di Luigi Guiso e Guido Tabellini
Come ha ricordato Roberto Napoletano nel suo editoriale di domenica, la stretta del credito sull’economia italiana sta diventando sempre più soffocante, ed è urgente fare tutto il possibile per allentarla. In un contesto in cui la domanda interna è assente l’industria italiana sopravvive solo se riesce a esportare. Ma per raggiungere i mercati più lontani ed essere competitivi, occorrono nuovi investimenti. Chi li può finanziare?
Prometeia stima che da qui al 2015 le imprese manifatturiere italiane dovranno fare nuovi investimenti per almeno 150 miliardi – di più per rinnovarsi e raggiungere i tassi di investimento delle imprese tedesche –. È quanto mai improbabile che il sistema bancario italiano sia in grado di fornire questa liquidità. I vincoli di capitale sulle banche e lo stato dei loro bilanci non lo consentono. Sempre secondo Prometeia, i flussi di nuovo credito bancario alle imprese in questo stesso periodo difficilmente supereranno i 60 miliardi. Cioè tra la domanda e l’offerta di credito vi sarà un gap di almeno 90 miliardi nei prossimi tre anni. Per colmare il gap e consentire ai piani di investimento di realizzarsi, occorre trovare finanziamenti alternativi al credito bancario. Ciò non è impossibile, perché le banche centrali stanno inondando i mercati di liquidità e questa è alla ricerca di rendimenti elevati. Il problema è come far arrivare i fondi a piccole e medie imprese (Pmi), che tradizionalmente si finanziano solo con il credito bancario.
Vi sono due strumenti che potrebbero essere potenziati (per una discussione più dettagliata, si veda il sito www.ideeperlacrescita.it).
Il primo è la cartolarizzazione dei prestiti: la banca sfrutta le sue tradizionali conoscenze sul territorio per originare i prestiti, e vende a investitori istituzionali pacchetti di prestiti con caratteristiche predefinite di rischio. Poiché la banca cede una parte del rischio di credito, il suo vincolo di capitale diventa meno stringente consentendole di erogare più credito. Le cartolarizzazioni di prestiti alle Pmi sono utilizzate in Italia, ma principalmente per ottenere finanziamenti dalla Bce (e quindi senza allentare il vincolo di capitale sulla banca), e le dimensioni del mercato sono modeste (18 miliardi di euro nel 2012).
Il secondo strumento sono le obbligazioni emesse direttamente dalle imprese. Il recente decreto sviluppo, con la previsione di una normativa ad hoc per i cosiddetti “mini bonds” ha fatto un passo avanti nello spingere le imprese italiane verso il mercato dei capitali. Ma per raggiungere anche le Pmi, occorre ridurre i costi fissi dell’emissione e consentire a chi investe di diversificare facilmente il rischio di credito. Ciò può essere fatto seguendo il principio delle cartolarizzazioni, cioè aggregando le obbligazioni in appositi veicoli di credito, che a loro volta si finanziano direttamente sul mercato.
Non è un caso che questo tipo di strumento finanziario (pacchetti di crediti verso le Pmi) sia poco diffuso. È obiettivamente difficile valutare la qualità di prestiti e obbligazioni di Pmi secondo criteri affidabili e accessibili a una parte terza. Spesso le informazioni usate dalla banca che origina il prestito (o che assiste nell’emissione di obbligazioni) non sono facilmente verificabili o anche solo comunicabili a terzi in modo standardizzato. Questo rende difficile attribuire un rating al pacchetto di prestiti o di obbligazioni limitandone la sottoscrizione.
Le difficoltà intrinseche della valutazione, tuttavia, sono molto ampliate dalla mancanza di un mercato consolidato. Creare un mercato che non esiste ancora o che opera su dimensioni ridotte (ed è quindi illiquido) richiede di coordinare le azioni di operatori anche molto diversi tra loro: le banche che originano i prestiti o assistono nell’emissione di obbligazioni, le agenzie di rating, gli investitori istituzionali, i regolatori, le associazioni industriali, i fornitori di infrastrutture per gli scambi, i consulenti finanziari. Per sviluppare rapidamente questo mercato, può essere necessario l’intervento di un operatore pubblico o di grandi dimensioni che, almeno in una fase iniziale, acquisti i prestiti dalle banche (o offra garanzie aggiuntive), operi come emittente sul mercato, interloquisca con le agenzie di rating e con le autorità di regolamentazione. La Cassa Depositi Prestiti, che già è coinvolta in diverse iniziative per facilitare il finanziamento delle Pmi, è un candidato naturale a svolgere questo ruolo; ma lo potrebbe fare anche una grande banca o un gruppo di banche unite in sindacato.
I dettagli per realizzare un’iniziativa di questo genere sono inevitabilmente complessi, e vanno ben oltre gli aspetti legislativi. Tuttavia già il governo in carica potrebbe farsene promotore, seguendo l’esempio del governo inglese, e istituire una commissione tecnica che riferisca in tempi brevi. In Inghilterra la Commissione Breeden ha recentemente fornito raccomandazioni operative per facilitare lo sviluppo di strumenti finanziari alternativi al credito bancario. Anche in Italia occorre agire per tempo. Ora più che mai l’economia non può permettersi di aspettare i tempi eterni della politica.
aprile 16, 2013