Intervista di Simone Collini
Senatore Franco Debenedetti, lei ha votato la mozione presentata dalla Margherita, in dissenso dal gruppo Ds, perché?
«L’ho fatto per ragioni di continuità e di discontinuità: continuità con la collocazione internazionale del nostro paese, compresa la nostra adesione all’alleanza contro il terrorismo e il voto di un anno fa; e considerazione delle discontinuità verificatesi da allora».
Non la seguo, chi sostiene che la situazione sia cambiata ha votato contro l’invio degli alpini in Afghanistan.
«Io non mi nascondo certo che oggi è aperta la questione irachena. Io voglio che la sinistra possa entrare in quel dibattito, e che sia in condizione di far valere tutto il suo peso.
Invece votando contro l’invio degli alpini in Afghanistan, il nostro voto domani sull’Iraq diventa un voto ideologico. Non voglio sprecare oggi le nostre carte, voglio che i Ds e l’Ulivo entrino nel gioco con tutte le carte in mano. Quel giorno io voglio poter discutere e convincere, e lo posso fare solo che è chiaro che sto dalla stessa parte. Il ruolo di un partito come il nostro non è di andare in curva Sud, a fianco di Gino Strada, e dispiegare gli striscioni e urlare che Bush è come. Saddam. Il nostro partito dovrà poter giocare, se potrà e se vorrà, la sua partita, mettendo in campo la autorevolezza di una opposizione di governo, di una sinistra di governo».
Perché ha deciso di prendere la parola in aula e rendere pubblico il suo dissenso?
«Le questioni che riguardano la guerra e la pace, le questioni che definiscono la collocazione internazionale del nostro paese, definiscono anche l’identità di una forza politica: su questi temi non ci può essere ambiguità. Una questione di coscienza, se vuole, ma di coscienza di partito, non individuale: dunque una decisione squisitamente politica. Con la decisione sul Kosovo la sinistra dimostrava di avere abbandonato la cultura minoritaria e di sapersi assumere le-responsabilità di governo. Io non mi sento di dare un voto che dilapida quel patrimonio, perché quello è anche il fondamento del mio impegno politico».
Fassino, per spiegare le ragioni del no dei Ds, ha detto che sono le modalità con cui il governo ha proposto l’impiego di militari italiani in Afghanistan a non essere accettabile.
«Di ragioni per votare no ne ho sentite tante, sempre un po’ diverse; è anche questa la spia di un imbarazzo: che ha prodotto una risoluzione ambigua. Invece noi abbiamo bisogno di mandare al paese un messaggio chiaro: da che parte stiamo in politica estera. Anche perché nelle manifestazioni pubbliche della sinistra, nei modi della sua presenza nel paese ci sono state discontinuità rispetto all’anno scorso: oggi, molto più di ieri, è inevitabile che la pregiudiziale pacifista venga vista dall’opinione pubblica come l’antiamericanismo viscerale della sinistra massimalista. Anche per questo, oggi la sinistra di governo deve assumere posizioni nette».
Secondo lei sarebbe stato meglio se nella mozione dei Ds non ci fossero stati i distinguo tra Isaf ed Enduring Freedom?
«È un distinguo non sostenibile sul piano logico e non spiegabile su quello della comunicazione. Come un anno fa, avremmo dovuto votare un dispositivo sostanzialmente identico a quello del governo, facendolo precedere da considerazioni nostre, e senza pregiudiziali sull’Iraq. Martino ci era venuto incontro con un discorso strettamente limitato all’Afghanistan».
Un discorso, il suo, squisitamente politico?
«Per quello che riguarda l’Iraq, sì. Ed è un discorso limpido per quello che riguarda la nostra collocazione internazionale».
Come giudica quanto avvenuto all’interno dell’Ulivo in questi giorni?
«Inutile negarlo: quello a cui ha dato luogo la richiesta di Rifondazione di votare su questo tema è stato un autentico dramma, il punto più basso finora raggiunto dalla coalizione. La sola speranza è che la visione dell’abisso produca una reazione positiva».
ottobre 4, 2002