Chi ha paura della concorrenza

agosto 7, 1996


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Oggi i vantaggi che la concorrenza porta in termini di costo e di servizio sono noti e documentati; tutti possono constatare i risultati della battaglia nell’unico servizio finora liberalizzato, quello del radiomobile

Nelle condizioni pioneristiche dell’Inghilterra di 10 anni fa, per creare un clima favorevole alle privatizzazioni fu necessario fornire assicurazioni che la fine del monopolio non avrebbe arrecato aumenti di costo a determinate classi di cittadini.

Oggi i vantaggi che la concorrenza porta in termini di costo e di servizio sono noti e documentati; tutti, ad esempio, possono constatare i risultati della battaglia, questa si’ “selvaggia”, nell’unico servizio finora liberalizzato, quello del radiomobile.
Che ciononostante la recente proposta di legge Maccanico sulle telecomunicazioni paghi un largo tributo alla retorica dell’obbligo del servizio universale, non sorprendera’ nessuno. Si e’ cosi’ sprecata un’altra occasione di utilizzare una legge, che si dice innovativa, per innovare anche la cultura economica: quando ben si sa che i mercati non sono costruzioni astratte, ma la risultante delle decisioni degli individui, quindi delle loro motivazioni. Se i governanti sono influenzati dalle opinioni di economisti defunti, i governati lo sono da quelle dei legislatori viventi.
Questi si dicono liberalizzatori, e invece non perdono occasione di confermare la visione per cui la concorrenza va governata, il mercato controllato, il privato sospettato. Dicono di voler correggere i malfunzionamenti del mercato, e in concreto li producono, intervenendo sul mercato prima ancora che questo si formi. Dicono di volere la concorrenza, e invece, livellando prezzi e servizi, impediscono il formarsi delle differenze, cioe’ dei segnali che la concorrenza attivano.
Si riempiono la bocca con Internet, fanno propositi di rendere disponibile a tutti una connessione ad alta velocita’: vogliamo immaginare diffusione e costo se Internet fosse stata pianificata da qualche legislatore? Quel legislatore che fino a non molti anni fa considerava reato usare modem che non fossero quelli venduti dal monopolista, il quale applicava una ricarica fino al 500%?
Geoge Yarrow, nel saggio pubblicato dell’Institute of Economic Affairs, indica le ragioni di efficienza, equita’, trasparenza nei costi e nelle responsabilita’, per cui converrebbe riconsiderare gli obblighi di servizio universale, ed in ogni caso sottrarne l’applicazione al regolatore. Alle ragioni di Yarrow si vorrebbe aggiungere un’altra considerazione: se il regime di monopolio opera ormai da lungo tempo in presenza di una popolazione geograficamente stabile e non in aumento, delle due l’una: o gli obbiettivi di penetrazione sono stati raggiunti, e allora non c’e’ piu’ ragione di imporre obblighi; oppure il monopolio e’ mancato all’obbligo che ne e’ giustificazione e corrispettivo.
I varchi che il disegno di legge Maccanico apre al servizio universale dovranno essere considerati con molta attenzione. Innazitutto per l’ampiezza con cui viene definito: all’art. 4 comma 2 , dalla pubblica sicurezza e dal soccorso pubblico, lo si estende con pericolosa indeterminazione alla difesa, alla giustizia, all’istruzione, al governo (sic!).
Queste attivita’ saranno finanziate da un fondo gestito dall’autorita’. Risultato: la rete della pubblica amministrazione, una parte importante del mercato delle telecomunicazioni, sara’ sottratta alla concorrenza e gestita dal pubblico: non male per una legge che vorrebbe privatizzare.
L’altra ragione di preoccupazione deriva dal fatto che limiti ed entita’ del servizio universale saranno definiti dalla Autorita’ di settore. Poiche’ questa dovrebbe essere formata da 8 membri lottizzati, pardon: nominati, dal Parlamento, ciascuno puo’ immaginare come questa Autorita’ sapra’ resistere alle piu’ demagogiche sollecitazioni per estenderne la portata.
E passi per cio’ che riguarda il servizio telefonico di base per le categorie economicamente e fisicamente piu’ svantaggiate: il rischio -costoso rischio – e’ che l’autorita’ avalli la tesi secondo cui la rete di cavo in fibra ottica deve essere disponibile in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Una tesi che e’ alla base del faraonico progetto di cablaggio della Stet che, come e’ noto, servirebbe al monopolista per rendere inespugnabile il proprio monopolio nelle aree urbane, anche dopo la liberalizzazione dei mercati.
C’e’ nel disegno di legge Maccanico, all’art. 7, un altro obbligo di servizio universale, che non rientra tra quelli esaminati da Yarrow, ma che a quelli si apparenta per le finalita’ che lo giustificano e per gli effetti distorsivi che produce: il canone RAI, corrispettivo per un’offerta televisiva “globale di interesse generale” (art 7 comma 1). Poiche’ la televisione in Italia e’ resa disponibile a tutti gratuitamente dalle emittenti private, poiche’ il rispetto dei principi di completezza ed imparzialita’ dell’informazione e’ imposto (art.5 comma 4) a chiunque, pubblico o privato, diffonda “produzioni con contenuto di informazione di attualita’”, allora si deve concludere che il legislatore identifica l’interesse generale, che giustifica il canone, con un piu’ alto livello qualitativo della produzione RAI.
Tesi impervia gia’ sul piano teorico: come individuare i giudici della qualita’ ? Nominati dai Presidenti di Camera e Senato? dalla giuria del festival di Venezia? dal Ministero della Cultura? Lottizzati dal Parlamento?
Tesi che apre ad esiti paradossali: che fare se le scelte di chi giudica della qualita’ non coicidono con quelle degli spettatori? si dovranno sopprimere i telecomandi? Per evitare spreco di risorse pubbliche, si dovranno imporre dosi minime giornaliere di televisione (di qualita’)? E’ solo un paradosso se, portato al limite, l’obbligo del servizio universale diventa universale servizio obbligatorio?
Tesi non meno impervia da sostenere sul piano pratico: se si pon mente al divario di produttivita’ per dipendente tra TV privata e TV di stato, invece della supposta differenza qualitativa, che il canone dovrebbe giustificare, apparira’ chiara la differenza quantitativa, che il canone deve colmare.

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