Che cosa succede a Strasburgo? II Parlamento europeo è intervenuto su due direttive in materia economica della Commissione, con emendamenti che lasciano interdetti: al punto da suscitare un interrogativo politico.
La prima direttiva era sulle opa (offerte pubbliche di acquisto). Il 13 dicembre l’assemblea accoglieva gli emendamenti di KlausHeiner Lehne, democristiano di Dùsseldorf, che consentono agli amministratori di società sotto opa di adottare misure antiscalata (le cosiddette «poison pill») senza bisogno di farsele approvare dagli azionisti. Emendamenti che renderebbero praticamente impossibile ogni scalata ostile. Poi è stata la volta delle poste: la Commissione europea, di cui è presidente Romano Prodi (nella foto), aveva proposto che l’Europa liberalizzasse il 20 per cento dei servizi postali entro il 2003; per il Parlamento europeo il 6 per cento ed entro il 2005 basta e avanza. E così due pazienti lavori di mediazione sono stati mandati in fumo. Addirittura 11 anni c’erano voluti per mettere tutti d’accordo sulle regole dell’opa. Nel caso delle poste, la proposta di Bruxelles, in attuazione del vertice di Lisbona di giugno, era già abbastanza timida: Strasburgo l’ha ridicolizzata. Due schiaffi in faccia per Prodi e per il commissario alla Concorrenza, l’olandese Frits Bolkenstein.
Un’altra puntata della partita «politici contro burocrati»? Quello sollevato dalle due bocciature è un problema politico: perché entrambe rivelano una chiara impronta conservatrice. Nel caso dell’opa, Strasburgo si rende garante degli attuali equilibri proprietari: solo se il gruppo di controllo è d’accordo le società possono cambiare di mano, gli azionisti non hanno il diritto di decidere se la loro società deve continuare a essere gestita dall’attuale management o se è il caso di cambiare, accettando l’offerta dello scalatore. Nel caso delle poste, Strasburgo offre la sua protezione ai monopoli pubblici, in Francia, in Germania, in Italia. Chi scala un’azienda, devono aver pensato gli eurodeputati, contrae debiti, per pagarli dovrà fare efficienza, quindi ridurre gli organici: quelli gonfiati per consenso politico nei monopoli pubblici, o lasciati crescere per evitare dissensi sindacali in molte grandi aziende private.
Ancora una volta si trovano contrapposte due idee di Europa. Quella di un’Europa aperta, che offre maggiori opportunità agli imprenditori, migliori servizi ai cittadini, più voce agli investitori. E quella di un’Europa chiusa a difendere i privilegi cresciuti al riparo di equilibri consociativi, o di calcoli elettorali: che si tratti di intrecci azionari, di sindacati, di agricoltori. A fare l’Europa non bastano gli entusiasmi per la Carta europea. Decisioni come queste sono blocchi ben più ingombranti degli egoismi nazionali criticati dopo Nizza. Diciamolo, se la maggiore integrazione europea dovesse procedere su queste basi anguste, non ci sarebbe neppure da augurarsela.
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gennaio 11, 2001