Come curare le fratture

marzo 22, 2002


Pubblicato In: Varie


C’è una frattura quando i riformisti vengono chiamati traditori, e se ne chiede la proscrizione (è accaduto anche al sottoscritto).

C’è una frattura quando, come fa quotidianamente l’«Unità», a forza di accostare l’oggi a fascismo e nazismo, di vedere in ogni atto di governo un attentato alla Costituzione, di invocare interventi emergenziali del Capo delle Stato, si dà corpo e sostanza al fantasma del regime. AI regime la sola risposta non è quella delle urne, ma delle armi. Sta nell’aver creato questa atmosfera la terribile responsabilità, sia pur tutta politica e nulla penale, di chi ha spinto l’opposizione a toni, giorno dopo giorno, sempre più estremi: perché se le parole sono dette con convinzione, c’è sempre qualcuno che viene convinto.

Ieri, D’Alema ha giustamente richiamato la necessità di scongiurare che l’assassinio di Biagi criminalizzi tutte le forme di opposizione. Al contempo, ha attaccato i «rivoluzionari da salotto» e «i giornali che li coccolano». Tra questi, c’è l’«Unità». Ma l’«Unità» è il quotidiano dei gruppi parlamentari DS: lo è nel senso preciso richiesto dalla legge che a questo collegamento esplicito condiziona i finanziamenti pubblici da cui dipende la vita del giornale. C’è quindi una responsabilità dei gruppi DS, e della direzione politica del partito, in quello che ogni giorno viene stampato e diffuso. L’assassinio di Biagi oggi, di D’Antona ieri, per non tradursi nella radiazione dei riformisti dalla sinistra italiana chiede ora ai leader della sinistra, politica e sindacale, una scelta netta. Non è quella di fare meno opposizione a Berlusconi, ma quella dei toni e degli argomenti da usare. Chi pensa di poter tenere tutto insieme, giustizialismo e garantismo, resistenza al regime e opposizione nell’alternanza, i diritti di chi li ha acquisiti e le ragioni di chi non li ha, ripropone tragicamente quella sconfitta che il massimalismo ha tante volte già inflitto in un secolo ai riformisti. Non solo nella sinistra, ma nel Paese.

La risposta
Il Senatore Debenedetti pone tre questioni. La prima è: le parole portano all’azione? Se la risposta è sì, Silvio Berlusconi e Umberto Bossi si situano in una posizione alquanto più estrema del sub comandante Marcos. La seconda è quella dei toni e degli argomenti da usare per fare opposizione. Ci dice ciò che non gli piace. Forse un giorno vorrà dirci che cosa propone. L’Unità è a disposizione. La terza questione è il rapporto con i finanziamenti pubblici. Da essi per fortuna non dipende la vita del giornale. Ma certo contano. Averli o non averli però non dipende dalla linea del giornale ma dalla decisione dei gruppi DS della Camera e del. Senato, che sono il luogo giusto per discutente. Non sembra però che le questioni si possano mischiare. Producono l’idea ingiusta che si possa cambiare un titolo o un articolo o una vignetta a seconda dei versamenti.

F.C.

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