da Peccati Capitali
Ci sono immagini che restano per sempre. Sarà così per quella dei dipendenti Alitalia esultanti e in giubilo perché la soluzione CAI è tramontata e si va verso il fallimento. Dovete capirli, scatta il giustificazionismo buonista, la tensione accumulata in tanti giorni…
Ma, a meno di pensare che uomini alle cui mani affidiamo la nostra vita siano degli emotivi irresponsabili, una qualche razionalità ci dovrà pure essere nel loro comportamento: pensano di avere vinto la partita. Idea bizzarra? La storia gli dà ragione: perché non doveva riuscire oggi quello che già gli era riuscito con KLM prima e con Air France poi? Certo, lì c’era stata la spallata di Berlusconi, ma le spalle cambiano, il risultato è sempre lo stesso. Idea fantasiosa contare anche questa volta su una sponda al Governo, che gli lasci avere l’ultima parola sulle decisioni maggiori? E siamo sicuri che nella testa di qualche giubilante non frullasse perfino la previsione che lo Stato interverrà a far continuare la festa?
Adesso tutti cercano scuse: la CGIL trova oggi troppo timido un piano industriale approvato pochi giorni prima. Si accusano riduzioni generalizzate di stipendi del 30%, che è poco credibile che CAI avesse proposto e tre grandi sindacati accettato. Il sussidio per i licenziati pari all’80% dello stipendio per 7 (sette) anni sembra non contare nulla. La realtà è che la trattativa si è interrotta quando Roberto Colaninno ha detto chiaro e tondo ai piloti che in azienda ci sono solo i dipendenti e le loro organizzazioni sindacali , ma non “associazioni professionali” che si arrogano il diritto di selezionare e promuovere il personale, e di codecidere le scelte tecniche.
È probabile un repêchage: il fallimento sarebbe un duro colpo alla credibilità di Silvio Berlusconi; ma il sospetto di un complotto ai suoi danni costerebbe caro anche a PD e CGIL. E poi, non è certo Veltroni che tiene gli investitori lontani da una linea aerea che serve destinazioni turistiche famose, ma il guazzabuglio sindacale in cui nessuno ormai osa più mettere le mani. Il fallimento di Alitalia è iniziato molti anni fa, è costato ai contribuenti, tra costi e mancati profitti, 16 miliardi di euro. La lezione dovrebbe far capire a tutti gli italiani chi sono i due responsabili di questo disastro: la proprietà pubblica e il proliferare di sigle sindacali, l’alleanza perversa tra interessi politici e interessi sindacali ai danni degli utenti. Per questo, in questo finale di partita è necessario che tutti, Berlusconi per primo, tengano la barra diritta, senza cedimenti verso nessuno dei due.
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ottobre 1, 2008