La prima istintiva reazione alla notizia che l’operazione del San Paolo con Dexia era andata a monte, é stata di delusione. Lo é stata per me, credo lo sia stata per la maggior parte dei torinesi.
La prima istintiva reazione alla notizia che l’operazione del San Paolo con Dexia era andata a monte, é stata di delusione. Lo é stata per me, credo lo sia stata per la maggior parte dei torinesi. E mi sono chiesto perchè. Perchè essere delusi di una storia di cui in fondo per ora conoscevamo solo il titolo ma non la trama, di un affare di cui conoscevamo i contorni generali ma non i valori economici in gioco?
Sapevamo solo che sarebbe stata un’operazione alla pari tra due aziende complementari, senza integrazioni, la cui logica quindi non si basava su guadagni di efficienza (tant’é che i sindacati non avevano mosso obbiezioni).
Operazioni cross border tra banche europee finora se ne son fatte poche; nessuna, credo, alla pari, ma solo acquisizioni di un’azienda da parte di un’altra. Sono le operazioni che la Banca d’Italia guarda con diffidenza, tanto da esigere di essere informata fin dalla prima intenzione, prima ancora che il progetto venga discusso nei consigli di amministrazione: creando così non pochi problemi tra management e amministratori, tra la necessità della riservatezza e gli obblighi di trasparenza. E credo che questa storia abbia parecchio da insegnare, se non vogliamo rendere troppo difficile l’espansione all’estero delle nostre banche. Ma nel caso specifico a dire di no sono stati i soci della Dexia, sono stati i loro manager (a quanto pare) ad essere sconfessati dal Consiglio.
Certo l’elenco delle operazioni di aziende italiane all’estero tentate e respinte é lungo. Ma ognuna fa storia a sè (ne conosco una che é diventata famosa per una scatola di cioccolatini): sempre, e men che mai in questo caso, é il caso di fare del vittimismo.
E neppure é il caso di colpevolizzarci. Certo le Fondazioni sono un soggetto mezzo pubblico e mezzo privato; certo ci sono i vincoli posti da Bankitalia; certo ci sono gli scandali Cirio e Parmalat e l’incapacità del Parlamento di varare la legge sul risparmio. Ma tutto ciò non impedisce a molte banche estere di investire da noi, e anzi di premere per incrementare la loro quota di partecipazione.
E allora, se non c’é ragione nè di vittimismo nè di autoflagellazione, da dove viene questo senso di delusione, che addiritura precede la valutazine di merito?
Io credo che essa, più che la lingua degli affari, parli quella dell’ansia, racconti della preoccupazione della città per il suo futuro, e delle aspettative che essa nutra per quella che é oggi forse la sua più bella azienda. A costro di farsi deridere come la volpe della favola, é saggio ricordare che i soli affari sicuramente non sbagliati sono gli affari non conclusi. Continuiamo dunque con la serietà e con la costanza, con le qualità che ci vengono attribuite. Nessuno ci sta col fiato sul collo. Chi crede nel mercato, sa che senza fine le combinazioni che esso può proporre.
novembre 29, 2004