di Michele Magno
Prospettive.La strada intrapresa dalla società è chiara. Mai metalmeccanici della Cgil rischiano di essere relegati in un énclave periferica del sistema di relazioni industriali, dopo le barricate sull’accordo per lo stabilimento campano. E i timori ora vertono sulla reale rappresentanza.
Caro direttore, la Fiat resterà in Confindustria, ma la Fiom resterà nella Fiat? Infatti, un rischio c’è. Un osservatore attento come Franco Debenedetti lo ha colto lucidamente (Il Sole 24 Ore, 28 luglio).
La Fiom non pare certo intenzionata a firmare l’accordo con la costituenda newco di Pomigliano. I suoi iscritti verranno riassunti, ma a quel punto il suo ruolo negoziale conterà come il due di picche. Se il modello fosse poi
esteso agli altri stabilimenti del Lingotto, il sindacato maggioritario dei metalmeccanici si vedrebbe ben presto relegato in un énclave periferica del sistema di relazioni industriali.
Debenedetti si chiede giustamente se il gioco vale la candela. Se cioè, per rendere governabile una fabbrica, non si finisca col rendere ingovernabile l’intera casa automobilistica torinese. Senza considerare, inoltre, che
altre imprese italiane potrebbero essere sedotte dalla via spiccia imboccata da Sergio Marchionne. In tale prospettiva, il pericolo è che quel po’di riformismo che rimane nella cultura rivendicativa della Cgil venga definitivamente travolto da un’ondata massimalistica. Prima ancora della revisione del modello contrattuale (a proposito: quella di un anno e mezzo fa è già archiviata?), insomma, è il nodo irrisolto delle regole della rappresentanza che continua a pesare come un macigno sulla vicenda sindacale domestica. Basti pensare che, a legislazione vigente, un accordo sottoscritto da organizzazioni che rappresentano la maggioranza dei
dipendenti di uno stabilimento, è inefficace – anche se ratificato da un referendum – nei confronti di tutti i dipendenti. Per superare questo ostacolo, occorrerebbe un’intesa interconfederale, con l’eventuale sostegno della legge, che renda vincolanti le clausole derogatorie del contratto nazionale. Tale intesa, a sua volta, ha però bisogno – per essere efficace – del consenso della Cgil. Guglielmo Epifani al congresso di Rimini, i cui atti sono ancora freschi di stampa, aveva promesso solennemente che il problema sarebbe stato affrontato con spirito costruttivo. Non se ne è fatto nulla. Forse i congressi sindacali andrebbero aboliti. Sono diventati ormai riti barocchi e bizantini, in cui si celebrano solo i fasti e si definiscono gli assetti dei gruppi dirigenti, ma in cui la battaglia delle idee è spesso un optional. Potrà non piacere a qualcuno, ma è il segno più vistoso della decadenza politica e dell’involuzione burocratica del nostro sindacalismo confederale.
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di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 28 luglio 2010
luglio 30, 2010