di Franco Venturini
Non è stato bello, per un italiano, assistere ieri a Bruxelles alla conferenza stampa congiunta di Merkel e Sarkozy. Non è stato bello per un italiano, poco importa se berlusconiano o antiberlusconiano oppure ancora, come noi, semplice cronista. Perché per tutta la durata dell’incontro della cancelliera tedesca e del presidente francese con la stampa internazionale il capo del nostro governo, che all’estero piaccia o non piaccia ci rappresenta tutti, è stato deriso (letteralmente, con una sonora risata e gli occhi al cielo dei due), indicato come inadempiente sulle misure nazionali da adottare contro la crisi dei debiti sovrani, messo tacitamente sullo stesso piano della Grecia (Sarkò ha enumerato in un separato elenco Irlanda, Portogallo e anche Spagna), accettato a fatica come interlocutore (e soltanto a questo titolo definito degno di fiducia dalla Merkel).
Se si calcola che nel palazzo del Consiglio europeo regnano di norma linguaggio diplomatico e moderazione di comportamenti, diventa facile capire perché Francia e Germania — certamente decisive per riuscire a galleggiare nello tsunami dell’euro — siano riuscite a irritare buona parte dei loro partner comunitari.
Ma detto degli eccessi della Merkel e di Sarkozy, come non chiederci se e quanta ragione avevano? Il governo Berlusconi è in effetti inadempiente e non ha portato a Bruxelles quel decreto sviluppo che già da tempo avrebbe dovuto varare. Così facendo Berlusconi mette a rischio l’intera manovra anticontagio che sarà varata mercoledì. E non sono serviti a nulla, finora, gli avvertimenti che sono stati fatti pervenire a Roma sulla tagliola che Sarkozy ha di nuovo ribadito ieri: per chi non fa la propria parte di lavoro, niente aiuti di solidarietà dal Fondo salva Stati.
L’incontenibile e ostentata irritazione franco-tedesca, dunque, non è priva di motivazioni. Si dice anzi che in forme più morbide parecchi altri soci europei la condividano. Ed è evidentemente questa la circostanza più grave alla quale il governo dovrebbe se possibile dedicare la sua tardiva attenzione. Anche se, nella sala stampa di Bruxelles, il nostro disagio ci è parso poter essere quello di tutti gli italiani.
La prova d’appello, che riguarderà stavolta l’intera Eurolandia, è attesa per dopodomani. E si spiega certamente con questa accelerazione l’apparente paradosso che ha accompagnato i lavori di ieri: mai era accaduto che tanto ottimismo circondasse un vertice andato malino. Non tanto male da trasformare la battaglia per l’euro in guerra fratricida e da impedire che mercoledì vengano raggiunte le intese necessarie. Ma male abbastanza per alzare al massimo livello la posta politica, per «costringere» Merkel e Sarkozy a trovare un accordo che tamponando la crisi li salvi dall’ignominia.
Perché sono stati loro, la cancelliera tedesca e il presidente francese, a fissare una stringente maratona di incontri e di negoziati ristretti.
E sono perciò loro, adesso che arriva la venticinquesima ora, a dover prendere atto (volentieri) di un comune interesse politico: quello di non fallire, di non diventare gli affossatori dell’euro e dell’Europa, di non trasformare in boomerang la responsabilità di guida che le due «locomotive» si sono assunte. Non a caso ieri Merkel e Sarkozy, tra un siluro e l’altro contro Berlusconi, hanno dato praticamente per sicuro il raggiungimento di intese «comuni, ambiziose e durevoli » da portare al G-20 di Cannes dei primi di novembre.
I mercati daranno già oggi un primo giudizio sulla strategia franco-tedesca. Ma nei confronti dei rispettivi fronti interni, e in definitiva nell’interesse generale dell’eurozona, viene comunque utile a Angela Merkel e a Nicolas Sarkozy il trovarsi con le spalle al muro e le ore contate, sull’orlo di quel baratro che l’Europa ha spesso dovuto vedere per trovare la forza di allontanarsene. Resta da verificare, beninteso, l’efficacia delle formule che Berlino e Parigi sceglieranno, in particolare per accrescere la «capacità di fuoco» del Fondo salva Stati (Efsf). Le banche non saranno contente di dover più che raddoppiare le loro perdite sui bond greci, malgrado le ricapitalizzazioni. Si dovrà appurare — ecco che il pensiero torna all’Italia — se le misure anticontagio otterranno davvero la fiducia necessaria per riuscire.
E rimane, comunque vada a finire, la consapevolezza di un grande ritardo di reazione davanti alla crisi, anche da parte di francesi e tedeschi (soprattutto tedeschi) a riprova dell’assenza in Europa di statisti davvero in grado di guidare e convincere. Quello di mercoledì è dunque un appuntamento per cominciare un cammino, non per concluderlo. Al G-20 si tenterà, hanno detto Merkel e Sarkozy concordi, di far passare la tassa sulle transazioni finanziarie. E in Europa si lavorerà a una nuova governance unitaria. Il che potrebbe riempire di gioia gli europeisti più convinti.
Ma attenzione, perché l’unione fiscale che ha in mente la signora Merkel è un sistema che controlla in anticipo le finanze di ogni Stato membro dell’eurozona e affida a un futuribile organismo di Bruxelles il compito di comminare sanzioni automatiche in caso di violazione anche minima delle regole concordate. Cambiare i Trattati non sarà facile, ma l’Italia è avvisata.
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ottobre 24, 2011