario, attingendo da altre riserve. Se il prezzo della successiva cessio ne dovesse risultare superiore, si dispone che non costituisca realizzo di plusvalenze la vendita fino al concorrere della svalutazione così effettuata. In tal modo la congruità del prezzo di cessione viene riferita a valori reali, e si evita di bloccare l’operatività della fondazione successiva alla vendita, quando gli statuti della medesima prevedano che erogazioni possano aver luogo solo dopo avere ricostituito il patrimonio.
Il mercato azionario dimostra che la valutazione delle banche dipende in primo luogo dalla loro redditività, e questa a sua volta è largamente influenzata negativamente dalla rigidità nell’impiego del personale. Un recente studio dell’Assicredito rileva che il costo per addetto, a parità di potere d’acquisto, è in Italia il più elevato, pari a 105,8 milioni di lire per addetto, contro i 76,2 della Germania, gli 80,7 della Svizzera ed i 63,2 degli Stati Uniti. Una maggiore efficienza delle banche non è solo nell’interesse delle fondazioni che le controllano, ma del sistema economico in generale: per questa ragione si sono estese alle banche private le disposizioni di integrazione salariale straordinaria e di trattamento di mobilità che valgono per le imprese industriali.
Non ha grande fondamento invece l’obiezione che le fondazioni riuscirebbero a spuntare prezzi più vantaggiosi a ristrutturazione avvenuta. Il prezzo che l’acquirente è disposto a pagare corrisponde infatti al valore netto attualizzato, cioè alla redditività futura depurata dai costi di ristrutturazione. È plausibile che il nuovo acquirente sia più efficiente dei vecchi proprietari in questa azione, cosa che concorre a rendere più conveniente per la fondazione dismettere la sua partecipazione prima di ristrutturarla.
È invece sicuramente vero che l’offerta di un gran numero di banche in un periodo di tempo ridotto diminuisce il ricavo ottenibile dalla vendita. È tuttavia altrettanto vero che il diritto morale a disporre di ingenti patrimoni, di cui parla il ministro Ciampi, impone alle fondazioni obblighi non solo verso le comunità locali in cui sono cresciute e ove sono radicate, ma anche verso la collettività nazionale; è anche grazie all’atti
vità economica del Paese in generale che tali patrimoni si sono formati: e la privatizzazione delle banche corrisponde, come è riconosciuto dai più, e come testimoniano le azioni concordi di tutti gli ultimi governi, ad un interesse generale del Paese.
Nel valutare l’interesse complessivo per le fondazioni dell’operazione di dismissione bisogna infine considerare il costo opportunità, cioè la differenza tra il rendimento dell’investimento in attività bancarie e quello di investimenti alternativi, normalmente assai più elevati. Ogni anno perso a diversificare i propri investimenti produce differenze negative di rendimento che nel breve volgere di pochi anni più che compensa eventuali minusvalenze. Naturalmente le somme ricavate dalle vendite devono essere investite in modo prudente, diversificato e non tale da prefigurare l’acquisizione del controllo in altre attività industriali: si sono perciò specificati i criteri di investimento, di redditività dei proventi delle dismissioni, nonchè le finalità a cui la loro erogazione deve essere destinata.
Resta infine l’obiezione del tempo ridotto che il presente disegno di legge prevede per l’intero processo. Si deve trovare un compromesso tra le esigenze del Paese, anche in relazione al processo di privatizzazione delle aziende di stato, e le esigenze delle fondazioni: il tempo indicato dovrebbe adeguatamente coprire i tempi tecnici per l’individuazione dei possibili acquirenti, la negoziazione, la stipula dei contratti. Un’altra ragione per non estendere eccessivamente il tempo a disposizione è quella di ridurre, indicando un tempo ridotto, la possibilità pratica per un gruppo limitato di soggetti di reperire i mezzi finanziari necessari per un massiccio rastrellamento. Un certo processo di concentrazione del sistema creditizio è indispensabile per aumentare l’efficienza di un sistema caratterizzato da eccessiva frammentazione e dalla presenza di unità di dimensione eccessivamente ridotta. Ove poi si tema il rischio di concentrazioni monopolistiche, si deve ricordare che ad evitarlo provvede la vigilanza della Banca d’Italia e delle autorità preposte alla tutela della concorrenza. Preoccupazioni in tal senso rivelano il loro carattere strumentale.
Proprio perchè intende non solo preservare, ma anzi valorizzare le fondazioni/associazioni, riportandole al loro ruolo originario di istituzioni private operanti nei settori non-profit, il presente disegno di legge offre alle fondazioni/associazioni una serie di opzioni per servire al meglio i propri interessi, e insieme ottemperare alle direttive governative di procedere alla alienazione delle partecipazioni bancarie.
È stata anche posta attenzione anche al mantenimento del carattere locale delle banche, nel modo che risulterà chiaro dall’illustrazione della proposta.
Procedure di dismissione
Illustrate le ragioni della cogenza di privatizzare le banche possedute da fondazioni/associazioni per realizzare quella svolta storica nelle funzioni e compiti dell’amministrazione dello Stato, che delle privatizzazioni è il significato ultimo, riportato il problema del prezzo dal campo ideologico all’unico che gli è proprio, ossia quello dell’incontro tra domanda ed offerta, distinte le preoccupazioni condivise dalle obiezioni strumentali, si intendono esporre i criteri base su cui poggia il presente disegno di legge.
Dapprima si stabiliscono alcuni criteri per far sì che di vendite effettive si tratti, e non di modi per aggirare l’impegno a vendere. Successivamente si offrono alle fondazioni/associazioni due percorsi: uno volontario ed uno automatico. I due percorsi non sono in alternativa tra loro, sicchè – e si ritiene che possa essere il caso più frequente – la fondazione/associazione si potrà avvalere di entrambi.
Al percorso volontario vengono assegnati diciotto mesi: durante questo tempo la fondazione/associazione potrà usare le procedure tradizionali: trattativa diretta, asta pubblica, offerta pubblica di vendita. La fondazione/associazione può mantenere fino ad un massimo del 15 per cento delle azioni della banca controllata e, quindi,
non si preclude alla fondazione/associazione di rimanere un importante azionista della banca. In questo periodo, tuttavia, si ammettono operazioni che possano riguardare banche ancora di proprietà delle fondazioni/associazioni al fine di favorire il processo di concentrazione. Con la sola esclusione dei soggetti che si trovano in conflitto di interessi, nessun vincolo viene posto quanto a scelta dell’acquirente o degli acquirenti, nè quanto a frazionamento, ferma restando ovviamente la funzione di vigilanza e tutela della Banca d’Italia. Il mantenimento della natura locale delle banche e la garanzia che vengano mantenuti eventuali rapporti tradizionali con le attività economiche locali sono elementi la cui valutazione viene lasciata alla discrezionalità degli amministratori delle fondazioni/associazioni. Facilitazioni sono previste per dipendenti, ex dipendenti e clienti.
Il secondo percorso, quello automatico, può essere imboccato dalla fondazione/associazione nel momento che ritiene più opportuno, ma diventa obbligatorio dopo che siano trascorsi diciotto mesi; esso riguarda la totalità delle azioni al momento ancora possedute dalla fondazione/associazione. Il diritto ad acquistare tali azioni viene offerto, come buono di acquisto, ai dipendenti presenti e passati dell’intero gruppo, ai clienti persone fisiche sia della banca che di eventuali società da essa possedute, e ciò analogamente a quanto previsto dal decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, sulle privatizzazioni. È nel concreto di questi rapporti, infatti, che si materializza il carattere locale delle banche in questione. I buoni di acquisto sono liberamente cedibili e verranno obbligatoriamente trattati in Borsa per un periodo di tre mesi. Il buono dà diritto ad acquistare un’azione della banca a tre volte il prezzo medio che verrà rilevato negli ultimi due mesi di contrattazione. Essendo praticamente impossibile che tutti coloro che hanno ricevuto il buono intendano sottoscrivere, non si darà il caso che non ci siano scambi e quindi non si registri prezzo. È previsto che gli elenchi degli aventi diritto ai buoni siano resi disponibili a chi ne faccia richiesta, al fine di consentire la formazione di canali di comunicazione personalizzati, ed accelerare così la creazione di un mercato dei buoni. Per aumentare la significatività e trasparenza del prezzo, qualora nei primi tre mesi di negoziazione il volume dei buoni di acquisto scambiati non ecceda una determinata proporzione del quantitativo dei buoni di acquisto distribuiti, che viene stabilito preventivamente dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) tenuto conto delle dimensioni della banca, il termine per la negoziazione viene esteso di altri tre mesi. Per garantire la trasparenza è previsto che tutte le negoziazioni passino dai mercati regolamentati.
Col procedere delle contrattazioni, si stabilizzerà il prezzo del buono: il suo valore medio rappresenterà il 25 per cento del prezzo di acquisto dell’azione. Chi infatti volesse acquistare un’azione della banca, sia perchè non è un assegnatario originario del buono, sia perchè volesse incrementare la quantità di azioni che desidera sottoscrivere, dovrà comperare prima il buono in borsa, diciamo a 100, e poi esercitare il diritto a comperare che il buono assegna, versando, alla fondazione/associazione che cede, tre volte il prezzo di borsa del buono, vale a dire 300. Il costo totale per l’acquisto di un’azione per lui è quindi 400. Il vantaggio economico di chi riceve inizialmente il buono sono le 100 che non deve pagare per ottenerlo. Per lui il costo dell’acquisto di un’azione è solo 300. Il 25 per cento del prezzo di collocamento è dunque il vantaggio che viene concesso a coloro che intrattengono rapporti con la banca. È interessante notare che la preferenza sul prezzo spetta solo ad una particolare categoria di cittadini, mentre il diritto ad acquistare è offerto a chiunque intenda partecipare al mercato.
Il prezzo che in tal modo si determina è, per definizione, il prezzo «vero», quale si determina nelle concrete condizioni del mercato in quel momento. La fondazione/associazione ha la possibilità di usare uno o entrambi i percorsi, e per i quantita
tivi di azioni di sua scelta: le due possibilità interagiscono positivamente tra loro. La fondazione/associazione ha un incentivo, durante i primi diciotto mesi, a cercare acquirenti per trattativa diretta, potendo così scegliere i soci di proprio gradimento; o lanciare una offerta pubblica di vendita (OPV), durante i primi diciotto mesi, essendo minore l’entità dello sconto, e possibilmente anche il quantitativo di azioni, che deve riservare a dipendenti e correntisti. D’altra parte, la possibilità che si crei un mercato, prima dei buoni e poi delle azioni, per quote non di controllo, serve a riportare i prezzi ai livelli di mercato: ciò agisce da garanzia per i compratori che desiderino acquisire quote di controllo, e quindi ne aumenta l’interesse.
La fondazione/associazione potrebbe anche decidere di emettere buoni per quantitativi che spingano a lanciare un’offerta pubblica di acquisto (OPA) per il controllo, nella convinzione di recuperare in tal modo lo «sconto» a dipendenti e correntisti. Quote rilevanti, anche se di minoranza, potrebbero essere attraenti per gruppi di operatori economici che ritengano i propri interessi meglio serviti da un ancoraggio della banca alle realtà locali.
Trascorsi i termini assegnati sia alla vendita diretta o OPV tradizionale (diciotto mesi), sia alla negoziazione dei buoni di acquisto (quattro mesi), ove la fondazione/associazione risulti detenere ancora una partecipazione, i suoi vertici verranno sostituiti da un commissario straordinario nominato dal Ministero del tesoro, il quale provvederà alla vendita dell’intera partecipazione al momento detenuta: si deve infatti ritenere che in tal caso sussistano o ragioni di volontà soggettiva o di difficoltà oggettive che impongono al Governo di prendere in mano direttamente la gestione del problema.
Il disegno di legge definisce dunque una procedura di intervento completa e comprensiva di tutte le possibili situazioni che si possono verificare. La procedura inoltre non richiede alcun intervento da parte degli organi di controllo o di governo, la loro azione restando concentrata sulla funzione di vigilanza. Anche il ruolo degli advisor e degli underwriter nella determinazione del prezzo, sovente origine di ritardi e fonte di discussioni quando non di contenzioso, è limitato e non necessario nel caso della procedura obbligatoria. Un ruolo centrale viene svolto dal mercato. I buoni, la probabile quotazione delle azioni nelle quali essi verranno convertiti e l’attività di investimento dei ricavi delle vendite da parte delle fondazioni/associazioni possono innescare, per la dimensione del fenomeno, un circolo virtuoso in borsa.
Analisi dell’articolato
Il titolo I contiene definizioni e finalità della legge. L’articolo 1 definisce ente conferente (fondazione/associazione), società conferitaria (banca), società di partecipazione (holding), nonchè proventi e unico acquirente, con riferimento alla legislazione vigente. L’articolo 2 individua gli scopi del presente disegno di legge nello sviluppo delle fondazioni/associazioni nell’ambito specifico delle proprie finalità, avendo particolare attenzione a incentivare l’azionariato popolare.
Il titolo II fissa gli obiettivi della riforma. L’articolo 3 li individua nell’obbligo di dismissione entro diciotto mesi, salvo una quota non eccedente il 15 per cento del capitale sociale. In caso di inadempimento, fissa l’obbligo di dismissione entro quattro mesi della totalità delle partecipazioni. In caso di ulteriore inadempimento l’organo amministrativo della fondazione/associazione verrà sostituito da un commissario che dia esecuzione alla dismissione. L’articolo 4 vieta, a pena di nullità, che le dismissioni avvengano a favore di soggetti titolari di interessi conflittuali, nonchè di aggirare il disposto mediante scambi di partecipazioni o altre operazioni societarie, favorendo così le concentrazioni bancarie. L’articolo 5 stabilisce i criteri generali per la destinazione dei proventi derivanti da dismissioni, e conferisce delega al Governo per emanare, entro cento giorni, decreti legislativi in merito a modifiche degli statuti, limiti alle partecipazioni azionarie, attività delle fondazioni. Inoltre dovrà essere istituito, per gli enti
che già non ne dispongano, un organo assembleare costituito, per il 60 per cento da soggetti operanti nell’ambito di attività della fondazione, e per il 40 per cento nominati mediante cooptazione, riconfermabile una sola volta. Stabilisce altresì che una percentuale non inferiore al 5 per cento del patrimonio sia destinata annualmente a copertura delle spese istituzionali.
Il titolo III fissa le modalità per la realizzazione degli obiettivi di cui al titolo II. Nel primo periodo di diciotto mesi, queste sono individuate dall’articolo 6, in tre distinte procedure, trattativa diretta, asta pubblica, offerta pubblica di vendita. Se la fondazione/associazione sceglie la trattativa diretta, l’articolo 7 prevede l’autorizzazione preventiva del Ministero del tesoro. Nel caso si scelga la strada dell’offerta pubblica di vendita, almeno il 10 per cento del quantitativo di azioni offerto dovrà essere riservato a dipendenti ed ex dipendenti del gruppo, ed almeno il 20 per cento ai correntisti e ai clienti della banca.
L’articolo 10 prevede che il prezzo nel caso di asta pubblica o di offerta pubblica di vendita sia determinato in relazione alle quotazioni di borsa laddove possibile, o ad eventuali vendite dirette precedentemente intercorse. In caso di inapplicabilità di questi criteri, il prezzo verrà determinato da operatori specializzati, come già previsto dalla legge sulle privatizzazioni. In caso di OPV, i dipendenti, ex dipendenti e clienti avranno diritto a una riduzione di prezzo di almeno il 10 per cento con facoltà di avvalersi di pagamenti rateali.
Qualora nel periodo di diciotto mesi la fondazione/associazione non abbia provveduto alla dismissione di quanto eccedente il 15 per cento delle azioni della banca o della holding si dovrà procedere secondo quanto previsto dall’articolo 11. Esso prevede che per ogni azione a quel momento posseduta dalla fondazione/associazione, venga emesso un buono d’acquisto a favore di dipendenti, ex dipendenti e clienti persone fisiche. Questi buoni sono negoziabili e trattati in borsa; saranno quotati per tre mesi sui mercati regolamentati. Ogni buono dà diritto all’acquisto di un’azione della banca o della holding a tre volte il prezzo medio rilevato durante gli ultimi due mesi di quotazione. Nel caso di OPA sui buoni di acquisto, è concessa la facoltà di presentare successivi rilanci sia da parte dell’offerente originario che da parte degli offerenti concorrenti. In tal caso è data facoltà alla CONSOB di prorogare il termine di tre mesi fino a sei mesi.
Nelle disposizioni finali, di cui al titolo IV, all’articolo 12 si fa obbligo agli enti conferenti di redigere il propri bilancio in con
formità agli articoli 2423 e seguenti del codice civile. Il trattamento delle minusvalenze viene regolato dall’articolo 13, mentre l’articolo 15 prevede la neutralità fiscale delle operazioni di dismissione realizzate secondo il presente disegno di legge. L’articolo 16 estende alle banche privatizzate le disposizioni in materia di integrazione salariale straordinaria e di trattamento di mobilità di cui agli articoli 12, 16 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modifiche, e ciò fino al 30 giugno 1999.
DISEGNO DI LEGGE
TITOLO I
DEFINIZIONI E FINALITÀ
Art. 1.
(Definizioni)
1. Nella presente legge l’espressione:
a) «ente conferente» indica quel soggetto che, ai sensi di quanto previsto dalla legge 30 luglio 1990, n. 218, e dal decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, abbia effettuato trasformazioni, fusioni o conferimenti tali da comportare, in qualsiasi forma dette operazioni siano state realizzate, la costituzione o la creazione di una o più società conferitarie, nelle quali l’ente conferente detenga direttamente o indirettamente una partecipazione;
b) «mercati regolamentati» indica i mercati di cui all’articolo 20 della legge 2 gennaio 1991, n. 1;
c) «proventi» indica tutti i corrispettivi in denaro ricevuti dagli enti conferenti in seguito alla dismissione delle partecipazioni nelle società conferitarie o nelle società di partecipazione, così come previsto dalla presente legge, inclusi, fra gli altri, i corrispettivi per la vendita di azioni, di diritti di opzione sulle azioni e di ogni altro valore mobiliare, anche non quotato, di cui all’articolo 18-bis del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974 n. 216, e successive modificazioni;
«società conferitaria» indica la società a favore della quale, ai sensi di quanto previsto dalla legge 30 luglio 1990, n. 218, e dal decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e in qualunque forma l’operazione sia stata realizzata, l’ente conferente abbia conferito l’azienda bancaria;
e) « società di partecipazione » indica la società alla quale l ’ente conferente abbia eventualmente conferito o comunque trasferito, in tutto o in part e, la propria partecipazione nella società conferitaria e nella quale lo stesso ente conferente detiene, anche indirettamente, una partecipazione;
f) «unico acquirente» indica un soggetto, persona fisica o giuridica, il soggetto controllante ed i soggetti controllati da un unico controllante, ovvero comunque più soggetti che partecipano ad accordi o patti di cui all’articolo 10, comma 4, della legge 18 febbraio 1992, n. 149, come sostituito dall’articolo 7, comma 1, lettera b), del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994 n. 474;
g) «controllo» indica, anche ai fini della nozione di «soggetto controllante» e «soggetto controllato», la situazione definita all’articolo 23 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385.
Art. 2. (Finalità)
2 1 . Scopo della presente legge è favorire lo sviluppo e l’ incremento da parte degli enti conferenti della propria nell’ambito specifico delle finalità a d essi assegnate, consistenti nell’intervento in settori di interesse pubblico e di utilità sociale, attraverso la diversificazione del rischio di investimento del patrimonio e la progressiva riduzione delle loro partecipazioni nelle società conferitarie e nelle società d i partecipazione.
2. Le finalità della presente legge verranno perseguite anche attraverso forme di azionariato popolare, nel rispetto del radicamento nel proprio territorio degli enti interessati.
TITOLO II
DISMISSIONE DELLE PARTECIPAZIONI DEGLI ENTI CONFERENTI
Art. 3.
(Obbligo di dismissione)
1. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ciascun ente conferente dovrà procedere alla dismissione delle partecipazioni in società conferitarie o in società di partecipazione comprese nel proprio patrimonio, secondo quanto previsto dalla presente legge.
2. Al fine di cui al comma 1, l’ente conferente, qualora possieda partecipazioni in una sola società conferitaria o in una sola società di partecipazione, deve, entro il termine di cui al medesimo comma 1, trasferire incondizionatamente a terzi le proprie partecipazioni e tutti i relativi diritti nella società conferitaria ovvero nella società di partecipazione, potendo conservare una partecipazione, diretta o indiretta, che non ecceda il 15 per cento del capitale del soggetto partecipato o dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria o in quella straordinaria.
3. L’ente conferente, qualora possieda partecipazioni in diverse società conferita-rie o in diverse società di partecipazione, deve, entro il termine di cui al comma 1, trasferire incondizionatamente a terzi dette partecipazioni, potendo conservare una o più partecipazioni, dirette o indirette, in società conferitarie o società di partecipazione, eventualmente anche diverse rispetto a quelle originariamente possedute, ciascuna non eccedente il 15 per cento del capitale o del capitale o dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria o straordinaria di ognuno dei soggetti partecipati.
4. Il termine di cui al comma 1 è prorogato per un periodo massimo di tre mesi qualora alla sua scadenza ricorrano entrambe le seguenti condizioni:
a) che l’ente conferente sia titolare di una partecipazione nella società conferita-ria o nella società di partecipazione non attributiva del controllo;
b) che sia già stato stipulato dall’ente conferente un contratto di vendita delle partecipazioni eccedenti i limiti di cui ai commi 2 e 3, ma non sia stata ancora completata la procedura di autorizzazione da parte delle competenti Autorità di controllo ovvero che sia già stato autorizzato dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) il prospetto informativo dell’offerta pubblica che abbia per oggetto la vendita delle partecipazioni eccedenti i limiti di cui ai commi 2 e 3, ma non abbia ancora avuto inizio l’offerta stessa.
5. In caso di inadempimento di quanto previsto dal comma 1, gli enti conferenti inadempienti devono procedere, entro quattro mesi dalla scadenza del termine di cui al medesimo comma 1, alla dismissione della totalità delle partecipazioni comprese nei rispettivi patrimoni. In tal caso tali dismissioni sono realizzate esclusivamente mediante la procedura di cui all’articolo 11 Il termine di cui al presente comma è prorogabile fino a sei mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 1 qualora la CONSOB comunichi per iscritto all’ente conferente ed al Ministro del tesoro che, per ragioni di tempo dovute all’effettuazione degli adempimenti previsti dalle leggi applicabili, non è possibile procedere al completamento della procedura entro il predetto termine di quattro mesi.
6. Qualora anche l’obbligo di cui al comma 5 rimanesse inadempiuto, si procederà, ai sensi dell’articolo 25 del codice civile, allo scioglimento dell’organo amministrativo dell’ente conferente ed alla conseguente nomina di un commissario straordinario, che provvederà a dare esecuzione a quanto previsto dal presente articolo.
Art. 4.
(Limiti all’esecuzione delle dismissioni)
- Tranne che alle società conferenti e alle società di partecipazione, è fatto espresso divieto, a pena di nullità, agli altri enti conferenti, agli enti pubblici ed alle società partecipate, direttamente o indirettamente,
dallo Stato o da altri enti pubblici in misura superiore al 15 per cento del capitale sociale o dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria o in quella straordinaria, di partecipare, direttamente o indirettamente tramite società controllate, fiduciarie o per interposta persona, in qualità di acquirenti, sottoscrittori o in altre forme analoghe, alle operazioni di dismissione delle partecipazioni di cui all’articolo 3.
2. Il divieto di cui al comma 1 si applica altresì:
a) agli amministratori degli enti conferenti;
b) agli amministratori delle società conferitarie e delle società di partecipazione;
c) agli amministratori delle società controllate, anche in forza di controllo congiunto con altro soggetto, dalle società conferitarie o dalle società di partecipazione ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile;
d) ai coniugi ed ai parenti fino al quarto grado dei soggetti di cui alle lettere a), b) e c).
2. È fatto espresso divieto, a pena di nullità, agli enti conferenti di procedere alle dismissioni di cui all’articolo 3 mediante permute, conferimenti di partecipazioni di aziende o di rami di azienda ovvero altre operazioni che non comportino la corresponsione di denaro o di titoli di Stato italiani o di altri Paesi membri dell’Unione europea da parte degli acquirenti.
Art. 5.
(Impiego dei proventi-riordino delle fondazioni)
1. In ottemperanza alle finalità previste dall’articolo 2, i proventi derivanti dalle dismissioni di cui all’articolo 3 devono essere investiti nel rispetto dei princìpi di riordino degli enti conferenti e diversificando gli investimenti.
Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare entro cento giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, senti to il parere, da esprimersi entro il quarantacinquesimo giorno successivo alla richiesta, delle Commissioni parlamentari competenti, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni intese a prevedere:
a) che le modifiche agli statuti degli enti conferenti per effetto della presente legge siano apportate entro centoventi giorni dall’entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al presente articolo;
b) che gli enti conferenti non possono:
1) esercitare la gestione o il controllo di enti o società che esercitano attività imprenditoriale ai sensi dell’articolo 2082 del codice civile, ivi comprese le attività di impresa agricola, commerciale, industriale, di trasporto, finanziaria, creditizia ed assicurativa;
2) comunque detenere partecipazioni superiori al 15 per cento del capitale sociale o dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria o straordinaria di detti enti o società;
3) in ogni caso impiegare più del 10 per cento del proprio patrimonio in investimenti consistenti nella sottoscrizione nell’aquisto o comunque nell’assunzione di partecipazioni in detti enti o società;
c) che i fini dell’ente conferente siano quelli di interesse pubblico, di utilità sociale e di assistenza e tutela delle categorie sociali più deboli;
d) che l’attività degli enti conferenti debba svolgersi nei settori della ricerca scientifica, dell’arte, della sanità, dell’istruzione, dell’assistenza sociale, tenuto conto del contesto sociale, economico e culturale nel quale opera l’ente conferente stesso ed anche delle risorse disponibili onde evitare il rischio di una loro dispersione;
e) l’introduzione facoltativa dell’organo assembleare presso gli enti il cui statuto sia sprovvisto di tale organo e che, per tutti gli enti, la composizione di tale organo sia, entro novanta giorni dall’entrata in vigore delle modifiche agli statuti previste dai decreti legislativi di cui al presente articolo, assicurata:
1) per il 40 per cento da soggetti designati da associazioni riconosciute o fondazioni o enti equivalenti con sede nell’Unione europea operanti nei settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della sanità, dell’assistenza sociale, da ordini professionali;
2) per il 30 per cento dagli enti locali competenti per il territorio dove è presente l’ente conferente;
3) per il restante 30 per cento da soggetti cooptati dall’assemblea medesima. I componenti dell’assemblea, a qualunque titolo partecipanti all’assemblea stessa scadono dopo cinque anni e possono essere riconfermati per una sola volta. In sede di prima applicazione della presente legge tutti i componenti dell’assemblea degli enti o dell’organo equivalente degli enti stessi decadono alla fine dei novanta giorni che decorrono dall’entrata in vigore delle modifiche agli statuti previste alla lettera a) del comma 2 e possono essere confermati soltanto per un quinquennio;
f) che l’assemblea dei soci non possa modificare le finalità dell’ente e neppure deliberare lo scioglimento e la liquidazione dello stesso;
g) le modalità attraverso le quali gli statuti degli enti indichino i soggetti abilitati ad effettuare le designazioni ed il numero dei componenti dell’assemblea che a ciascuno di essi compete nominare;
h) che sia esclusivamente l’organo assembleare a nominare i membri del consiglio di amministrazione e i membri dell’organo di controllo;
i) che i membri del consiglio di amministrazione e dell’organo di controllo non siano revocabili e che siano tenuti a garantire il massimo grado di trasparenza e di pubblicità sugli atti degli enti, sui criteri adottati nella politica delle spese, sugli elenchi dei destinatari, sull’ammontare delle risorse loro erogate;
l) che nel rispetto del principio dell’autonomia statutaria degli enti l’organo di vigilanza non possa andare oltre la valutazione della conformità della condotta degli enti alle norme legislative, regolamentari e statutarie;
che una percentuale non inferiore al 3 per cento del patrimonio dell’ente sia destinata annualmente alla copertura delle spese istituzionali e che tale percentuale sia raggiunta gradualmente nell’arco di cinque anni;
n) l’incompatibilità tra le cariche amministrative e di controllo nell’ente conferente e le cariche amministrative e di controllo nella società conferitaria e nelle società ed enti che con essa compongono il gruppo creditizio ovvero che siano soggette al controllo, anche indiretto, di un soggetto facente parte del gruppo creditizio. In sede di prima applicazione della presente legge coloro che si trovano nelle citate condizioni di incompatibilità dovranno esercitare l’opzione tra le cariche incompatibili entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle previste modifiche agli istituti di cui alla lettera a) del comma 2. Coloro che non esercitano l’opzione entro il termine indicato decadono, entro lo stesso termine, da tutte le cariche incompatibili.
TITOLO III
MODALITÀ DELLE DISMISSIONI
Art. 6.
(Strumenti disponibili per le dismissioni)
1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 4, le dismissioni di cui all’articolo 3, comma 1, possono essere realizzate tramite trattativa diretta, asta pubblica, offerta pubblica di vendita, ovvero con la procedura di distribuzione di buoni di acquisto.
2. L’organo amministrativo dell’ente conferente determina la forma più opportuna di dismissione.
Art. 7.
(Trattativa diretta)
1. Gli enti conferenti possono procedere alla dismissione delle rispettive partecipa zioni tramite trattativa diretta qualora la cessione delle azioni della società conferita-ria o della società di partecipazione avvenga a favore di un unico acquirente che ne assuma il controllo ovvero a favore di banche, di società appartenenti a gruppi bancari, di società finanziarie iscritte nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, o di società di assicurazione, salvo comunque quanto previsto dall’articolo 4 della presente legge.
2. Nel caso di cui al comma 1, l’ente conferente deve preventivamente ottenere l’autorizzazione del Ministero del tesoro alla realizzazione della dismissione tramite trattativa diretta.
3. In caso di trattativa diretta, chi avrà acquisito il controllo, anche congiunto, della società conferitaria ovvero della società di partecipazione tramite l’acquisto di valori mobiliari quotati in borsa o comunque negoziati al mercato ristretto sarà esonerato dagli obblighi di offerta pubblica di acquisto di cui all’articolo 10 della legge 18 febbraio 1992, n. 149.
Art. 8.
(Asta pubblica)
1. Nel caso in cui le dismissioni di cui all’articolo 3 vengano realizzate attraverso asta pubblica, l’organo amministrativo dell’ente conferente provvede ad emanare i necessari bandi e regolamenti di partecipazione all’asta e di valutazione delle offerte.
2. La partecipazione all’asta pubblica da parte di potenziali acquirenti è possibile anche in forma congiunta.
Art. 9.
(Offerta pubblica di vendita)
1. Nel caso in cui le dismissioni di cui all’articolo 3 vengano realizzate attraverso offerta pubblica di vendita, trovano applicazione le norme di cui al capo I della legge 18 febbraio 1992, n. 149, e successive modi ficazioni, salvo quanto espressamente previsto dal presente articolo.
- L’offerta pubblica di vendita, eventualmente con la previsione di un limite massimo al quantitativo acquisibile, può avere per oggetto sia le azioni sia i diritti di opzione sulle azioni ed ogni altro valore mobiliare, anche non quotato, di cui all’articolo 18-bis del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 216, e successive modificazioni, emessi dalle società conferitarie o dalle società di partecipazione.
- L’offerta pubblica di vendita dovrà prevedere che una parte non inferiore al 10 per cento delle azioni o dei valori mobiliari che ne costituiscono l’oggetto venga riservato a tutti i dipendenti, a prescindere dall’anzianità di servizio, e agli ex dipendenti che al momento della pubblicazione dell’offerta abbiano maturato almeno cinque anni di anzianità, dell’ente conferente, della società conferitaria o della società di partecipazione, nonchè a tutti i dipendenti, a prescindere dall’anzianità di servizio, e agli ex dipendenti che al momento della pubblicazione dell’offerta abbiano maturato almeno cinque anni di anzianità, delle società controllate anche indirettamente dalla società conferitaria o dalla società di partecipazione ai sensi dell’articolo 2359 codice civile.
- L’offerta pubblica di vendita dovrà prevedere che una parte non inferiore al 20 per cento delle azioni o dei valori mobiliari che ne costituiscono l’oggetto venga riservato in parti tra loro uguali a ciascun soggetto che al momento della pubblicazione dell’offerta di vendita intrattenga come cliente uno o più rapporti contrattuali con la società conferitaria ovvero con società esercenti attività bancaria o finanziaria controllate anche indirettamente dalla società conferitaria o dalla società di partecipazione. Tale rapporto contrattuale dovrà essere vigente da almeno centottanta giorni prima dalla data di entrata in vigore della presente legge.
L’elenco dei soggetti legittimati ai sensi dei commi 3 e 4 è pubblico; chiunque vi abbia interesse potrà chiederne copia mediante presentazione di richiesta scritta all’ente conferente.
Art. 10.
(Determinazione del prezzo nelle procedure di asta pubblica e di offerta pubblica di vendita)
1. Qualora le azioni o i valori mobiliari oggetto dell’asta pubblica o dell’offerta pubblica di vendita siano quotati in mercati regolamentati, il prezzo al quale verrà bandita l’asta pubblica o verrà eseguita l’offerta pubblica di vendita non può essere superiore alla media ponderata dei prezzi di acquisto rilevati durante il periodo di tre mesi anteriore al quindicesimo giorno precedente la pubblicazione del bando di gara o la promozione dell’offerta.
2. Qualora le azioni o i valori mobiliari oggetto dell’asta pubblica o dell’offerta pubblica di vendita non siano quotati in mercati regolamentati, il prezzo al quale viene bandita l’asta o eseguita l’offerta pubblica di vendita deve essere pari alla media ponderata dei prezzi rilevati in occasione di cessioni o trasferimenti delle azioni o dei valori mobiliari suddetti che siano stati realizzati da parte dell’ente conferente a favore di soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 4, comma 1, con qualsiasi mezzo, nel corso dei sei mesi anteriori alla pubblicazione del bando di gara o alla promozione dell’offerta. A tal fine vengono presi in considerazione esclusivamente i singoli trasferimenti di azioni o di valori mobiliari, ciascuno rappresentativo di una partecipazione superiore al 3 per cento del capitale sociale della società conferitaria o della società di partecipazione in oggetto, con l’avvertenza che i trasferimenti realizzati a favore di uno stesso soggetto, ma in fasi successive durante il suddetto periodo di sei mesi, devono essere considerati come un unico trasferimento.
Qualora non sia possibile procedere ai sensi dei commi 1 e 2, la determinazione del prezzo al quale deve essere bandita l’asta o eseguita l’offerta pubblica di vendita è affidata a società di provata esperienza e capacità operativa italiane o estere ovvero a uno o più professionisti iscritti da almeno cinque anni negli albi previsti per legge, i quali devono eseguire il proprio mandato sulla base dei criteri comunemente in uso, tenuto conto della capacità di reddito della società oggetto dell’asta pubblica o dell’offerta pubblica di vendita, della sua consistenza patrimoniale e delle prevalenti condizioni del mercato mobiliare.
4. Gli incarichi di cui al comma 3 non possono essere affidati a società di revisione che abbiano svolto incarichi a favore dell’ente conferente, delle società conferita-rie o delle società di partecipazione in oggetto nei due anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
5. Il prezzo determinato ai sensi del presente articolo deve essere offerto ai soggetti di cui all’articolo 9, commi 3 e 4, con una riduzione non inferiore al 10 per cento e con possibilità di pagamenti rateali nei limiti di cui all’articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474.
Art. 11.
(Procedura di dismissione mediante distribuzione di buoni di acquisto)
1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, comma 5, la procedura di dismissione delle partecipazioni degli enti conferenti mediante distribuzione di buoni di acquisto, come prevista dal presente articolo, può essere adottata anche in qualsiasi momento prima della scadenza del termine di cui all’articolo 3, comma 1.
I soggetti persone fisiche di cui all’articolo 9, commi 3 e 4, ricevono dalle società di partecipazione o dalle società conferita-rie un buono di acquisto al portatore, liberamente cedibile a terzi, che attribuisce il diritto di acquistare dall’ente conferente un quantitativo di azioni o di valori mobiliari pari al numero di azioni della società conferitaria o della società di partecipazione possedute dall’ente conferente diviso per il nu mero di soggetti beneficiari di tali buoni di acquisto.
- Anche in deroga alle vigenti norme di legge e di regolamento, i buoni di acquisto di cui al comma 2 sono ammessi di diritto, entro un mese dalla loro distribuzione, alle quotazioni ufficiali da parte della CONSOB e sono liberamente negoziabili sui mercati regolamentati per un periodo di tre mesi; alla scadenza di tale periodo i titolari dei buoni di acquisto potranno esercitare il diritto di acquisto delle azioni della società conferitaria o della società di partecipazione per un periodo di due mesi. Alla scadenza di tale ultimo periodo i buoni cessano di avere efficacia ed i relativi diritti decadono.
- La CONSOB stabilisce, con provvedimento preliminare all’inizio della contrattazione, la percentuale minima di buoni di acquisto che devono essere negoziati per la determinazione del prezzo. Tale percentuale sarà ricompresa tra un minimo dell’1 per cento ed un massimo del 5 per cento del quantitativo di buoni di acquisto distribuiti. Il periodo di tre mesi di cui al comma 3 viene prorogato di un periodo di ulteriori tre mesi qualora alla sua scadenza il quantitativo di buoni di acquisto oggetto di negoziazione sia risultato inferiore alla percentuale minima determinata ai sensi del presente comma.
- In caso di esercizio del diritto di acquisto contenuto nei buoni, il relativo prezzo sarà pari a tre volte la media ponderata dei prezzi dei buoni di acquisto rilevata sui mercati regolamentati durante gli ultimi due mesi di negoziazione.
- Nel caso in cui venga eseguita un’offerta pubblica di acquisto avente per oggetto i buoni di acquisto, la CONSOB, d’ufficio o su richiesta di uno dei soggetti interessati, può prorogare il termine di cui al comma 3 fino a sei mesi.
Nel caso in cui un’offerta pubblica di acquisto avente ad oggetto i buoni di acquisto venga seguita da una o più offerte concorrenti, sia l’offerente originario che gli esecutori delle offerte concorrenti hanno facoltà di procedere per un numero illimitato di volte, ma entro il limite di tempo di cui al comma 3 eventualmente prorogato ai sensi del comma 6, all’aumento del corrispettivo unitario indicato nelle rispettive offerte a condizione che il corrispettivo unitario offerto sia superiore almeno del 5 per cento rispetto al corrispettivo unitario dell’ultima offerta pubblicata.
- Alle società di intermediazione mobiliare ed agli altri soggetti autorizzati ad operare sui mercati regolamentati è fatto divieto di eseguire negoziazioni di cui all’articolo 11, comma 2, della legge 2 gennaio 1991, n. 1, aventi per oggetto i buoni di acquisto qui previsti.
- Salvo quanto diversamente previsto dalla presente legge, la quotazione e la negoziazione dei buoni di acquisto sono regolate dalle vigenti norme di legge e di regolamento. Trova comunque applicazione anche in tal caso quanto disposto dall’articolo 9, comma 5.
- Con apposito regolamento da emanarsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, dalla Banca d’Italia di concerto con la CONSOB, sono disciplinate le ulteriori modalità per la distribuzione e l’esercizio dei diritti conferiti dai buoni, l’informativa al pubblico ed i profili procedurali di eventuali offerte pubbliche sugli stessi.
TITOLO IV
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 12.
(Redazione del bilancio)
1. A partire dall’esercizio in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, ciascun ente conferente dovrà redigere il proprio bilancio secondo i criteri ed i principi contenuti negli articoli 2423 e seguenti del codice civile.
Art. 13.
(Minusvalenze)
1. La dismissione delle partecipazioni in società conferitarie o in società di partecipazione per un prezzo inferiore al valore di carico sarà ritenuta congrua ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera e), della legge 30 luglio 1990, n. 218, sino al limite della riserva o fondo in sospensione d’imposta di cui all’articolo 7 della medesima legge maggiorato del valore della partecipazione in Banca d’Italia iscritto in bilancio. In tale ipotesi è cosentito, in deroga ai criteri e principi sanciti nell’articolo 12 della presente legge, ridurre direttamente il valore della riserva o fondo di cui al citato articolo 7 della legge n. 218 del 1990 e, per l’eventuale eccedenza, il valore delle altre riserve disponibili.
2. La deroga di cui al comma 1 è consentita anche nell’ipotesi in cui la minusvalenza risulti dalla valutazione di bilancio delle partecipazioni in società conferitarie o in società di partecipazione.
Art. 14.
(Differimento di termini)
1. Il termine di cui all’articolo 7, comma 6, della legge 30 luglio 1990, n. 218, ai fini dell’applicazione delle disposizioni ivi previste, come modificate dagli articoli 28 e 71 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, è differito alla data del 31 dicembre 1998 per gli atti di fusione, scissione, trasformazione e conferimento perfezionati tra il 1o gennaio 1996 ed il 31 dicembre 1998.
Art. 15.
(Trattamento fiscale delle dismissioni)
1. Non costituisce realizzo di plusvalenze per l’ente conferente il trasferimento a favore di terzi delle partecipazioni in società conferitarie o in società di partecipazione che sia stato realizzato in ottemperanza e nel rispetto di quanto previsto dalla presente legge.
Art. 16.
(Disposizioni in materia di mobilità dei lavoratori)
1. Le disposizioni in materia di integrazione salariale straordinaria e di trattamento di mobilità di cui agli articoli 12, 16 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni ed integrazioni si applicano, a far data dal 1o gennaio 1997 fino al 30 giugno 1999, a tutte le banche di cui al Capo I del Titolo II del decreto legislativo 1o settembre 1993 n. 385, a condizione che, per tutto il periodo in cui troveranno applicazione le suddette disposizioni, gli enti conferenti, le società di partecipazione e gli altri soggetti di cui all’articolo 4 comma 1, della presente legge, direttamente o indirettamente, non detengano partecipazioni complessivamente superiori al 15 per cento del capitale della banca ovvero non siano complessivamente titolari di più del 15 per cento dei diritti di voto esercitabili nelle assemblee ordinarie o straordinarie della banca.
2. Nel caso in cui durante il periodo di esecuzione di una delle procedure di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223, vengano meno i requisiti previsti dal comma 1, la banca decadrà con efficacia immediata dalle procedure in corso, restando comunque riconosciuti ai lavoratori interessati dalle suddette procedure i diritti maturati fino al momento della decadenza delle relative procedure.
3. Salvo diverso accordo raggiunto con le organizzazioni sindacali che rappresentino la maggioranza dei dipendenti della banca, l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire secondo i seguenti criteri:
a) deve essere preventivamente individuato il gruppo di lavoratori professionalmente fungibili tra loro, appartenenti a una stessa unità produttiva, nel quale vi sia eccedenza di organico;
b) tra gli appartenenti al gruppo devono essere scelti i lavoratori che hanno minore numero di anzianità di servizio effettiva nell’istituto di credito, non computandosi nè le frazioni di anno nè eventuali anzianità convenzionali;
c) in caso di pari anzianità di servizio, determinata a norma della lettera b), devono essere scelti i lavoratori che godono di minori detrazioni fiscali per carichi di famiglia.
Art. 17. (Rinvio)
1. Per tutto quanto non previsto dalla presente legge si applica, oltre alla normativa generale, il decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474.
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luglio 3, 1996