Dietro le tangenti l’ombra di Belzebù

febbraio 18, 1993


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Gli schemi interpretativi dei fatti di questo «anno terribile», della crisi che si è aperta il 17 febbraio 1992, sono andati, in progressione crescente, dalla corruzione individuale alla concussione ambientale, al finanziamento illegale dei partiti, al concetto di regime corruttore e corrotto.

Sono sufficienti queste interpretazioni? Dove passa la linea che separa l’occupazione partitica dei gangli economici, il finanziamento del partito-impresa, dal disegno di rendere immodificabile e permanente nel tempo il potere e la sua spartizione?
Si esita a formulare questa ipotesi, si teme di essere confusi con il vociare di convertiti dell’ultima ora che, scalmanati e sudaticci, accomunano tutta la classe dirigente del Paese in un’indiscriminata condanna: ma è proprio arbitrario supporre che dietro tutto questo spartire ed arraffare non ci fosse un disegno politico più ambizioso?
Nella progressione che va dalla Baggina alle municipalizzate all’Anas, l’Eni ed il «tabernacolo finanziario» costituivano veramente l’ultimo livello? Nella graduatoria di responsabilità ci si può fermare alle distinzioni tra vari reati di tipo economico?
Già in passato l’evocare burattinai e Belzebù ha destato qualche perplessità: ma il mando che s’intravvede dietro certi documenti (ultimo esempio le lettere di Umberto Colombo pubblicate ieri) sembra confermare nel sospetto che le illegalità non siano solo state di natura economica, e finalizzate al soddisfacimento di interessi individuali o alle esigenze di onnivore macchine elettorali.
E’ adeguato parlare di regime quando questo non solo impone tributi e nomina vassalli, ma anche emana leggi, seppure non scritte, e ne impone l’osservanza? Quando non esita a ricorrere alla forzatura di strumenti legali o addirittura all’impiego di mezzi criminosi (se non altro le minacce) per mantenere e perpetuare il proprio potere?
La «sostanziale inamovibilità della classe politica», una delle condizioni per cui Gianni Vattimo ritiene si debba parlare di regime, era dovuta solo al meccanismo elettorale e al suo finanziamento illegale?
Quand’è che, per i mezzi impiegati, i normali sforzi con cui un partito cerca di mantenere ed allargare il proprio consenso, trascendono in una deliberata distorsione del meccanismo democratico?
Sono interrogativi inquietanti, che si collocano in una zona grigia, tra le certezze ac-quisite ed ipotesi allarmanti: ma sono proprio ingiustificati?

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