è accaduto che, poco dopo aver letto – stampata su carta, naturalmente – la tua risposta a Miriam, ( “Le vie della sinistra? Il problema non esiste” Caffè Europa del 4 Giugno) mi cadesse sotto gli occhi un diagramma a supporto di un articolo di Martin Wolf sul Financial Times. Vi è plottato l’output gap dei vari paesi europei, qualcosa come il grado di utilizzo della capacità produttiva.
A parte l’Irlanda un po’ più su, i valori degli altri paesi sono poco dispersi intorno alla retta di interpolazione. L’Italia è un pallino in basso, si fa fatica a trovarla, è quasi fuori dal diagramma E ripensandoci, l’eleganza con cui dai voce alla tua passione politica e la limpidezza con cui esponi i tuoi argomenti non sono riusciti a convincermi come di consueto.
Il tema è come vincere le prossime elezioni. Pagato il tributo alla disputa tra partito democratico e socialdemocratico — argomento che può appassionare solo gli iniziati o chi ha avuto una certa storia e militanza politica — tu sostieni che ” in un paese socialmente e culturalmente di destra solo con l’entusiasmo e l’innovazione vinciamo”, entusiasmo che nel ’96 nasceva dalla sensazione di dare un taglio netto con le tradizioni della prima repubblica, dalla “grande agnizione collettiva” del ritrovarsi tra persone per anni divise da muri. Quell’emozione e quell’entusiasmo li ho provati anch’io (quanto a gratuità della passione per il Beruf della politica, tra te e me è una bella lotta, ma forse finisco per batterti ai punti): siamo sicuri che non sia un lusso? Sono strumento per vincere o premio al vincitore? Per vincere, sarà sempre necessario riprodurre agnizioni collettive, inventarsi repubbliche con cui tagliare i ponti?
Secondo te e secondo tanti comuni amici è l’entusiasmo quello che dovrebbe colmare il gap dal 20% al 51%. Io credo che prospettare un divario così grande sia un artificio retorico: altrimenti bisognerebbe dire che il Polo può vincere con 1’80%. Quello che intendo dire è che nell’Italia di oggi sono all’opera meccanismi per cui il fatto stesso che esista uno schieramento che tende ad esse maggioritario crea forze antagoniste che lo limitano e che rafforzano lo schieramento opposto; l’elettorato si divide spontaneamente in due blocchi di dimensione non troppo dissimile tra loro. Il problema di formare uno schieramento e un programma credibile per andare in maggioranza senza contrattare con Rifondazione resta, ed è di difficile soluzione, ma non c’ è ragione di ricorrere all’argomento “terroristico” del 20%.
Questo sarà anche un paese “socialmente e culturalmente di destra” ma conterà pure la qualità degli uomini che si riesce a mettere in campo. Sai che sono tendenzialmente critico verso il potere, ma credo che il “ticket” D’Alema-Amato ( e ci metterei anche Bassanini ) costituisce probabilmente il meglio che la politica italiana ha saputo esprimere da anni (da 5 certo, forse di più). E in qualunque paese il ticket migliore ha buone probabilità di vincere.
Il nostro problema è che siamo quel pallino anomalo nel diagramma di cui dicevo all’inizio. Abbiamo un tasso di partecipazione al lavoro 15 punti più basso degli USA e 10 punti dell’Europa: hai idea di che cosa sarebbe ‘sto paese, se solo rosicchiassimo metà di quel distacco? Questo è il problema, caro Michele, altro che partito democratico o socialdemocratico. Sappiamo anche le cose che bisogna fare per risolverlo: sono cose che richiedono di vincere resistenze arroccate soprattutto a sinistra. Questa è la ragione per cui tocca a noi farlo, non la ragione della battuta un po’ cinica dell’avvocato Agnelli. Gli ostacoli per colmare quell’ output gap stanno nel nostro campo, tocca a noi eliminarli. Paradossalmente, il non avere partecipato alla socialdemocrazia dell’Europa continentale ci rende il compito più facile.
Rimettere in moto questo paese, 5 punti in più di partecipazione al lavoro; e una riforma vera della scuola, non il pasticcio che stiamo facendo. Si può non essere d’accordo, si può temere di perdere per strada la propria anima, ma non dirmi che questo non è un grande disegno da propone agli italiani. Lavoro da professionisti, come tu dici?
Certissimamente, e per fortuna che li abbiamo, i professionisti. E abbiamo, europee permettendo, due anni davanti: non sono molti ma non sono neanche pochi.
E’ tanto vero che questo è un disegno, è tanto poco “business da lasciare ai professionisti”, che, se ci riuscissimo, avrebbe meno importanza se la prossima volta dovesse vincere un altro. Certo, c’è da mettere in conto la reazione degli interessi che un programma come questo andrebbe a toccare. Ma questo non ne scalfisce la validità: perché la politica è consenso e programma, ma nessuno dei due separatamente.
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giugno 11, 1999