Chi comanda nelle aziende da privatizzare?

febbraio 22, 2001


Pubblicato In: Giornali, Panorama


All’Alitalia il Tesoro scavalca i manager. E l’Iri, intanto, resta tra di noi

In cauda venenum: le dimissioni di Cempella da Amministratore Delegato dell’Alitalia sono una brutta grana per il Governo a fine legislatura. Cempella è un manager rispettato e capace; se ne va senza polemiche ma con una accusa precisa: “se vogliono svendere, lo facciano loro”.

Tormentata, la storia Alitalia: la conflittualità sindacale sedata con un discusso modello di cogestione societaria che ha dato ai piloti il 20% dei diritti di voto in assemblea; la condanna per il ripianamento delle perdite fatto dall’Iri nel 1997 considerato da Bruxelles aiuto di Stato che impose all’Alitalia pesanti limiti sulla crescita della flotta e quindi sulla sua redditività; condanna poi rovesciata dalla assoluzione della Corte di Giustizia, arrivata quando il danno era già stato fatto; alla vicenda Malpensa. L’alleanza con KLM doveva essere il sospirato approdo. Ma cinque successivi ministri dei trasporti hanno concordato con Bruxelles cinque successive riedizioni del piano di ridistribuzione delle rotte tra Linate, Fiumicino e Malpensa, finché KLM ha denunciato l’accordo, ha preteso la restituzione dei 200 miliardi che aveva versato per sviluppare Malpensa, e ha lasciato Alitalia senza partner e senza strategia.
La questione Alitalia mette allo scoperto il problema di fondo: chi decide le strategie delle aziende da privatizzare?
La legge non dice nulla: tra quando le strategie le faceva l’Iri e quando le dovrà decidere il nuovo proprietario, il tempo è sospeso. Le grandi aziende per un po’ di tempo possono andare avanti con il pilota automatico, ma 8 anni, tanti ne sono passati dal decreto Ciampi del 1993, convertito in legge dal Governo Berlusconi, sono un’eternità per chi deve vedersela sul mercato con i concorrenti.

L’indicazione strategica che dà il Tesoro è “valorizzare l’azienda”. All’inizio la cosa è semplice: risparmiare sugli acquisti, mandare via un po’ di personale, vendere qualche ramo secco. Ma poi può accadere che un manager ambizioso interpreti valorizzare come espandersi e diversificare: con il che il Governo, impegnato a vendere l’elettricità di stato, si trova a rientrare nella telefonia che aveva privatizzato.
Cempella invece ha pensato che “valorizzare” volesse dire garantire all’Alitalia una posizione di leggera preminenza nell’accordo con KLM, e che l’imperativo valesse per tutti. Ma il Tesoro doveva “valorizzare” anche Fiumicino che stava vendendo, e la carta Malpensa era in mano ad altri, al Ministero dei Trasporti, al Comune di Milano.
Saltato l’accordo, ci ha provato con Air France e con Swissair, ma i francesi sono troppo grandi e gli svizzeri troppo efficienti per garantire accordi paritari. E quando il Tesoro ha ripreso le trattative con KLM scavalcandolo si è dimesso.
Adesso c’è il prevedibile contraccolpo interno da assorbire, la brutta figura con i partner-concorrenti da rimediare, forse le perdite da ripianare. Sulla vicenda specifica il Tesoro ha molte attenuanti, ma in generale quando l’interregno dura 8 anni, il nodo della responsabilità strategica delle imprese da dismettere finisce per venire al pettine.
E soprattutto: tra il ruolo strategico assunto in prima persona dal Tesoro, e le due sostituzioni, in Alitalia di Cempella con Mingozzi, e in RAI di Celli con Cappon, entrambi manager con un lungo passato nell’Istituto di Via Veneto, nell’insieme è difficile scacciare l’impressione che l’IRI, lungi dall’essere liquidata, resti sempre tra noi.

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