Le astensioni potrebbero, domenica prossima, essere numerose: se così fosse, si tratterebbe di un fatto in controtendenza rispetto al processo in atto.
Il voto referendario del 18 aprile è stato notevole non solo per la percentuale del sì (83 per cento) ma anche per l’altissima Percentuale dei votanti (77 per cento). Secondo l’analisi che ne fanno Corbetta e Parisi (Il Mulino, maggio ’93) questo dato, depurato dell’astensionismo aggiuntivo tipico dei referendum, equivarrebbe ad un tasso di votanti, proiettato su elezioni politiche, superiore al 90 per cento.
Lo spessore della protesta espressa dal voto referendario deriva anche da questo valore assoluto di consensi. Come nel segno della protesta è il successo, registrato al primo turno, delle posizioni estreme, Lega a Milano, Rifondazione e Rete a Torino. Logico quindi che nessuno dei candidati al ballottaggio abbia voluto aggregare altre liste, temendo di perdere la propria caratterizzazione: la protesta non tollera il compromesso. Adesso, coloro che hanno votato per candidati esclusi al ballottaggio hanno la scelta tra il far convergere il proprio voto su un candidato che non ha esplicitamente ricercato un accordo oppure di astenersi.
Nei Paesi a più lunga tradizione bipartitica i contendenti cercano di occupare il centro: lì le astensioni provengono o da posizioni estreme, non rappresentate, o esprimono l’indifferenza verso programmi troppo poco differenziati. Invece da noi questa volta l’astensione avrebbe un significato affatto diverso; anzi la scelta dell’astensione rappresenterebbe un passo indietro rispetto all’esigenza di rinnovamento espressa sia dal referendum che dal risultato del primo turno elettorale: per molti motivi.
1) Uno degli obiettivi dell’elezione diretta del sindaco è quella di consentire una più larga partecipazione alla gestione della città; una più vigile attenzione alla sua vita politica. La rinascita delle nostre città dipende dalla volontà dei cittadini di reimpossessarsene, con una partecipazione che si faccia carico dei problemi. E’ la prima volta che ci viene offerta questa possibilità. Chi sceglie di non utilizzarla non potrà evitare che l’indicazione della protesta si confonda con la manifestazione di disinteresse; che la non-scelta tra due candidati sia letta come non-interesse alla possibilità stessa di scegliere. L’astensione è un voto di sfiducia al metodo che abbiamo voluto.
2) I sistemi elettorali sono meccanismi che si definiscono con l’uso che man mano se ne fa. Disinteressarsi del voto perché la propria lista non è stata apparentata con nessuna delle due in, ballottaggio è un invito; la prossima volta, a contrattare, a favorire il «mercato delle vacche»: di cui si sarebbe poi pronti a scandalizzarsi.
3) Si descrivono i guasti della partitocrazia, si lamenta l’invadenza dei partiti. La partecipazione alla vita pubblica della società civile, per alcuni versi assai più generosa che per il passato, non può ora essere contraddetta da esitazioni ad impegnarsi, da titubanze ad esprimersi anche pubblicamente. La società civile sono tutti i cittadini.
4) All’epoca del fattore K, votare era una scelta di campo; voleva dire accettare, insieme all’ideologia, anche un’incontrollata pratica di gestione del potere. Oggi al posto delle ideologie si incominciano ad intravedere i programmi: la laicizzazione della politica è anche sostenere programmi con i quali ci si identifica solo parzialmente.
5) Un discorso a parte merita la Lega; la dimensione del suo successo rappresenta insieme una novità e un’incognita. Molto del nostro futuro, ma anche della possibilità di crescita della Lega stessa, dipenderà dalla sua capacità di fare evolvere la protesta in progetto. Dimostrazione ne sarà la volontà di aprirsi a collaborazioni con personaggi esterni di elevate competenze professionali dove fosse maggioritaria; ma anche la disponibilità a non chiudersi su posizioni settarie dove fosse in minoranza.
Astenersi domenica prossima significherebbe dunque levare concretezza alla spinta al rinnovamento; vorrebbe dire che la protesta è solo capace o di urli o di afasia, che si preferisce lo spettacolo della distruzione alle fatiche della ricostruzione. Alla Camera si discute in questi giorni del «minotauro»; ultima edizione del papocchio proporzional-maggioritario: una larga astensione potrebbe essere usata da qualcuno per sostenere che, poiché all’offerta di nuovi strumenti non corrisponde la cultura per saperli usare, è preferibile non innovare troppo. I vuoti, c’è sempre qualcuno pronto a riempirli.
giugno 17, 1993