Una tradizione della sinistra
da non dimenticare
C’è molto da discutere sulla lettura che Angelo d’Orsi ha dato del riformismo sulla Stampa di mercoledì.
Tenuto a battesimo da Bernstein, diventato maggiorenne con la Rivoluzione del ’17, il riformismo si ritroverebbe d’un balzo, maturo e pensoso, nel primo centrosinistra, per finire, snaturato in metamorfosi nominalistiche, decostruito in “convulsi progetti”, fungibile per Berlusconi come per “frange del centrosinistra”.
Azzardato dare lezioni di storia al prof. d’Orsi, ma è stupefacente che egli non ricordi il riformismo delle socialdemocrazie europee, e che neppure di striscio gli scappi di fare i nomi simbolo del riformismo nostrano, quello socialista di Turati e quello comunista di Amendola. Non c’è da stupirsi se la parola assume per lui ” un ruolo ambiguo”.
Ambiguo è il riformismo solo per chi ignora la continuità con quelle radici. E’ per la continuità con quella storia che il riformista non è solo colui che fa riforme (le ha fatte, eccome, anche Mrs. Thatcher: la chiameremo per questo riformista?); e la famosa frase della sinistra che fa le riforme che la destra non riesce a fare, è solo un brillante paradosso.
Invece d’Orsi vuole ridurre il riformismo alla sua caricatura, il “novitismo”, la smania di novità; contrapporre la politica per cui innovazione era sinonimo di progressismo, a quella per cui conterebbe solo andare avanti senza badare alle conseguenze sociali. Per riuscire in questa operazione deve non solo dimenticare il passato, come si è detto, ma anche non preoccuparsi del futuro.
Perché nel tempo del maggioritario, quando la sola cosa che conta è vincere perché chi vince si prende tutta la posta, il riformismo non è più scelta elitaria, vocazione minoritaria, secondo un vecchio stereotipo, ma è il cuore della strategia per ritornare a guidare il Paese. Quando si sono perse le elezioni, non basta più il registro identitario, senza di cui si perdono i pezzi, decisivo diventa aggiungere la capacità di conquistare nuovi voti, senza di cui si perdono le elezioni.
Senza continuità con il suo passato, senza visione del ruolo che gli assegna il maggioritario, si perde il senso del riformismo, il progetto si sbriciola nell’elenco di singole riforme. Secondo d’Orsi, questa linea avrebbe il suo migliore interprete in Berlusconi; la stessa linea che avrebbe contagiato “frange di centrosinistra” con esiti ” che sono sotto gli occhi di tutti”.
Sull’interpretazione di Berlusconi ho qualche dubbio, in quest’anno al Governo altre mi sembrano essere state le sue priorità. Sugli esiti del centrosinistra francamente ciò che lamento non è tanto quello che è sotto gli occhi, ma quello che non c’è: non le riforme fatte, quelle non fatte.
marzo 30, 2002