“Perché mai, dottor Fiorani, un banchiere di successo come lei sceglie di dipendere dal Governatore per le sue iniziative, anziché dal giudizio del mercato?” C’era anche Franco Bruni quel giorno del 2003, a TV24. Giampiero Fiorani aveva enunciato la sua strategia: mettere nelle mani del Governatore il futuro della sua banca, lasciare a lui decidere come e quanto crescere. Scandalizza la novità nelle intercettazioni: ma è la continuità che colpisce.
Se guardiamo la sostanza, che cosa c’è di nuovo nei rapporti tra il banchiere di Lodi e l’uomo di Alvito? Questo miscuglio di familiarità e di sudditanza non era noto da tempo? E non riguarda anche banchieri di prima fila? Non erano già venuti alla luce episodi analoghi, protagonisti i favoriti del momento? Hanno ragione quanti – Luigi Grillo, tanto per fare un nome – non vedono nulla di nuovo nelle intercettazioni quanto ai rapporti tra regolatore e regolato. Dove hanno torto è nel non capire che proprio in questa continuità sta il cuore del problema.
Era il 1999 quando Antonio Fazio, in Senato, enunciò la sua regola sulle OPA bancarie: ostili, mai; amichevoli, quasi mai. Era gennaio 2004, quando, sempre in Senato, sulla responsabilità delle banche nella vicenda Parmalat, tutto quello che concesse fu che sarebbe stata necessaria “probabilmente” una maggiore professionalità. E anche stavolta è possibile che finisca per esserci poco da eccepire sulla legittimità delle decisioni assunte da Bankitalia.
La discontinuità sta negli interessi in gioco. La “legge” sull’OPA imponeva ai grandi istituti una pace in fondo conveniente per tutti. Per Cirio e Parmalat, i danni riguardavano, parole del Governatore, “poche persone e quattro soldi”. Oggi sono gli assetti stessi del nostro capitalismo a sentirsi minacciati dai raider. E coloro che, anche in àmbito confindustriale, chiedevano di stralciare le norme relative a Bankitalia dalla legge sul risparmio, si accorgono ora delle devastanti conseguenze di non prendere il problema dalla testa, e cioè dalle regole di sistema.
L’indipendenza della Banca centrale dal Governo nella politica monetaria è un cardine della moderna dottrina, ed ha nella BCE una delle sue più perfette realizzazioni. Da noi all’indipendenza in politica monetaria si aggiunge una somma di poteri che non ha riscontro al mondo. Se ci siamo battuti per il mandato a termine e per la separazione tra poteri di vigilanza e poteri antitrust, era perché questo sommarsi di poteri produce un eccesso di discrezionalità ex-ante e un deficit di accountability ex-post.
Il potere politico ha ritenuto che fosse necessario concedere un’amplissima delega per traghettare il sistema bancario italiano dal pubblico al privato. Antonio Fazio l’ha usata realizzando un proprio disegno complessivo degli assetti proprietari, decisionali, geografici del sistema bancario. I risultati non vanno oggi disconosciuti, ma il prezzo pagato è stato di fare del sistema bancario un mondo chiuso, con proprie regole, autoreferenziale e autocratico. Invece del caso di scuola di cattura di regolatore da parte del mercato, qui è il regolatore che ha “catturato” il mercato.
Per questo io non mi associo a quanti chiedono le dimissioni di Fazio. Che senso avrebbe sostituire la persona e lasciare immutate le regole? Al contrario, la presenza di Fazio in Via Nazionale deve essere di monito alla politica perché prenda in mano il problema delle regole. Cominciando da quella più simbolica, la durata in carica; e imponendo che le ragioni prudenziali non vengano usate – col pretesto di proteggersi dalle “invasioni barbariche” – per creare un’assurda separazione tra imprese bancarie e le altre, e che invece a tutte siano applicate le stesse norme in merito alla concorrenza. Riforme che però non avrebbero nessun effetto sull’esercizio della vigilanza sui ratios patrimoniali, sulla tempistica delle soglie di successiva crescita nell’azionariato delle banche. Queste, che sono le questioni che oggi fanno tanto discutere, non verrebbero neppure toccate: con buona pace di chi pensa di risolvere i problemi con decreti legge.
Va riconosciuto che il sistema autocratico ha protetto in buona sostanza le banche dagli appetiti della politica. Ma quanto ci costi non aver lasciato che gli assetti del sistema venissero determinati solo dall’azione delle forze di mercato, lo denunciamo da tempo: quanto a partecipazione alla finanza globalizzata, a selezione degli investimenti, a necessità delle imprese e a costi per i consumatori. Sono rimaste giaculatorie: finché i raider non hanno bussato alle porte. E’ sempre così. Ostacolare il libero gioco delle forze di mercato genera un insieme di vincoli e di libertà, il terreno di cultura dei raider. Sono le condizioni che permisero a George Soros di farsi le ossa “manipolando” mercati anche di dimensioni nazionali, usando in modo spericolato l’indebitamento finanziario, e successivamente di attaccare la sterlina e la lira. Giocava sui vincoli – la banda di oscillazione dello SME – e sulla libertà – di movimento dei capitali. La risposta sistemica è stata non la richiesta di dimissioni, ma nuove regole: l’euro invece delle monete. Non le proscrizioni, ma l’allargamento dei mercati: oggi sono diventati troppo grossi anche per il suo Quantum Fund.
luglio 30, 2005