Signor Presidente del Senato, signor Presidente del Consiglio, intendo attenermi strettamente al disegno di legge finanziaria: l’avrei fatto comunque, lo faccio a maggior ragione avendo lei richiesto che solo i temi delle sue comunicazioni siano oggetto di indirizzi del Parlamento.
L’ultimo Documento di programmazione economico e finanziaria che abbiamo approvato prevede che il rapporto deficit-PIL raggiunga il fatidico valore del 3 per cento nell’ultimo anno di piano, ossia nel 1998. Successivamente venne chiarito un modo non equivocabile che, per rientrare nei criteri di convergenza di Maastricht entro il 1999, tale valore deve essere raggiunto nel 1997, anno per cui il Documento di programmazione economico e finanziaria indica un rapporto del 4 per cento. Noi vi ci predisponiamo con une finanziaria che anziché spalmare la differenza su due esercizi, pone a carico della finanziaria dell’anno in compito di dimezzarlo, passando dal 5,8 per cento al 3 per cento.
Dunque, in modo esplicito se non provvedessimo a modificare il Documento di programmazione economico e finanziaria riducendo di un punto il rapporto deficit-PIL per il 1997, ed in modo implicito con questa finanziaria, noi stiamo dichiarando ai mercati che non intendiamo rispettare i criteri di Maastricht entro il 1999: ciò rende il tasso di interesse sul debito pubblico, che questa finanziaria prevede si riduca all’8,5 per cento, assai poco realistico, dipendente cioè da una non prevedibile generale diminuzione dei tassi.
Non si tratta qui di discutere se una costituzione europea, basata com’è su valori numerici di alcuni parametri macroeconomici, sia adeguata a promuovere l’integrazione politica che ne è l’obiettivo e che avrebbe dovuto esserne la premessa. Maastricht è un trattato internazionale ratificato da 15 paesi, alcuni dei quali comunque procederanno alla sua implementazione: perché l’avverbio «comunque» è scritto nel trattato. Modificare Maastricht non è un’opzione disponibile.
L’orientamento dei nostri partner non sarà influenzato dalle ragioni, storiche e geopolitiche, della partecipazione dell’Italia, da lei sostenute con tanto appassionato calore; oltretutto non stiamo parlando di qualche frazione di punto.
Convergere o no su Maastricht significa una differenza di costo per il servizio del debito di 50.000 miliardi che vengono sottratti, ogni anno, ad interventi strutturali ed infrastrutturali, alle misure di sostegno dell’occupazione che i vincoli del cambio fisso renderanno tanto più necessarie. All’obiettivo della convergenza è coniugato l’altro, che ne costituisce la premessa microeconomica, dell’aumento dell’efficienza globale del sistema, anche attraverso le privatizzazioni, in particolare delle banche, e la liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità, una liberalizzazione vera, occasione di crescita per nuove imprese e non di rafforzamento per i monopoli esistenti: un obiettivo che si sarebbe voluto sentire richiamato con maggiore enfasi.
Per questi motivi, non per astratto rigore, quella che lei ci presenta è una finanziaria inadeguata. E tale giudizio risulta rafforzato considerando non solo il ciclo economico favorevole dell’economia, non solo la credibilità conferita a questo Governo dalla sua personale autorevolezza, signor Presidente del Consiglio, ma soprattutto le eccezionali condizioni politiche in cui esso si trova ad operare: ragioni tutte che rendono possibile e quindi necessaria un’operazione alquanto più coraggiosa.
Lei ha poi rivolto dure parole a chi duramente ha criticato gli aumenti previsti per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego: reazione condivisibile se ed in quanto le critiche siano basate su una errata valutazione dell’entità degli aumenti. Ciò che invece lascia perplessi è l’invito, anzi la sfida, agli imprenditori privati a concludere contratti alle stesse condizioni di quelle previste per il pubblico impiego. Non si vogliono qui instaurare antipatici paragoni quanto a condizioni di lavoro, sicurezza, impegno personale: si sostiene solo che pretendere che settori dell’economia che lavorano a pieno ritmo, con buoni margini, concludano contratti compatibili con gli obiettivi di inflazione, quando lo Stato concede aumenti in settori non esposti alla concorrenza e agli alti e bassi del ciclo economico, è irrealistico; ed irrealistiche sono quindi le proiezioni di inflazione che su di essi si basano.
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novembre 1, 1995