di Corrado Ocone
Dio o Darwin? Oppure, se così posta la quaestio vi sembra alquanto irriverente: creazione o evoluzione? Progetto o cieca casualità? Disegno divino o no? Sembra che il nostro pensiero, che è un pensare per cause, non possa uscire da questo dilemma, da questa secca alternativa. «Gettati», per dirla con Heidegger, in un mondo la cui semplice esistenza non sappiamo ricondurre alle nostre categorie, non possiamo non chiederci, con Leibniz e con tanti altri prima e dopo di lui, «perché l’essere piuttosto che il nulla?».
E soprattutto qual è il nostro ruolo, di essere pensanti, in un mondo che ci sovrasta: la nostra mente è solo un accidente della natura, una sua casuale creazione; oppure, essendo stati fatti a «immagine e somiglianza di Dio», siamo nel mondo in una posizione dominante e il mondo stesso è fatto per noi e vive in nostra funzione? È in America soprattutto, terra di frontiera e di spirito di avventura, ove le menti non amano seguire i tracciati pieni di sfumature (e spesso di fumisterie) a cui siamo abituati noi europei, con il nostro carico di secoli alle spalle; è là, in quelle lande di pionieri e spiriti puritani, che ogni tanto, almeno da un secolo a questa parte, i fuochi si accendono e si inveisce, da pulpiti reali e metaforici, contro l’autore de L’origine delle specie (1859). È accusato, il povero Darwin, che voleva essere uno scienziato, di essere stato invece uno spirito blasfemo, un ateo indegno, il certificatore ultimo di quell’imbestiamento dell’uomo che lo vuole niente meno che discendente, pe’ li rami, della selvatica scimmia. È un dibattito, quello fra i fautori di Dio e i fan di Darwin, che ha ripreso spessore in questi giorni con un intervento dell’arcivescovo di Vienna Cristoph Schonbern sul New York Times. Ma è un dibattito che ha ripreso vigore in genere in questi ultimi anni con l’affermarsi, prima in America poi (con vorticosi salti mentali e pratici) da noi in Italia, del cristianesimo identitario e massimalista dei neo o teo-con. Particolarmente appropriata è l’uscita, in questo contesto, proprio in questi giorni, per i tipi di Donzelli, di un agile, ma teoricamente denso libro di Orlando Franceschelli che ricostruisce con laico equilibrio le posizioni in campo: Dio e Darwin. Natura e uomo tra evoluzione e creazione (pagine 153, euro 12,50). Franceschelli ha il merito di affrontare la questione chiamando in causa le due posizioni, ponendo una domanda ad ognuna di esse: all’evoluzionismo chiede di dar ragione del fatto che il mondo comunque è; alla teologia di riscriversi partendo dalla consapevolezza che l’ipotesi evoluzionistica comunque regge. Nel porsi le due domande, egli incontra da una parte lo stesso Darwin e tutto l’esercito degli agnostici, di quanti sono ben consapevoli che essere atei è fare un’affermazione altrettanto forte e ingiustificata quanto dire che Dio esiste (ma almeno, in questo secondo caso, c’è di mezzo la fede, cioè un elemento non razionale); dall’altra incontra quella teologia accorta che dice che all’inizio c’è il disegno divino e poi (casomai come parte dello stesso disegno) una realtà che (per fini che non conosciamo) procede sua sponte (un discorso che ricorda un po’ quello newtoniano di Dio «grande orologiaio» e del mondo come un orologio che, almeno finché non si inceppa, va avanti instancabilmente). Il discorso di Franceschelli però presto si complica e costeggia i lidi della teodicea: ma che Dio è mai quello che permette che, come conseguenza del suo disegno, nel mondo esista il male fisico e morale? Che esista soprattutto in quantità spropositate, come quell’«immenso mattatoio» (Hegel) che è la storia sta a dimostrare? Franceschelli sembra simpatizzare per la teologia estrema di Jurgen Moltmann, di un Dio che per troppo amore per la sua creatura si depotenzia e contrae al massimo la propria presenza avvicinandosi pericolosamente al Nulla. Non so se le gerarchie ecclesiastiche gradiranno l’opzione dell’autore di questo libro, ma noi che siamo più sfacciati ci chiediamo: perché non fare un passo ulteriore e far coincidere Dio col Nulla assoluto? Come ciò che è al di là di ogni nostra determinazione, che non le sopporta, e di cui non possiamo predicare, con la nostra testa, nulla, nemmeno l’esistenza. Questa rimarrebbe impregiudicata, ma noi ci guadagneremmo forse di più: potremmo vivere come se Dio non esistesse affidandoci alla sola responsabilità dell’etica laica; non immeschineremmo la divinità fino a farla coincidere con le nostre categorie e (papa Ratzinger ci permetta) con i nostri «capricci». Saremo più umili e più laici. E non saremo, forse, neppure fuori dalla dottrina, se è vero che queste considerazioni le ho prese pari pari dal filone mistico che percorre la storia del cattolicesimo. Da umili laici saremo così liberi di prendere il buono da ogni teoria, stando molto attenti a non fare di nessuna di essa un dogma o un fine. Capiremo l’importanza di Darwin non solo per la biologia e la filosofia, ma anche per le scienze sociali (non è molto meglio l’improvvisazione evoluzionistica del Mercato piuttosto che la pianificazione centralizzata dello Stato-Moloch?). E soprattutto ci terremo lontani da quelle «guerre di religione» che, esse sì, imbestiano e imbarbariscono il mondo. Sarò poco più di uno scimmia, ma credo di essere riuscito, con qualche argomento, a spiazzare i miei lettori. Sono riuscito, spero, a tirarmi fuori dalle ambasce: dal gioco a somma zero, che, soprattutto in questi giorni vorrebbe farci schierare o per Dio o per Darwin. E così sia.
luglio 7, 2005