Renzi ha conquistato notorietà e consenso come “rottamatore”. Adesso deve portarsi dietro il PD nel progetto di innovazione politica, dovrebbe avere il coraggio di trasformare in atto concreto il suo vecchio teorema (Berlusconi va sconfitto alle urne, non possiamo permetterci di farlo uscire di scena per via giudiziaria). E dopo di che il Partito Democratico dovrebbe seguirlo, a meno che non creda di potersi rafforzare con un tiro in porta senza portiere. In sostanza: deve accettare concorrenza elettorale vera, tra idee politiche, non tra somme di voti. Se mancano questi incentivi all’autoriforma e all’innovazione organizzativa, il PD rischia di essere, come dice Rosy Bindi, “il più grande gruppo misto della storia”. Certo che Renzi rischierebbe. Ma a guardar bene per lui oggi questa è l’unica strada.
Perché Renzi deve chiedere ai suoi di votare contro la decadenza di Berlusconi
Siamo su un piano inclinato: se lo si segue, sono incerte le date, ma il finale è già scritto. Il Senato vota la decadenza di Berlusconi, il governo cade, Napolitano rinvia Letta alle Camere per la riforma elettorale e la legge di bilancio. A sostenere un nuovo governo, son già pronte le necessarie stampelle a PD e Sel: data la naturale propensione della stampella a considerarsi arto, resisteranno anche più del minimo necessario ad approvare quelle due leggi. Infine si voterà: la reazione del popolo di destra potrebbe sorprendere, ma, insufficiente a rovesciare la situazione, offrirà il pretesto per perpetuare l’antiberlusconismo elevandolo a categoria dello spirito italico. Avremo l’ennesima coalizione con tutti dentro, dalla sinistra antagonista al ceto medio riflessivo. Napolitano si dimetterà, chi gli succederà, per una significativa percentuale di italiani, non verrà considerato il presidente di tutti. Il problema istituzionale, irrisolto da più di 20 anni, ci sarà franato addosso. C’è una mossa che possa fermare questo determinismo, sottrarci a questo esito sconsolante? C’è qualcuno che può compierla?
Per uscirne bisogna proporre non una rivincita, ma una partita diversa, guardare agli assetti istituzionali futuri anziché ai vantaggi tattici. Chi si vuole mettere al centro di questa partita non può entrarci sulle macerie. Quella persona oggi è Matteo Renzi. Con il suo carisma ha suscitato aspettative e entusiasmi, oggi ha l’occasione di guadagnarsi credibilità. Quando ha detto che voleva battere Berlusconi nelle urne e non nelle aule dei tribunali ha individuato il cuore del problema. Adesso deve trarne le conseguenze, fare un passo avanti: chieda ai suoi di votare contro la decadenza di Berlusconi da senatore.
Certo che Renzi rischierebbe. La sua strategia, ti spiegano, è prima la segreteria per candidarsi alle elezioni, poi vincerle per essere premier. Per questo il suo allineamento al partito di chi sostiene il governo invocandone la caduta (ripagato da adeguato plauso), per questo le aperture a Sel (ricambiate). Per riuscire, la strategia del “buscar el levante por el poniente” deve funzionare due volte, all’andata per conquistare la pancia del partito, e al ritorno per convincere l’elettorato. La gente ricorda, e non vuole buscarle. E Renzi potrebbe anche scoprire che a trafficare nei corridoi di palazzo c’è chi è più bravo di lui; oppure finire come un Bersani di lusso, la foglia di fico che non è e non vuole essere.
Sulla questione della retroattività della legge Severino, sulla opportunità di sollevarla di fronte alla Corte, ci sono ormai vari e autorevoli pareri. Renzi, a sostegno della propria decisione, dovrebbe invocare argomenti istituzionali: la pericolosità del precedente di cacciare dal Parlamento il capo del secondo partito italiano, l’enormità di un fatto che tocca diritti personali ed equilibri di poteri, cioè pilastri portanti della Costituzione.
Dopo vent’anni di bipolarismo da trincea, di contrapposizione preterpolitica, morale e antropologica, per nascondere le disomogeneità delle coalizioni, dopo due tentativi – Monti e Letta – di piegare quel bipolarismo alla dura ragione della necessità, dire di voler battere Berlusconi nelle urne significa voler chiudere la stagione dell’antiberlusconismo armato, per aprirne una nuova e libera. Libera di cercare fuori dagli schemi nuove aggregazioni di interessi, nuove ragioni per mobilitare energie e risorse. Significa spostarsi dal piano delle convulsioni a quello della costruzione; dalla resa dei conti, a una nuova contabilità del consenso; dal governare sfruttando le circostanze, al farlo perché sono gli italiani a chiederlo.
Renzi ha conquistato notorietà e consenso come “rottamatore”. Adesso deve portarsi dietro il PD nel progetto di innovazione politica: perché il PD dovrebbe seguirlo, se crede di poter decidere la partita con un tiro in porta senza portiere? Deve accettare concorrenza elettorale vera, tra idee politiche, non tra somme di voti. Se mancano questi incentivi all’autoriforma e all’innovazione organizzativa, il PD rischia di essere, come dice Rosy Bindi, “il più grande gruppo misto della storia”. Non un bel modo di passare alla storia.
Tweet
agosto 30, 2013