Delusioni da Strasburgo

gennaio 11, 2001


Pubblicato In: Giornali, Panorama


Che cosa succede a Strasburgo? II Parlamento europeo è inter­venuto su due direttive in materia economica della Commissione, con emendamenti che lasciano interdetti: al punto da suscitare un interrogativo politico.

La prima direttiva era sulle opa (offerte pubbliche di acquisto). Il 13 dicembre l’assemblea accoglieva gli emendamenti di Klaus­Heiner Lehne, democristiano di Dùsseldorf, che consentono agli amministratori di società sotto opa di adottare misure antiscalata (le cosiddette «poison pill») senza bisogno di farsele approvare da­gli azionisti. Emendamenti che renderebbero praticamente impos­sibile ogni scalata ostile. Poi è stata la volta delle poste: la Com­missione europea, di cui è presidente Romano Prodi (nella foto), aveva proposto che l’Europa liberalizzasse il 20 per cento dei ser­vizi postali entro il 2003; per il Parlamento europeo il 6 per cento ed entro il 2005 basta e avanza. E così due pazienti lavori di mediazione sono stati mandati in fumo. Addirittura 11 anni c’era­no voluti per mettere tutti d’accordo sulle regole dell’opa. Nel caso delle poste, la pro­posta di Bruxelles, in attuazione del verti­ce di Lisbona di giugno, era già abbastan­za timida: Strasburgo l’ha ridicolizzata. Due schiaffi in faccia per Prodi e per il commissario alla Concorrenza, l’olandese Frits Bolkenstein.

Un’altra puntata della partita «politici contro burocrati»? Quello sollevato dalle due bocciature è un problema politico: perché en­trambe rivelano una chiara impronta conservatrice. Nel caso del­l’opa, Strasburgo si rende garante degli attuali equilibri proprieta­ri: solo se il gruppo di controllo è d’accordo le società possono cambiare di mano, gli azionisti non hanno il diritto di decidere se la loro società deve continuare a essere gestita dall’attuale management o se è il caso di cambiare, accettando l’offerta dello sca­latore. Nel caso delle poste, Strasburgo offre la sua protezione ai monopoli pubblici, in Francia, in Germania, in Italia. Chi scala un’a­zienda, devono aver pensato gli eurodeputati, contrae debiti, per pagarli dovrà fare efficienza, quindi ridurre gli organici: quelli gon­fiati per consenso politico nei monopoli pubblici, o lasciati crescere per evitare dissensi sindacali in molte grandi aziende private.

Ancora una volta si trovano contrapposte due idee di Europa. Quella di un’Europa aperta, che offre maggiori opportunità agli im­prenditori, migliori servizi ai cittadini, più voce agli investitori. E quel­la di un’Europa chiusa a difendere i privilegi cresciuti al riparo di equilibri consociativi, o di calcoli elettorali: che si tratti di intrecci azionari, di sindacati, di agricoltori. A fare l’Europa non bastano gli entusiasmi per la Carta europea. Decisio­ni come queste sono blocchi ben più in­gombranti degli egoismi nazionali criticati dopo Nizza. Diciamolo, se la maggiore in­tegrazione europea dovesse procedere su queste basi anguste, non ci sarebbe nep­pure da augurarsela.

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