Intervista di Giuliana Ferraino
«Un chiodo troppo piccolo a cui appendere una manifestazione troppo grande». E’ l’immagine che Franco Debenedetti usa per sottolineare la «sproporzione» che osserva tra la reale portata delle modifiche che il governo vuole introdurre per modificare l’articolo 18 e l’entità della protesta. Il senatore diessino, a suo tempo autore di una progetto di riforma dell’articolo 18, vede però, due conseguenze della dimostrazione organizzata dalla Cgil ieri a Roma. La prima per il sindacato, che «impostando tutta la protesta sulla difesa assoluta di un diritto, rinuncia ad essere protagonista nelle riforme importanti». L’altra per la sinistra, che «si ricompatta e trova un leader, ma su una linea che ben difficilmente le consentirà di ritornare a governare questo Paese». Anche il governo, però, esce sconfitto dallo scontro, perché «si è infilato in un vicolo cieco, senza saper affrontare i grandi temi per modernizzare il mercato del lavoro».
Senatore, come giudica la mobilitazione di piazza a Roma?
«Era stata indetta per protestare contro le modifiche all’articolo 18, e poi è diventata una risposta al terrorismo: in realtà il suo significato è eminentemente politico. Come ha osservato Pietro Ichino sul Corriere, dei tre casi di deroga previsti per l’articolo 18, due sono di fatto inapplicabili. Resta quella per le aziende prossime alla soglia dei 15 dipendenti. Ma fin dall’inizio il governo ha fatto una scelta minimalista. a cui si è contrapposto il massimalismo della protesta».
Ci spieghi meglio.
«Il governo non ha posto l’articolo 18 all’interno di una ambiziosa riforma del diritto del lavoro. Il sindacato, da parte sua, ne fa una questione di diritti intoccabili: ma è difficile che questo diritto fondamentale sorge quando il lavoratore ha più di 15 compagni di lavoro, e non esiste se ne ha solo 14».
Quindi?
«La riforma dell’articolo 18 deve partire dalla considerazione del ruolo dell’impresa in una società evoluta, distinguendo il compito di chi deve essere efficiente per produrre ricchezza, da quello di chi deve fornire le tutele a chi resta fuori dal mondo del lavoro, e l’aiuto a reinserirvisi. I lavoratori oggi protetti dall’articolo 18 sono una minoranza. Ed in questa forma non è presente in nessun grande Paese europeo».
Qual è allora il risultato della manifestazione?
«Cofferati ne esce molto rafforzato, emerge la sua forza politica di leader. Il “cofferatismo” è la risposta al “morettismo”».
Cofferati da numero uno della Cgil a leader della sinistra?
«Con Cofferati la politica riprende il suo posto, scalzando l’anti-politica e i girotondi. Ma se il sindacato prevale sul partito si allontanano anche le prospettive di governo della sinistra».
Perché?
«L’idea che la forza di un sindacato possa essere un surrogato alla forza delle idee necessarie per governare un Paese complesso come l’Italia può ricompattare l’opposizione: ma solo il riformismo consentirà alla sinistra di ritornare a guidare il Paese».
Martedì il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha convocato i sindacati per riprendere il dialogo. Da dove si deve ripartire?
«Quando uno dice “vengo a discutere, ma c’è un punto di cui non voglio parlare”, e quello è il solo tema in agenda, mi chiedo come si faccia a dialogare. Ripartire dal Libro bianco come chiede la Cisl? Ma il governo non vuole. E’ difficile che possa tornare indietro. Lo stesso vale per il sindacato. Che cosa racconta ai 3 milioni che sono scesi in piazza?».
Che fare dunque?
«In teoria, riprendere il discorso dai grandi temi. L’equità, ossia abbassare le mura e allargare le porte della cittadella delle tutele. per usare un’espressione di Ichino. E l’efficienza delle imprese. E la crescita. Ma entrambe le parti si sono tagliate i ponti. Il buon senso suggerisce, quando non si può vincere a un gioco, di cambiare il gioco».
Quali sono le colpe del sindacato?
«Parlerei piuttosto di conseguenze negative. Con questa chiusura totale e di principio si ferma su posizioni conservatrici e si chiama fuori dalle vere riforme: che attenderanno ancora».
E le colpe del governo?
«E’ stato un errore infilarsi in un vicolo cieco, introdurre le modifiche all’articolo 18 in modo così minimalista».
Quindi ha ragione il leader della Cisl, Savino Pezzotta, quando definisce l’articolo 18 una «controriforma»?
«Così com’è, la riforma proposta dal governo è una piccola cosa, quasi una non riforma. Se fosse parte di un ridisegno complessivo del sistema di tutele sarebbe invece una grandissima riforma».
marzo 24, 2002