Erano “discorsi seri a uomini faceti” quelli che Palmiro Togliatti rivolgeva al leader dell’Uomo Qualunque, Guglielmo Giannini, nel dicembre del 1946: “Qualcuno mi ha detto che [a lui] non conviene rispondere […] perché si tratta d’un commediografo e non di un uomo politico”. Altri tempi, altri comici, deve pensare il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani. Lui, per tenere insieme il partito, deve stare cocciutamente attaccato allo scoglio del suo esiguo vantaggio di voti, e non ammettere altre alternative: o me o si rivota. Il che, visto come stanno le cose, in realtà equivale a dire “o Grillo o si rivota”. Bersani è persona concreta e navigata, non può credere che offrendo di introdurre il reato di tortura o una legge sull’eutanasia – queste alcune delle proposte del produttore cinematografico Procacci – Beppe Grillo gli dia i voti che gli mancano: avrà invece cercato di rappresentarsi quali sono gli interessi veri del leader di M5s e immaginato come soddisfarli.
Prima di tutto eliminare i pericoli. Quello immanente e mortale, per Grillo, sarebbe una legge elettorale maggioritaria, peggio se a doppio turno, peggio ancora se abbinata al semipresidenzialismo. E’ vero che ormai non ci crede più nessuno che il maggioritario di collegio a doppio turno sia “l’unica opzione” del Pd: è anni che lo dice, ma quando si presentano le occasioni, l’ultima volta nella passata legislatura, vedi caso c’è sempre qualche impedimento insormontabile per non farlo. Ma non è sicuro che un governo che poggi sui voti di Pdl e Pd, e che conti sulla moral suasion del Quirinale, questa volta non ci riesca: con Bersani a Palazzo Chigi, Grillo può stare tranquillo, avrebbe sempre il dito sul pulsante.
L’altro pericolo per M5s è il tempo: votare contro tutto è facile, ma viene il momento che gli elettori potrebbero chiedere altro, soprattutto se la situazione economica non accennasse a migliorare. Inoltre con l’andar del tempo diventerà più difficile mantenere compatto il gruppo parlamentare, rintuzzare la voglia di protagonismo, soddisfare ambizioni. “Il movimento – scriveva a suo tempo Togliatti – è lungi dall’essere cosa omogenea, e a renderlo eterogeneo hanno contribuito non poco le stesse sue campagne […] per alimentar le quali la direzione del movimento ha favorito, sollecitato, incorporato ogni sorta di malcontento e di malcontenti”. Grillo ha interesse a “vedere” presto le carte, cercare di migliorare ancora i suoi consensi e rafforzare la propria posizione strategica. E qui è dove Bersani potrebbe avere qualcosa da offrire.
E’ vero che Pd più Sel di Nichi Vendola più Scelta civica di Mario Monti hanno i numeri per eleggere il capo dello stato, ma l’esperienza insegna che quella votazione può sempre riservare sorprese. Bersani potrebbe offrire a Grillo di accordarsi insieme sul nome di chi mandare al Quirinale per sette anni (o anche solo di accettare il suo veto su ipotesi non gradite). Un conto è compromettersi con gli atti quotidiani di governo, altro è dimostrare al paese che M5s ha un peso nelle decisioni istituzionali di medio periodo. Farlo mantenendo sempre il potere di far cadere il governo in qualunque momento: pensarci bene prima di rifiutare una simile proposta. Bersani, ad avere “la pistola alla tempia”, deve comunque rassegnarsi: Monti e Vendola li avrebbe avuti anche se le elezioni fossero andate meglio, uno in più potrebbe perfino essere un vantaggio. Se così stanno le cose, il piano di Bersani avrebbe una gittata più lunga di quella che appare, non sarebbe solo l’estremo tentativo di poter dire di aver portato il segretario della “ditta” a guidare il governo. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, potrebbe arrivare alla fine naturale del suo settennato, lasciando al successore un paese con un governo, e non avrebbe motivo di dare le dimissioni. Bersani eviterebbe sorprese e si intesterebbe, sia pure in joint venture, la scelta di chi mandare al Quirinale. E’ vero che Grillo avrebbe sempre il potere di far finire la legislatura quando vuole, ma chi governa considera positivamente il durare, sia pure per poco di più: come si è visto anche con il governo Monti.
Tutto calcolato potrebbe essere indotto a sfidare le conseguenze inintenzionali dell’istinto di sopravvivenza. Legge elettorale? Riforme costituzionali? Quelle possono attendere. Con la persona “giusta” al Quirinale, anche a lungo.
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Discorso serio a gente faceta
di Palmiro Togliatti – L’Unità, 22 dicembre 1946
marzo 7, 2013