Al convegno di Cernobbio l’intenzione manifesta degli ambienti imprenditoriali è stata quella di mandare un segnale molto preciso al governo Prodi. A poche ore dalla presentazione in consiglio dei Ministri della manovra correttiva, premessa alla finanziaria che il governo si è impegnato a far conoscere nelle sue linee generali entro luglio; a pochi giorni dalla conferenza di Firenze, chiamata a ratificare gli ultimi indirizzi concordati in sede Ecofin, il segnale più preciso è stato quello di fare presto: “I gradualismi non pagano”.
Sarebbe un errore cogliere questo invito come l’esortazione a calzare la maschera della Thatcher: esso è piuttosto conseguente alla lettura della sorte toccata con matematica precisione a tutti coloro che si sono accinti a mettere ordine nella finanza pubblica.
I governi — e quelli italiani in particolar modo sono degli one-shot government, hanno cioè un solo colpo in canna: non perché essi non dispongano degli strumenti per interventi correttivi in corso d’opera, ma perché il loro esordio ne marca in modo definitivo il consenso o il dissenso, il successo o l’insuccesso. Fu così per. Amato e per Ciampi. Così per Berlusconi, che dovette scontare le promesse fatte in campagna elettorale. Così fu pur troppo anche per il governo Dini, che nacque proprio per rinegoziare un accordo sulle pensioni che i sindacati avevano smontato. Io per primo rimproverai quell’esito, ma questo fu il preciso mandato che Dini ricevette. Rivolto all’attuale governo, l’invito a far presto non va dunque letto come esortazione a calcare la mano, ma a riflettere che il tono globale delle sue prossime uscite, quanto a settori di azioni e a strumenti per reperire risorse, determinerà il consenso, il successo, la durata e l’efficacia di tutta la sua prossima attività.
Al contrario del governo Berlusconi, che aveva fatto l’errore di contare su un effimero entusiasmo per risolvere i problemi strutturali del paese, incominciando da quelli dell’occupazione, l’attuale maggioranza si è data un realismo estremo, che ad alcuni, me compreso, appare fin eccessivo.
L’invito di Cernobbio ha radice nel fatto che ad alcuni ambienti economici questo governo è sembrato rassegnato a gestire una linea di ingresso in Europa che non può passare che attraverso lo strumento fiscale, e quindi attraverso un aumento dei vincoli cui il mondo pubblico sottopone le imprese. Le reazioni di Borsa alla uscita di Visco hanno rilevato il rischio che l’attuale maggioranza corre, hanno fotografato l’equivoco che essa intenda il rigore solo sul lato delle entrate. L’invito di Cernobbio è quello di evitare l’errore di Visco non nel merito, ma nel tono; di evitare di toccare il tasto del prelievo fiscale fuori dal contesto generale. Che comprenda anche i temi della libertà economica, del rapporto con la pubblica amministrazione, della concorrenza come procedura per la scoperta: non solo della legittimità ma della necessità del profitto. Le politiche di risanamento, è la seconda osservazione che viene da Cernobbio, possono essere meglio affrontate da un governo di centro sinistra che da uno di centro destra per la fiducia di cui esso gode presso le forze organizzate del mondo del lavoro. Si ripropone cioè il trade-off tra consenso delle forze sociali e miglioramento dell’efficienza economica generale del paese. Ma mentre sul primo punto, quello di non indulgere al gradualismo, si ha motivo di ritenere che, stante la qualità delle persone che formano questo governo, l’invito sarà accolto, sul secondo il giudizio rimane sospeso.
Esiste la possibilità che il ristretto gruppo di leader della maggioranza abbia il coraggio di concepire un trade-off basato su un “pensiero forte”, su ricette innovative, su misure atte a allargare gli spazi per il lavoro e per le imprese; e non si sottragga al compito storico di proporle alle forze organizzate che hanno il torto di rappresentare, nella stratigrafia italiana, solo il lavoro dipendente ad un paese che ha 5 milioni di partite Iva.
Ma esiste anche un “pensiero debole”, quello di chi continua a ragionare in termini di alternativa rigore-solidarietà, e quindi richiede di ammorbidire il più possibile le misure sulla parte dell’economia non soggetta alla concorrenza. Abbiamo visto quali reazioni abbia suscitato il pur timido accenno di Ciampi sui dipendenti pubblici: eppure essi sono il 18% della forza lavoro e la loro maggiore efficienza potrebbe ridurre, secondo alcuni, la nostra inflazione di oltre un punto.
Il pensiero forte ancora non si è fatto sentire, di quello debole risuonano ancora gli echi, captati dall’avvocato Agnelli quando ha ammesso che le privatizzazioni potrebbero confliggere con le riduzioni di personale: un realismo che chi scrive considera eccessivo.. “Si può fare solo quello che il paese può accettare” ha detto Agnelli. Ma questo non è un dato fisso: dipende dalla visione che i leader politici, Prodi dunque e D’Alema, sapranno proiettare, e dall’autorevolezza con cui sapranno trasmettere il “pensiero forte”.
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giugno 18, 1996