Congresso DS – La polemica con Michele Santoro
Caro direttore, leggo e rileggo la column di addio di Michele Santoro al Riformista, ma i conti non mi tornano. Se Santoro lascia (sul serio) il Riformista perché io ho minacciato (paradossalmente) di lasciare i Ds, se ne potrebbero dedurre diverse e opposte analogie. La prima è che Santoro sta al Riformista come io sto ai Ds, e anche in quinta elementare si sa che questo equivale a dire che Santoro sta a Debenedetti come il Riformista sta ai Ds.
Cosa che anche lei, caro Direttore, con tutta la stima per il suo giornale, dovrebbe trovare un po’ eccessivo a suo danno mentre sarebbe per me forse troppo onore. Seconda lettura: Debenedetti è come se fosse il Riformista e dunque quel che ha detto del mio intervento al congresso è come l’avesse detto di quel che scrivo qui. Anche in questo caso, direttore, ironicamente osservo che qui le si manca di rispetto.
Ancora. Dice Santoro: «Quando uno dice me ne vado, è come se dicesse, se non cacciate lui me ne vado io». Ma se «uno», cioè io, andassi via dal partito, «lui» va via da un giornale? Capisce che questo equivale a fare del Riformista non solo organo fondamentale dei Ds, ma a postulare la mistica identità di partito e giornale? Direttore, dica la verità. Santoro aveva capito che lei ha qualcosa in mente che non so, e forse è lei che ci nasconde qualcosa.
Forse ancora però una ragione almeno Santoro l’ha di certo: ci vuole una pausa di riflessione. Alla fine della quale, e lo dico con serietà e sincerità, lei direttore troverebbe il modo di fare ritornare Santoro nella casa del riformista. Sia quella del giornale, della tv, della radio, insomma quella che Santoro ritenesse più confacente ma senza alcuna residua ombra personale né rottura politica.
Anch’io ricordo con piacere quella volta a Napoli, quando Santoro accettò di presentare il libro sulle riforme del lavoro che avevo curato. Ha paragonato allora il mio parlare di flessibilità ai disoccupati al cercar di vendere i frigoriferi agli esquimesi. Ma, a ben vedere, i frigoriferi non gli servono finché vivono negli igloo di ghiaccio, ma corrono a comprarli quando costruiscono città e abitano in case riscaldate. Ecco: far sì che i frigoriferi diventino utili agli esquimesi è proprio ciò che i riformisti si sforzano di fare, perché la convenzione che agli esquimesi non servano – come tutte le convenzioni – non regge alla prova dei fatti che sono la prima o l’unica cosa che ai riformisti interessa.
Per riuscirci, devono convincere i disoccupati che il mercato del lavoro rigido è una protezione precaria, che aumenta la disoccupazione, non la riduce. Devono convincere chi crede del servizio pubblico della Rai, che quel mito copre in realtà strutture pletoriche e consente il sostanziale possesso da parte dei partiti. E che la quota di mercato pubblicitario di cui gode Mediaset è la conseguenza del fatto che la Rai ha un limite di affollamento pubblicitario minore, e che questo è la conseguenza del fatto che la Rai ha il canone, e che questo è il corrispettivo del malinteso e peggio realizzato feticcio chiamato «servizio pubblico».
Devono convincere che il solo modo di impedire che governo controlli la televisione è privatizzarla (seriamente, come ha detto Prodi, non questa finta impropria che stanno facendo). E che il solo modo per ridurre il potere di Berlusconi era il “disarmo bilaterale”, levare una rete a Mediaset e una a Rai, progetto fatto fallire dal partito Rai.
Caro direttore, sarò pure un illuminista, ma sono convinto che il successo del riformismo è possibile e che altri, più bravi di me, riusciranno a far capire ai tanti esquimesi di casa nostra che è nel loro interesse lasciare i loro precari rifugi e comprare il nostro frigorifero. E quindi le chiedo di far recedere Santoro dal suo proposito: tocca a persone come lei, direttore, convincerlo per continuare ad avere dalla nostra un uomo della sua capacità e del suo carisma. Saranno colpi formidabili, quelli vibrati da Santoro nell’etere o sulla carta stampata. L’unico piccolissimo memento, è che quei colpi li vibrerà anche a nome di chi la pensa come noi, e non solo di chi la pensa come lui. Solo così, del resto, si vince. O no?
febbraio 12, 2005