Se la polis europa non trova in sé la determinazione a cambiare, non c’è politica eccezionale che tenga per salvare l’euro.
L’euro è una moneta senza stato. Le misure atte garantire un’unica politica monetaria sono eccezionali. L’euro non ha avuto pieno successo in quanto polis. Queste affermazioni di Mario Draghi nel suo articolo – intervista a Die Zeit del 30 Agosto offrono spunto per considerazioni, rispettivamente, sulle attuali difficoltà dell’euro, sugli strumenti con cui si pensa di risolverle, sui problemi a cui così si va incontro.
E’ la natura stessa dell’euro di essere una moneta senza stato. Invece dello stato ha un sistema di regole. Unica moneta al mondo emessa da una banca con un’unica missione, contenere la svalutazione “prossima a ma minore di” un (basso) valore prefissato; col divieto di finanziare i governi e divieto assoluto di bail-out; con decisioni prese da un consiglio direttivo di 6 più 17 membri, una testa un voto. E, per chi l’euro lo usa, i famosi parametri di Maastricht. Le “eccezioni” il sovrano non può più risolverle “tosando” , ovvero svalutando, ma curando le cause che le hanno provocate, e lasciando ai mercati di giudicare e finanziare la validità del processo. Una stella polare, la separatezza tra politica monetaria e politica di bilancio, non sempre facile da seguire quando il mare è agitato. Ad esempio: i membri del consiglio direttivo ne fanno parte a titolo personale e non in rappresentanza degli stati che, direttamente o indirettamente, li hanno nominati.
Ma, nel momento in cui ci si divide tra principi e convenienze, i tedeschi trovano non più giusto che il voto del governatore della Bundesbank abbia lo stesso peso di quello di Malta o di Cipro, vorrebbero passare a un sistema di voti ponderato, se non temessero il formarsi di maggioranze ancora più imprevedibili. Ciononostante, la Germania continua a favorire il conferimento di poteri a organi indipendenti che applichino regole neutrali: discutendosi di fiscal compact, vuole che le sanzioni a chi le viola siano irrogate dalla Corte di Giustizia del Lussemburgo, pur sapendo che potrebbe trovarsi in minoranza numerica. Anche qui, principi e interessi: la Germania, economicamente dominante in Europa, senza la dimensione demografica e di mercato per competere con gli USA e le grandi economie emergenti, ha bisogno di avere il mercato europeo come mercato interno. Le conviene che si dia una mano agli altri paesi, sperando che si sforzino di mettersi al suo passo, attuino le riforme e, ciclo economico e/o un po’ di inflazione aiutando, riescano a ridurre le differenze di produttività. Ma non rinuncia a controllare i flussi, non vuol rischiare che le sfuggano di mano i conti.
“Eccezionali” sono per Draghi le misure per contenere gli spread. Eccezionali rispetto alla linearità delle normali regole che presiedono al funzionamento della BCE. Ma eccezionali anche per i rischi a cui si espone. Già il mettere sul tavolo la determinazione della banca a impedire la fine dell’euro, significa ammettere che l’euro potrebbe anche finire. E’ vero che la razionalità dei mercati è diventata meno popolare, ma la distinzione tra spread naturale e quello che sarà giocoforza chiamare artificiale, sembra più di casa a Bisanzio che a Francoforte. Valutare l’adeguatezza delle misure a cui condizionare gli interventi e ottenerne il rispetto, significa entrare nella politica di bilancio, nella valutazione di impegni politici, cioè nelle zone off-limits. Per non parlare dei rischi di inflazione. I valori reputazionali, se vengono scalfiti, sono difficilissimi da ricostruire.
“L’euro non ha avuto pieno successo in quanto polis”, scrive Draghi. Sia consentito osservare che già il “pieno” sembra ottimista. La cosa singolare è che questo succede sia nei paesi forti che in quelli in difficoltà. Nella polis tedesca, dove nonostante le lusinghe della visione geopolitica, una BCE modello Bundesbank e l’ordoliberlista stabilità della moneta sono principi su cui il cittadino tedesco non ammette che si corrano rischi. E nelle polis che soffrono per le misure di austerità, che, nonostante la speranza di arrivare un giorno a mutualizzare il debito con gli eurobond, resistono ad accettare le condizionalità associate alle “eccezioni”. Si parla di difetto di legittimità democratica, ma perlopiù lo si fa con riferimento a sviluppi futuri: ad esempio Giuliano Amato (L’Unione politica al traguardo, il Sole24Ore del 2 Settembre) teme che andando avanti a dettare dal centro regole sempre più vincolanti, prenda fuoco una “rivolta contro l’Europa”. Invece il difetto di legittimità è già presente nell’attuale assetto ed è quello che spiega i sentimenti verso l’euro sia nella polis che ha accettato le leggi Hartz, la moderazione salariale, il contenimento dei consumi, sia nelle polis come la nostra, delle imprese che resistono, di chi per sfangarla fonda un’aziendina, di chi cerca come valorizzare altrove le capacità per cui non trova sbocchi in casa.
C’è un nesso tra le riflessioni di Draghi. C’è tra difficoltà dell’euro e “non pieno successo”: senza mobilitare l’ethos politico dei cittadini, senza identità nazionale, coesione a livello locale, perfino quello che resta di fiducia nei propri rappresentanti, cioè senza dare spazio ai valori fondanti della nazione, non si risolve neppure l’equazione macroeconomica. E c’è anche con le eccezioni: perché senza la polis che dietro le “eccezioni” sospetta sovvenzioni e aiuti di stato, non ci sarebbe il surplus della Germania; e senza la polis che trova in sé, nel proprio interesse, la determinazione a cambiare, e a farne a meno, ci sarà sempre bisogno di “eccezioni”.
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settembre 6, 2012