Convergere su Maastricht: a quali costi?

novembre 1, 1995


Pubblicato In: Varie


Signor Presidente del Senato, signor Presidente del Consiglio, intendo attenermi strettamente al disegno di legge finanziaria: l’avrei fatto comunque, lo faccio a maggior ragione avendo lei richiesto che solo i temi delle sue comunicazioni siano oggetto di indirizzi del Parlamento.

L’ultimo Documento di programma­zione economico e finanziaria che abbiamo approvato prevede che il rap­porto deficit-PIL raggiunga il fatidico valore del 3 per cento nell’ultimo anno di piano, ossia nel 1998. Successivamente venne chiarito un modo non equivocabile che, per rien­trare nei criteri di convergenza di Maastricht entro il 1999, tale valore deve essere raggiun­to nel 1997, anno per cui il Documento di programmazio­ne economico e finanziaria indica un rapporto del 4 per cento. Noi vi ci predisponiamo con une finanziaria che anzi­ché spalmare la differenza su due esercizi, pone a carico della finanziaria dell’anno in compito di dimezzarlo, passan­do dal 5,8 per cento al 3 per cento.

Dunque, in modo esplicito se non provvedessimo a modifica­re il Documento di programmazione economico e finanzia­ria riducendo di un punto il rapporto deficit-PIL per il 1997, ed in modo implicito con questa finanziaria, noi stia­mo dichiarando ai mercati che non intendiamo rispettare i cri­teri di Maastricht entro il 1999: ciò rende il tasso di inte­resse sul debito pubblico, che questa finanziaria prevede si riduca all’8,5 per cento, assai poco realistico, dipen­dente cioè da una non prevedibile generale diminuzione dei tassi.

Non si tratta qui di discutere se una costituzione europea, basata com’è su valori numerici di alcuni parametri macroeconomici, sia adeguata a pro­muovere l’integrazione politica che ne è l’obiettivo e che avrebbe dovuto esserne la premessa. Maastricht è un trattato internazionale ratificato da 15 paesi, alcuni dei quali comunque pro­cederanno alla sua implementazione: perché l’avverbio «comunque» è scritto nel trattato. Modificare Maastricht non è un’opzione disponibile.

L’orientamento dei nostri partner non sarà influenzato dalle ragioni, storiche e geopolitiche, della partecipazione dell’Italia, da lei sostenute con tanto appassionato calore; oltretutto non stiamo parlando di qualche frazione di punto.

Convergere o no su Maastricht significa una differenza di costo per il servi­zio del debito di 50.000 miliardi che vengono sottratti, ogni anno, ad inter­venti strutturali ed infrastrutturali, alle misure di sostegno dell’occupazione che i vincoli del cambio fisso renderan­no tanto più necessarie. All’obiettivo della convergenza è coniugato l’altro, che ne costituisce la premessa microe­conomica, dell’aumento dell’efficienza globale del sistema, anche attraverso le privatizzazioni, in particolare delle banche, e la liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità, una liberalizzazione vera, occasione di crescita per nuove imprese e non di rafforzamento per i monopoli esistenti: un obiettivo che si sarebbe voluto sentire richiamato con maggiore enfasi.

Per questi motivi, non per astratto rigore, quella che lei ci presenta è una finanziaria inadeguata. E tale giudizio risulta rafforzato considerando non solo il ciclo economico favorevole del­l’economia, non solo la credibilità con­ferita a questo Governo dalla sua per­sonale autorevolezza, signor Presidente del Consiglio, ma soprattutto le eccezionali con­dizioni politiche in cui esso si trova ad operare: ragioni tutte che rendono possibile e quindi necessaria un’operazione alquanto più coraggiosa.

Lei ha poi rivolto dure parole a chi duramente ha criticato gli aumenti previsti per il rin­novo dei contratti del pubblico impiego: reazione condivisibile se ed in quanto le critiche siano basate su una errata valutazione dell’entità degli aumenti. Ciò che invece lascia perplessi è l’invito, anzi la sfida, agli imprenditori pri­vati a concludere contratti alle stesse condizioni di quelle previste per il pubblico impie­go. Non si vogliono qui instaurare antipatici paragoni quanto a condizioni di lavoro, sicurezza, impegno persona­le: si sostiene solo che pre­tendere che settori dell’economia che lavorano a pieno ritmo, con buoni margini, concludano contratti compa­tibili con gli obiettivi di inflazione, quando lo Stato concede aumenti in settori non esposti alla concorrenza e agli alti e bassi del ciclo economico, è irrealistico; ed irrealistiche sono quindi le proiezioni di inflazione che su di essi si basano.

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