Digitalizzazione e P.A.

ottobre 11, 2012


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali


Interventi e Repliche

E poi c’è quella del grande funzionario sovietico che va in USA per la prima volta dopo il disgelo, e chiede se il Ministero responsabile per la distribuzione della Coca Cola è lo stesso di quella del Big Mac. Ci pensavo leggendo la proposta di Massimo Sideri di istituire anche noi un ministero “per gli affari digitali”, e, il giorno prima, partecipando alla riunione di un importante istituto di ricerca, dove in cui tra politici, imprenditori, esperti del settore si è discusso di agenda digitale e di promozione delle start-up.
Tutti i cittadini, sta scritto nel decreto crescita 2.0 licenziato dal Governo, avranno la cartella clinica digitale: era negli anni ’80 che l’Olivetti l’aveva dimostrata e proposta. L’interlocuzione con la pubblica amministrazione sarà tutta in forma digitale: c’era Paolo Cirino Pomicino alla Funzione Pubblica quando si avviarono ben 12 sperimentazioni di “sportello del cittadino”. Potrei continuare, ma è più istruttivo ricordare che sono stati in 200 milioni a postare il proprio profilo su Facebook nel primo anno dalla sua nascita; che ogni giorno ci sono 500.000 nuovo utenti di Internet; che abbiamo tutti un indirizzo e-mail e solo perché lo pretende la P.A. ci ricordiamo come si spedisce una lettera; che le aziende hanno rivoluzionato il modo di gestire produzione, vendita e distribuzione. Il tutto provando, sbagliando, correggendo, e a proprie spese: perché conviene. Sarebbe ovvio dedurne che, là dove questo non avviene, è perché o mancano gli incentivi, o perché sono in campo incentivi a non farlo avvenire. Se una delle conseguenza dell’agenda digitale è ridurre i dipendenti della P.A, non è il caso di aspettare per vedere come va a finire. Quanto tempo e quanti soldi ci vorranno ancora per capire che a essere sbagliato è il punto di partenza, la presunzione che i processi per funzionare devono essere top down, che dell’automatismo degli interessi si deve diffidare, perché solo il command and control fornisce garanzie? Quanto tempo e quanti soldi per espungere dal discorso politico i “fallimenti di mercato”, e per riconoscere che nel 99% dei casi dietro ognuno di essi c’è l’interesse a impedire il funzionamento del mercato?

La riunione di cui scrive Sideri è avvenuta a Doha sotto l’egida dell’Union Postale Universelle. Non distante, a Dubai, prima della fine dell’anno, si riunirà la International Telecommunications Regulations: all’ordine del giorno proposte per il controllo intergovernativo di Internet. Se tra i partecipanti vi si trovasse qualcuno di quegli stessi “ministri per gli affari digitali”, non ci sarebbe da stupirsi.

La sfida per avere «.mail». Postini mondiali anti Google

di Massimo Sideri

La lotta dei domini. Il ruolo delle Poste italiane. La società Usa chiede il riconoscimento di «.mail»

DOHA — Non è certo la prima battaglia per un dominio. E non sarà l’ultima. Ma nello scontro a distanza tra il «.post» e il «.mail», di cui si sta occupando anche la diplomazia postale in seno all’Onu, c’è molto di più della semantica e del marketing che fino ad ora hanno animato questo tipo di confronti. Ormai è chiaro che quando parliamo di Internet parliamo dimodelli di business e occupazione. E questo braccio di ferro tra colossi lo dimostra: da una parte c’è Google che ha chiesto all’Icann, l’ente non profit che governa gli indirizzi Internet, l’utilizzo del dominio commerciale .mail (uno dei cosiddetti .brand messi all’asta prima dell’estate).

Dall’altra ci sono i gruppi postali riuniti proprio in questi giorni a Doha per il 25esimo congresso dell’Union Postale Universel, agenzia delle Nazioni Unite, che ieri ha dato un deciso endorsement, tramite il proprio direttore generale Edouard Dayan, al .post, progetto per la creazione di un ecosistema unico dei servizi postali di cui è capofila Poste Italiane. Con la retorica tipica ma dovuta dei consessi dell’Onu Dayan ha presentato il dominio .post definendolo un evento «storico» da affidare al mondo: «È un territorio unico, uno spazio dedicato e più sicuro che permetterà di comunicare in maniera universale. Ed è di tutti, Paesi ricchi e poveri. Lo spazio .post favorisce l’inclusione digitale e permette il trasferimento di tecnologia verso le economie in via di sviluppo».

Unico manager citato da Dayan nel caloroso lancio del .post è stato proprio Massimo Sarmi, amministratore delegato di Poste Italiane. «Portiamo i creatori dell’Upu in una dimensione nuova. Oggi l’Italia con Sarmi divide con noi questa soddisfazione». Un riconoscimento non casuale: fu il manager italiano oltre tre anni fa a fare incontrare lo stesso Dayan con l’allora direttore dell’Icann Rod Beckstrom avviando la nascita del .post. Da qualche giorno il sito posteitaliane. post è attivo. Ma non si tratta di una semplice migrazione: il .post è infatti un dominio di primo livello come il .com che rimane il primo (è del 1984) e il più diffuso (oltre il 50% dei siti web è un .com). Ed è protetto dal Drm Sec, un protocollo che permetterà a regime di proteggere tutta la rete postale mondiale.

Insomma, si tratta di una piattaforma nuova non banale e proprio le Poste di Sarmi hanno adesso decise chance per ottenere la gestione del progetto nella fase successiva di diffusione. Nonostante l’endorsement ci sono degli oppositori sui quali la diplomazia sta già lavorando: il primo è la Germania. Deutsche Post preferirebbe il .epost che ricorda il proprio servizio ma questo non dovrebbe essere un ostacolo. In Germania, curiosamente, il servizio universale postale è affidato a Deutsche Telekom. Un altro è proprio Google che insieme a vari domini come il .docs e il .lol oltre al .google ha tentato il takeover del .mail per potenziare la propria posizione sulle email (è presumibile che lo utilizzerebbe per gmail.mail). Per ultime ci sono le poste statunitensi che preferirebbe anch’esse il .mail per una semplice questione culturale: il dominio .post alle orecchie di un americano ha maggiori assonanze con la stampa (basti pensare al Washington Post).

Alcuni gruppi postali hanno presentato opposizione all’Icann per il conferimento del .mail a Google. Dayan ha confrontato la nascita del nuovo dominio all’altro momento d’oro dell’Upu quando nel 1874 a Berna l’associazione riuscì ad imporre una tariffa unica (da 1.200) e una circolazione universale. La strategia del settore a questo punto è chiara: ridurre grazie a progetti come la Prem — in sostanza le raccomandate digitali sviluppate anch’esse in casa, da Postecom — l’invio transnazionali di documenti cartacei con una riduzione della CO2. E aggredire l’e-commerce. Lo spazio condiviso .post permette infatti di creare un canale fisico- digitale controllato che dall’ufficio postale di, poniamo, Roma permette di tracciare ogni movimento di un pacchetto fino all’ufficio di Macao. Esempio non casuale. Ieri Sarmi ha anche incontrato la delegazione di China Post per parlare di tariffe di e-commerce per veicolare il made in Italy attraverso la propria rete. E’ il grande risiko del web. E (per una volta) l’Italia c’è.

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